Dialoghi dell’Espresso
Renzo Rosso: «I miei figli tutti alla scuola pubblica. È lì che ci si confronta con la realtà»
È diventato imprenditore di successo grazie al padre che gli ha insegnato il senso del dovere e l’ha costretto a studiare. Ha creato un polo del lusso diffuso, preservando l’indipendenza delle aziende che ve ne fanno parte
Milano, zona Navigli, via Stendhal, civico 34. È la sede di Diesel di Renzo Rosso. Veste un look rapper: Denim nero, sneakers bianche, catene, bracciali, due R tatuate sulle dita. Prima di lui arriva l'azzurro cristallino dei suoi occhi – educati, ma curiosi – e una parola, che ripete più volte, «adrenalina». Quasi fosse un mantra o un'esorcizzazione. Del resto, di adrenalina, in 67 anni di vita, deve averne avuta tanta per fare, distruggere e rifare tutto, al punto da creare, partendo dal nulla, la Otb, Only The Brave, holding italiana che controlla i marchi di moda Diesel, Maison Margiela, Marni, Viktor&Rolf, Jil Sander. Seimila dipendenti, 1,74 miliardi di giro d'affari, 81 milioni di investimenti, utili per 105 milioni, in crescita di 44 milioni rispetto al ’21.
Partiamo dal futuro. In vista ci sono la quotazione del gruppo e l'ambizione di diventare un polo del lusso alternativo ai francesi François Pinault e Bernard Arnault. Tutto qui?
«In parte. È vero, puntiamo alla quotazione. Faccio i complimenti al gruppo Kering, che è best in class, ma Otb ha un proprio modo di concepire il polo del lusso, diverso dal modello francese, per preservare l'identità e l'indipendenza industriale. La dico meglio: non mi piace comprare società, perché le aziende hanno un'anima e devono mantenerla. Preferisco mettere un gettone di partecipazione nelle imprese su cui intendo puntare e assicurare una presenza di minoranza nell'azionariato delle imprese di filiera, così da consentire alle realtà che entrano a far parte della galassia Otb di crescere dal punto di vista finanziario e non solo. Quindi: non c'è l'intenzione di creare un polo del lusso. Perché esiste già».
E quando è nato?
«Con la crisi economica del 2008 le aziende hanno cominciato – disgraziatamente – a famigliarizzare con il termine credit crunch. In quegli anni fare impresa, specialmente per chi è piccolo e conto terzi, era diventato difficile a causa di una potente stretta creditizia. La mia è una realtà industriale legata al territorio e integrata con i fornitori locali, ero consapevole delle ripercussioni negative che questa stretta avrebbe avuto sui piccoli. È stato allora che, per sostenere finanziariamente la catena della subfornitura del lusso a valle di Diesel e Otb, creai il progetto Cash, che sta per Credito agevolato suppliers' help, con il quale i fornitori possono richiedere il pagamento anticipato delle fatture dei brand del gruppo. In dieci anni abbiamo superato i 450 milioni di pagamenti anticipati: quei soldi hanno dato alle imprese la liquidità indispensabile per sopravvivere. Questo meccanismo ci ha permesso di costruire legami strutturati con una filiera diffusa ed è alla base di una catena di fornitura integrata di 150 imprese italiane, che sosteniamo non solo nel percorso di accesso al credito, ma anche nella ricerca della massima qualità del prodotto e dell'educazione finanziaria».
Insomma, una presenza in punta di piedi. Da dove nasce tanta deferenza?
«Mio padre mi ha insegnato il rispetto delle persone e il valore del lavoro. Nasce tutto lì. Sono cresciuto in una fattoria, a Brugine, Bassa Padovana, un paese con quattromila anime, due televisioni, un'automobile, mancava l'asfalto sulle strade e tutto girava attorno alla vita dei campi, alla fatica, al sacrificio. L'insegnamento dei miei è stato “soffrire e sudare” per conquistare anche le piccole cose: che è un po' la mentalità dell'imprenditore. Ecco perché chi fa impresa va preservato e sostenuto».
Per questo suo padre è una figura così centrale nella sua vita?
«Se non fosse stato per lui non mi sarei mai diplomato. Aveva deciso che almeno uno dei suoi tre figli – ho un fratello e una sorella più grandi – dovesse conquistarsi un diploma. La scelta ricadde su di me, nonostante a me studiare non interessasse: mi obbligò. E quindi eccomi iscritto all'Istituto tecnico Natta di Padova, una scuola per la formazione di Periti della confezione, dove resto sei anni».
Uno in più del dovuto?
