Per il segretario del Pci la salvaguardia della pace era connessa alla trasformazione dell’ingiusto ordine economico internazionale. Rileggerlo ora dimostra quanto sia ancora attuale

«C’è un ruolo insostituibile che l’Europa dovrebbe svolgere per favorire uno sviluppo della collaborazione mondiale per il disarmo, per la salvaguardia della pace, per la trasformazione dell’attuale, ingiusto ordine economico internazionale, che condanna oltre un terzo dell’umanità al sottosviluppo, alla fame, alle malattie endemiche, all’analfabetismo».

 

Si rimane sorpresi per l’attualità di queste parole. Risalgono al 1978, e sono le parole usate da Enrico Berlinguer in un’intervista sull’Africa. Sono trascorsi poco meno di cinquant’anni da allora, ma i problemi all’ordine del giorno sono ancora gli stessi: il superamento di un sistema economico che produce diseguaglianze, la minaccia della guerra atomica, lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento, il pericolo di ricorrenti pandemie, la gestione dei flussi migratori. Di fronte a tali sfide, quello di cui si sente la mancanza oggi è un pensiero politico che sappia tenere insieme le questioni locali e quelle globali; in un mondo sempre più interconnesso non sono ammissibili chiusure nazionalistiche, ma al contempo non può essere elusa la questione di un nuovo governo dell’economia mondiale, come fondamento per una pace stabile.

 

Si rivela prezioso il volume (Enrico Berlinguer, “La pace al primo posto”. Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984), a cura di Alexander Höbel, Donzelli, Roma 2023, pp. 368) che l’Associazione Enrico Berlinguer e l’editore Donzelli hanno pubblicato, affidando allo storico Alexander Höbel il compito di selezionare e introdurre alcuni dei principali scritti del segretario del Pci su pace e relazioni internazionali. Le considerazioni di Berlinguer prendono avvio dalle turbolenze economiche dei primi anni Settanta, la fine del sistema di Bretton Woods e la crisi petrolifera del 1973. Pur muovendo dalle basi economiche della crisi, Berlinguer rifugge da una lettura economicistica, collegando quei cambiamenti all’esaurimento del vecchio colonialismo e all’emergere di nuovi attori economici globali (dai Paesi asiatici a quelli del Medio Oriente). Con la fine della guerra del Vietnam non venne meno il rischio di un confronto militare fra Stati Uniti e Unione Sovietica, come dimostrava l’accumulazione di armi atomiche. In tale scenario la ricerca della pace diventava per Berlinguer un «imperativo categorico» per la sopravvivenza stessa del genere umano.

 

L’Europa di oggi, e in particolare le forze democratiche e popolari, farebbero bene a ripartire da questa lezione. La ricerca di un’autonoma strategia per la pace impone anche oggi il superamento della logica bellicista, la riduzione degli armamenti e la costruzione attiva di un ordine economico fondato sulla cooperazione commerciale e finanziaria, oltre che sulla riduzione delle barriere e delle diseguaglianze. Berlinguer vedeva tali obiettivi come parte di un processo di avvicinamento al socialismo. Seppure in condizioni diverse, dovremmo avere il coraggio di riprendere in forme nuove quel cammino.