Sistemi di salvataggio smantellati dal Governo, gli hotspot al collasso e l'inutilità dell'accordo Ue. La Croce Rossa: «Se gli sbarchi si concentreranno solo qui non ce la faremo»

In una delle traverse di via Roma una donna sta smontando i piedi di un tavolo in plastica bianca, per riportarlo in casa attraverso la porticina stretta. Ora che a Lampedusa è tornata un pochino più di calma, quello spazio che la signora Marinella ha creato in emergenza non è più necessario. Almeno per ora. Per oltre dieci giorni, invece, a quel tavolo si sono dissetati e sfamati centinaia di migranti, disorientati ma riconoscenti. In un attimo è stato il 2011.

 

«Quell’anno c’era stato il boom di sbarchi e l’isola era piena di gente – racconta Don Carmelo, il parroco dell’isola – Ma da allora nessuno di noi aveva mai più visto i migranti in giro, perché erano rinchiusi nell’hotspot. E anche nei momenti più critici di questi anni, non ci è stato mai permesso di avvicinarci a loro. Eravamo due mondi separati». Poi quest’estate il numero di sbarchi è aumentato e l’isola di Lampedusa ha nuovamente dimostrato di saper accogliere. Eppure, quel che sarebbe potuto accadere era prevedibile e le immagini dell’hotspot di contrada Imbriacola con oltre 7mila migranti sono state, semplicemente, la prova di un fallimento annunciato.

 

Un fallimento legato da un lato allo smantellamento del sistema di salvataggi in mare e dall’altro all’inutilità dell’accordo siglato dall’Ue con il presidente tunisino Kaïs Saïed.

 

L’intesa, firmata a metà luglio, prevedeva, tra le altre cose, il controllo delle partenze dalle coste tunisine in cambio di un finanziamento della guardia costiera pari a 105 milioni di euro. Eppure, da quel giorno le partenze da Sfax sono aumentate e non diminuite.

 

Domenica 17 settembre Giorgia Meloni è arrivata a Lampedusa assieme alla presidente della Commissione europea Ursula Von del Layen. È stata una visita veloce, più che altro una passerella politica in un angolo di Lampedusa ripulito, in cui i migranti sono stati “eliminati” dalla scenografia. Durante la conferenza stampa la premier ha spiegato che il memorandum con la Tunisia ancora non è attivo e pertanto ha chiesto un’accelerazione degli investimenti proponendo anche un sostegno al bilancio tunisino. Soldi in cambio di uno sbarramento del mare, poco importa, poi, cosa, il presidente Saied ne farà di quelle migliaia di migranti, soprattutto subsahariani, che premono sulle coste. Intanto, però, per ora nemmeno un dollaro è finito nelle casse di Tunisi e Saied non avrebbe nemmeno il controllo assoluto della guardia costiera tunisina, che potrebbe giocare a un doppio ricatto con l’Europa e con il proprio governo.

 

D’altronde, i migranti sono un business. Il risultato è che dalle coste di Sfax partono imbarcazioni più volte al giorno a suon di duemila dollari a posto.

 

Si vedrà tra qualche mese, dunque, se davvero i flussi dalla Tunisia diminuiranno e se il governo italiano e l’Europa riusciranno a creare «una missione, anche navale se necessario, per fermare la partenza dei barconi». Dalla Tunisia, certo, ma anche dalla Turchia, dal Marocco e dalla Libia. Perché è proprio da lì che potrebbe arrivare una nuova ondata di sbarchi. L’alluvione che ha distrutto la città di Derna, la seconda più importante della Cirenaica, ha spazzato via la vita di migliaia e migliaia di persone, lasciando un’intera popolazione senza più nulla. E in molti potrebbero pensare di partire proprio dalla Tobruk controllata dal generale Khalifa Belqasim Haftar. Proprio da lì recentemente stanno prendendo il mare molti barconi in legno. E poi c’è il Marocco, dove il recente terremoto ha raso al suolo gran parte dei villaggi nella zona dell’Atlante, annientando un’economia locale già precaria. Anche lì, molti marocchini potrebbero decidere di abbandonare il proprio Paese per cercare fortuna in Europa.

 

Il paradigma securitario tracciato da Giorgia Meloni potrebbe avere dei limiti. «Fermare a monte i trafficanti di esseri umani e l’immigrazione illegale di massa, concentrarsi sulla difesa dei confini esterni e non sulla distribuzione dei migranti», ha detto la premier in un video messaggio sui social. Ma concretamente, cosa vuol dire? Alla linea dura e propagandistica del governo si contrappone una realtà diversa e difficile da gestire. Con un decreto Cutro che ha demolito il sistema di accoglienza e sta creando proteste tra i sindaci e difficoltà nelle città. E con un hotspot di Lampedusa che potrebbe riempirsi nuovamente oltre i limiti da un momento all’altro. Altro che blocco navale. «Serve una nuova Mare Nostrum europea, così che gli sbarchi non si concentrino tutti in un solo luogo», hanno detto dalla Croce Rossa Italiana che da giugno ha in gestione proprio l’hotspot dell’isola. «Per quanto possiamo fare, se gli sbarchi si concentreranno solo qui non ce la faremo», spiegano. Il centro di accoglienza era così pieno che nemmeno uno spillo sarebbe caduto in terra e allora i migranti si sono riversati nelle strade del centro.

 

In quattro giorni sono arrivati in 11.200, uomini, donne e bambini: tutti sull’isola, tra residenti e turisti che si sono ritrovati a condividere focacce, succhi di frutta e chiacchiere con una umanità ferita.

 

«È la prima volta che mangio qualcosa da tre giorni»: Moussa assapora il riso e gli scendono lacrime dagli occhi. «Sono stato ferito in guerra e sono scappato con dei pallini nelle gambe», racconta Amadou. «Poi – aggiunge – in Libia sono stato imprigionato e sono quasi morto per setticemia. Ora che sono qui voglio solo vivere».

 

Alioune ha sedici anni, ma ne dimostra meno. Ha viaggiato solo, ha perso sua madre nella ressa mentre scappavano da un raid punitivo in Tunisia. L’ha cercata invano. Per due giorni è rimasto davanti alla chiesa di Lampedusa, assieme ad altri uomini, mentre i migranti venivano via via trasferiti. Poi è andato via anche lui, salutando don Carmelo che per qualche ora è stato un padre.