Le nostalgie monarchiche e fasciste, prima. Le influenze militariste, poi. L’anniversario del referendum che definì la forma dello Stato fu celebrato in modi diversi. Fino alla riscoperta del nesso tra Resistenza e Costituzione. E del patriottismo, oggi spesso travisato

A causa di contestazioni e di ritardi nel conteggio dei voti nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946, la proclamazione ufficiale della Repubblica avvenne il 18, ma la legge (27 maggio 1949, n. 260) che la consacrò unica festa nazionale fissò come data il 2, cioè il momento dell’espressione della volontà del popolo. Solo nel 1953 si assegnò anche al 25 aprile la qualifica di festa nazionale.

 

L’entusiasmo per la Repubblica, e relativa festa, non fu di tutti. Si tennero da parte non solo i monarchici, ma anche quanti, per timore delle sinistre, offuscavano il nesso Resistenza, Repubblica, Costituente, Costituzione. Il primo anniversario si risolse in una scarna cerimonia tra il capo provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola, e il presidente della Costituente, Umberto Terracini. Era iniziata la Guerra fredda; il governo De Gasperi navigava tra l’ostilità alla nostalgia fascista e monarchica e il timore di un uso politico della ricorrenza da parte dei social-comunisti.

 

Tra il 1948 e il 1949 la fisionomia del rito si venne definendo protocollare e austera: omaggio al Milite ignoto, deposizione della corona da parte del presidente, inno nazionale, parata militare ai Fori imperiali. L’anniversario subì uno slittamento semantico da celebrazione dei valori repubblicani e costituzionali a omaggio alle Forze armate. Rimase a lungo una festa “fredda”; a poco valsero l’aggiunta delle Frecce tricolori e del ricevimento nei giardini del Quirinale.

 

Negli anni ’70 si diffuse una cultura antimilitarista, critica della sfilata dei reparti armati. Il terremoto in Friuli del 6 maggio 1976 fu colto come occasione per sospendere la parata in segno di lutto: non si svolgerà più per diversi anni. Intanto, nel calendario civile, riformato nel 1977, vennero eliminate diverse festività e il 2 giugno prese a celebrarsi la prima domenica del mese. Si era ritenuto che la Repubblica potesse rinunciare alla memoria del suo atto di nascita e alla forza dei suoi simboli.

 

Fu il presidente Carlo Azeglio Ciampi, che intendeva diffondere tra i cittadini sentimenti di patriottismo costituzionale-repubblicano, a sollecitare una legge, nel novembre 2000, per ripristinare la festività nella data originale. Lui stesso ne spiegò l’intento: «Richiamare i simboli più significativi della nostra identità di Nazione, dal tricolore all’inno di Mameli, rievocando in tal modo il nesso ideale che lega il Risorgimento alla Resistenza, alla Repubblica e ai valori sanciti nella sua carta costituzionale». Il rito assumeva una nuova coloritura. Ritornava la parata militare, con qualche tono marziale in meno e con diverse sottolineature di riconoscenza sia ai reparti impegnati in operazioni di pace sia per le donne e gli uomini della Protezione civile.

 

Sergio Mattarella mostra grande sensibilità per i riti e i simboli repubblicani. Ed è voluto salire all’Altare della patria anche nel dilagare della pandemia. Tuttavia, il patriottismo costituzionale-repubblicano nel senso auspicato da Ciampi non si è universalmente diffuso. Anzi, oggi rischia di assumere un’altra intonazione, se guardiamo all’ampio sfoggio della parola «nazione» con ben diversi richiami.

 

*Quello di Marina Tesoro è il settimo degli interventi sulle date fondanti della Repubblica affidati all’Istituto pavese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Il primo sul 12 dicembre (strage di piazza Fontana), il secondo sul 27 gennaio (Giornata della Memoria), il terzo sul 10 febbraio (Giorno del Ricordo), il quarto sull’8 marzo (Giornata della donna), il quinto sul 25 aprile (Festa della Liberazione) e il sesto sul 1° maggio (Festa dei lavoratori) sono pubblicati qui. L’ultimo sarà sul 4 novembre.