Italian Job
Sette minuti di pausa pranzo e turni folli: lo sfruttamento degli assistenti di terra negli aeroporti
L’esercito senza tutele del personale stagionale dell'handling. Che per 600 euro al mese assicura assistenza ai passeggeri e la manutenzione dei velivoli. E che ora per la prima volta comincia a dire basta
I ritmi e i turni spezzati e forsennati, implacabili, sono la prassi più che altro per l’anello più debole del comparto: gli handlers stagionali, migliaia di lavoratori precari soltanto a Roma tra Fiumicino e Ciampino. Un esercito industriale di riserva e senza tutele. Caricano e scaricano i bagagli, garantiscono l’assistenza ai passeggeri, sbrigano i check-in e gli imbarchi, assicurano i preziosi servizi di terra dei nostri aeroporti. Di sensibile e considerevole importanza, come la manutenzione dei velivoli prima e dopo il decollo e il loro rifornimento di benzina. Eppure hanno contratti di pochi mesi, 6-700 euro al mese, sei giorni su sette, part-time allungabili a dismisura senza ricaduta in busta paga. Lavorano duramente, in affanno continuo; tamponano falle. Spesso vengono precettati a giornata, anzi, last second, come raccontano certe vertenze individuali: la loro disponibilità deve essere totale. Non esiste notte, weekend o festivo per loro, sovente esternalizzati, assunti da cooperative in appalto e subappalto. Dietro le divise ben stirate, una sofferenza sottaciuta di massa.
Prima del Covid, in Italia, il sistema si reggeva su una sorta di equilibrio omeostatico: gli stagionali convivevano alla bell’e meglio con i “garantiti”. I problemi venivano eclissati sull’altare della piena occupazione, o quasi. Poi è arrivata la pandemia. Il mondo si è bloccato, compresi i nostri cieli. Le compagnie low cost (e non), le società aeroportuali e dell’handling hanno iniziato a licenziare e mettere in cassa integrazione stuoli di lavoratori assunti a tempo indeterminato. E quando si è tornati alla normalità e sono stati richiamati molti cassintegrati, per parecchi stagionali non c’era più posto. O avevano gettato la spugna loro stessi.
Oggi il traffico passeggeri supera i livelli pre-Coronavirus e servono di nuovo pure loro. Che poi la stagionalità in questo ambito sarebbe, per certi versi, fisiologica: «Le parti confermano il peculiare carattere stagionale delle attività di handling, in quanto caratterizzate da stagionalità in senso ampio e da intensificazione dell’attività in particolari periodi dell’anno» era scritto nell’ultimo contratto collettivo nazionale di lavoro del 2015. Il problema sono le forzature, le degenerazioni che avvengono. Così il 4 giugno hanno incrociato le braccia, era la prima volta che succedeva.
«Adesioni altissime, oltre il 90% allo sciopero nazionale delle lavoratrici e dei lavoratori dell’handling aeroportuale proclamato per il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale, scaduto ormai da 6 anni». Parola delle sigle maggiormente rappresentative in materia: Filt Cgil, Fit Cisl, Uiltrasporti e Ugl Trasporto Aereo.
«Ora attendiamo che dalle imprese arrivino subito risposte alle legittime richieste salariali e normative che, come organizzazioni sindacali, abbiamo portato al tavolo di Assohandlers. E fino a quando non verranno soddisfatte le rivendicazioni salariali dei lavoratori le azioni rivendicative non si fermeranno: prima tra tutte, la proclamazione dello sciopero nazionale di 24 ore il 20 giugno che segnerà, con l’avvio della stagione estiva, il seguito di una lunga serie di azioni sindacali che verranno messe in campo».
I quattro sindacati aggiungono che «con il rinnovo in stallo, in assenza di un aumento economico congruo e dignitoso degli stipendi (fermi dal giugno 2016), il comparto ha perso attrattività, rendendo molto difficoltoso il reperimento di nuovo personale. Una situazione che può mettere a rischio l’operatività del settore e la continuità dei servizi aeroportuali, soprattutto in vista dell’imminente stagione turistica».
Lo spettro è quello di un’ennesima estate calda, come accaduto negli ultimi anni: caos e disagi molteplici (dai voli cancellati ai bagagli persi) per gli utenti che non conoscono le radici del problema. Non a caso i rappresentanti dei lavoratori chiedono anche una regolamentazione dell’orario di lavoro e turnazioni compatibili con uno straccio di vita privata.
Restii a parlare pubblicamente (o privatamente col giornalista), il malcontento corre sui social. Per esempio su pagine Facebook come “Manicomio aeroportuale” (16 mila followers), attiva dal 2019. Scrive Katia: «Da stagionale mai fatta una pausa». Le rispondono altri: «La pausa è di massimo 7-8 minuti, il tempo che hai per andare in bagno e mangiare». Aggiunge Giuseppe: «Lavoro usurante, il nostro. Nessuno si è mai nemmeno preoccupato di misurare i livelli di inquinamento a cui siamo esposti giornalmente, né che impatto possano avere le turnazioni sulla nostra salute». Valentina: «Sono 23 anni, 23 lunghi anni di burnout. Il punto è che l'età avanza, il fisico ne risente e per quanto bello questo lavoro non si può fare a vita. Non ho mai perso le speranze di tornare ad avere una vita normale, spero sempre di poter trovare qualcosa di meglio. Un grande in bocca al lupo a tutti! Possiamo capirci solo tra di noi... ahimè». Una sua collega: «L'anno scorso anche io sono andata in burnout. Mi sono fatta aiutare da uno psicoterapeuta. Ero a pezzi, fisicamente e moralmente». Un altro stagionale: «A me è capitato il turno 5/13 per poi rimontare con il 22/6 la sera stessa». Una partecipante del gruppo preferisce l’anonimato totale, ché pure capi e capetti bazzicano i social. Ed è suo l’intervento più apprezzato di tutti. «Con questo post vorrei inaugurare una sorta di rubrica che si occupi e si preoccupi, visto che nessun altro lo fa, di come ci sentiamo quaggiù nel girone infernale dei turnisti aeroportuali… Ci sono giornate come quella di oggi in cui mi sento costantemente esausta e totalmente sopraffatta. Mi dispiace perché credo nel duro lavoro e non mi sono mai tirata indietro e mi dispiace due volte perché questo è un lavoro che mi piaceva e ultimamente non riesco a fare altro che detestarlo. Per quanto provi a dirmi che è solo un periodo e che passerà, c'è una parte di me che crede invece che non possa fare altro che peggiorare. Sarà che siamo solo ad aprile e non riesco neppure a immaginare come potrebbe essere agosto. Sono convinta che in Italia in generale e nel nostro settore in particolare si parli troppo poco di "burnout" che, mi sento di dire pur senza averne le competenze, è un problema reale o perlomeno lo sento reale e vicinissimo a me. Insomma, voi come state? Come ve la passate? Siete in un momento di difficoltà? Lo siete stati? Come pensate di affrontarlo o come ne siete usciti, se ne siete usciti?».