«Ero tutto fuorché disciplinato. Ma come darmi torto? Erano gli anni Settanta, avevo una criniera di ricci alla Jimi Hendrix, ero un figlio dei fiori, un ribelle a tutti gli effetti. Non amavo studiare e quella scuola era la scelta più facile e la migliore: all'epoca mia non c'erano insegnanti, in cattedra salivano manager o tecnici d'industria, erano lezioni legate al mondo reale e lì ho imparato di tutto: i tessuti, i filati, la chimica, la modellatura, il taglio, la cucitura, la confezione di una camicia e di una giacca, ma anche la gestione aziendale e la finanza d'impresa. Ho adorato quella scuola e ancora oggi mantengo un legame particolare: la Otb di Breganze, il cuore della mia azienda, è sempre aperta agli studenti della Natta».
E parla con questi ragazzi?
«Ai giovani raccomando di formarsi negli istituti tecnici, perché offrono la possibilità di interfacciarsi con il mondo del lavoro. Quando presi il diploma ero convinto di essere capace di fare già tutto».
Il primo capo realizzato?
«Un pantalone a zampa d'elefante, 42 centimetri di campana, a vita bassa, con effetto denim ottenuto strofinando il jeans sull'aia».
Saprebbe cucirne uno anche oggi?
«Quando vado a trovare le sartine nei reparti produzione dico loro di farsi più in là e mi metto a cucire qualcosa. Ovviamente è tutto uno scherzo, loro sono molto più brave di me. Ma, certamente, so ancora cucire a macchina».
Ha un forte legame con il Veneto, eppure metà della sua vita la passa altrove. Qual è la sua dimensione?
«Ho da poco preso casa a Milano, ma ci passo pochissimo tempo. Amo l'energia di Tokyo e Shanghai. Però la vita è Bassano del Grappa, una città ricca, carina, alla base delle colline, che ha conservato tutte le tradizioni di una volta. Mi ritengo un uomo globale, forse perché oltre all'abbigliamento, agli accessori, agli orologi, al design, con la holding di famiglia, la Red Circle srl, ho investito in quasi tutti i settori: ho creato una compagnia area low cost, puntato sull'agricoltura, sull'hôtellerie (l'ultimo investimento è l'hotel Ancora di Cortina d'Ampezzo), sul medicale, sul vino. Mi sono occupato di scarpe, gioielli, profumi, ceramiche, arredo, pavimenti. Insomma, ho argomenti su tutto, so parlare praticamente di qualsiasi cosa. Sono un uomo globale: dove mi metti, sto».
Una vita di successi, insomma. Ci sarà pur qualche fallimento cocente...
«Fallimenti ne ho fatti tanti: penso al mio brand da rock star, la 55Dsl. Eravamo partiti con grande entusiasmo, ma i conti non tornavano. Fortunatamente ho fatto un sacco di cose sbagliate: perché chi non sbaglia non può capire come mai le cose vanno fatte in un certo modo. Gli errori sono importantissimi per un imprenditore».
Il Vicenza Calcio è un successo o un fallimento?
«Sono stato 22 anni con il Bassano, poi ho ambito ad una cosa più grande, il Vicenza Calcio, appunto. Colpa del mio amico, Paolo Scaroni, che mi ha convito a investire. E colpa della città che mi ha fatto una pressione brutale. Il Vicenza viene da 10 anni di sofferenza e in questa società ho portato tutta la managerialità di Otb: però la palla è tonda e non sempre premia gli investimenti fatti».
Scaroni è un amico?
«È il mio alter ego: lui è saggio e determinato. Io sono impulsivo e sognatore. Ci vediamo spesso nel fine settimana».
Otb, Only the Brave, Solo i coraggiosi: è una dedica a se stesso?
«Avrò avuto vent'anni e trovai un grafico, piuttosto strano, che viveva a Londra. Iniziai a chiacchierare con questo disegnatore nel mezzo di King's Road, ed erano gli anni '70, quindi lo scenario erano creste colorate e punk ad ogni angolo. In quel contesto surreale lui se ne uscì con questa frase “Solo i coraggiosi possono osare”. È stata un'illuminazione: “Only the Brave”, Otb».
È stato coraggioso anche nella vita privata?
«Ho sette figli, Andrea (45 anni), Stefano, Alessia, Asia, Luna e India, Sydne (7 anni). Ci sono stati momenti felici e altri meno, come è normale che sia con tre rivoluzioni in famiglia. Ho sofferto, li ho fatti soffrire, ma mi sono sempre guadagnato la loro presenza. Sono i figli ad avermi permesso di restare giovane».
I figli di un imprenditore come lei avranno avuto un'educazione eccezionale…
«Hanno frequentato tutti la scuola pubblica, perché è lì che ci si confronta con la vita vera».
E poi?
«E poi indipendenza. Altrimenti come si fa a essere coraggiosi?».