La storia

«Così con un chip sono tornato a vivere»: parla il primo paziente di Neuralink

di Alessandro Longo   12 luglio 2024

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Noland Arbaugh, tetraplegico, ora può mandare messaggi, usare il computer, i videogiochi. Grazie a una tecnologia sperimentale che però comporta qualche pericolo

Noland Arbaugh, nei suoi vent’anni, ha già vissuto tre vite. La prima è terminata il 2016, nel giorno di quello che chiama “assurdo incidente”. Arbaugh si tuffa in un lago, urta qualcosa e dopo allora non sente più nulla dal collo in giù. Diventa tetraplegico. Sembra la storia del film “Mare Dentro” di Alejandro Amenabar, ma per Arbaugh è purtroppo la realtà della sua seconda vita, anni passati in un letto senza la volontà di fare nulla. Fino al 2024, quando Arbaugh comincia a controllare il computer con il pensiero. E così ora, solo pensando a ciò che vuole fare, manda messaggi, scrive sui social, naviga, legge libri. Sembra un film di fantascienza, stavolta: ma, per fortuna, anche questa è per lui realtà.

 

«Sento di avere di nuovo uno scopo. Ora posso riconnettermi con la mia famiglia, gli amici e con il mondo in generale. Posso cominciare a tornare a scuola e pensare di trovare un lavoro. Essere utile per gli altri», dice Arbaugh a L’Espresso, nella prima intervista a un giornale italiano.

 

La terza vita di questo ragazzo texano, ex atleta e fervente cristiano, è cominciata grazie a un dispositivo di Neuralink impiantato nel cervello. Azienda del famoso miliardario Elon Musk. Arbaugh è il primo paziente di Neuralink, in questa fase ancora sperimentale, prima che la tecnologia sia vendibile.  Il dispositivo si chiama N1 ed è grande quanto una monetina. Gli scienziati di Neuralink l’hanno posizionato, con un intervento chirurgico, in una parte del cervello che controlla il movimento (la corteccia). Il chip registra ed elabora l’attività elettrica del cervello, per tradurla in comandi, poi trasmessi a un dispositivo esterno, che può essere uno smartphone, un computer o tanto altro.

 

Noland Aurbugh

 

L’azienda di Musk si concentra per ora su persone come Arbaugh, per ridare loro un po’ di autonomia nell’uso di dispositivi, ma l’obiettivo dichiarato è più ambizioso: arrivare a guarire i pazienti grazie alla tecnologia. Musk, nella sua sfrenata visione, non si ferma qui, vuole persino potenziare il cervello di qualunque persona, anche normodotati, grazie ai chip. Vuole «ridefinire i confini delle capacità umane» ed «espandere il modo in cui esperiamo il mondo» (ha dichiarato). Uno scenario futuristico.

 

Il presente: «controllo così il cursore del mio computer. Penso a cosa voglio fare e quello si sposta. Posso cliccare e fare tutto. È molto naturale e veloce, anche più che usare il mouse», dice Arbaugh. «Una cosa semplice come l’invio di un messaggio di testo, che prima del Neuralink mi richiedeva più di 15 minuti, ora posso farlo in pochi secondi». Tra l’altro, «sono in grado di giocare ai videogiochi con i miei amici, che mi chiedevano di provare da anni, ma la prospettiva era troppo scoraggiante per tentarci».

 

Prima di Neuralink, Arbaugh - come altri tetraplegici - poteva controllare dispositivi muovendo un joystick con la bocca (possibile così anche muovere lo sterzo di un’auto), ma per molti è un’esperienza complessa e frustrante. «Per quanto riguarda il futuro, so che c’è la possibilità di collegare il Neuralink ad altri dispositivi. Presto potrò controllare anche un telefono e molte altre cose, come guidare una Tesla».

 

La terza vita di Arbaugh si allargherà: «voglio usarlo per tornare a scuola. Voglio usarlo per trovare un lavoro e scrivere un romanzo. Voglio giocare a giochi più complicati. Tutte queste cose sono ora alla mia portata». «Neuralink mi dà un motivo per svegliarmi la mattina e mettermi al lavoro, sentendo di poter affrontare la giornata a testa alta».  Arbaugh collabora in questi giorni tantissimo con gli scienziati di Neuralink, per mettere a punto il dispositivo, prima della commercializzazione (a un prezzo e in una data ancora sconosciuti). L’azienda ha anche annunciato l’apertura della sperimentazione a nuovi pazienti.

 

Non è certo la prima volta che un impianto cerebrale controlla un cursore (il primato è del 2006), ma Neuralink si distingue perché la tecnologia è molto avanzata e comoda da usare. Può essere usata anche fuori da un laboratorio; è wireless quindi invisibile (non obbliga ad avere un cavo collegato al cervello) e ha elettrodi così sottili e fragili che devono essere inseriti nel cervello da un robot specializzato. È anche vero che altre società stanno lavorando a dispositivi analoghi, in alcuni casi meno invasivi rispetto a quello di Neuralink. Più a fondo gli elettrodi penetrano nel cervello, più segnale (ossia informazioni) catturano e quindi maggiore è l’efficacia; ma aumentano anche i rischi. Arbaugh, infatti, ha indugiato molto prima di acconsentire all’operazione; «temevo di perdere la sola cosa che mi era rimasta, la mia mente; la mia personalità».

 

Aziende come Motif Neurotech e Precision Neuroscience invece lavorano a dispositivi che si poggiano sul cervello senza penetrarlo. La scommessa è riuscire a catturare comunque una quantità sufficiente di segnale. Per altro, il fondatore di Precision, il neurochirurgo Benjamin Rapopor, è co-fondatore di Neuralink con Musk e ci ha litigato proprio per divergenze sulla sicurezza del dispositivo. Vari scienziati chiave hanno lasciato l’azienda, inoltre, accusando Musk di correre troppo veloce pur di arrivare al risultato. Tipico del miliardario, che con questo spirito e correndo rischi è riuscito a rilanciare la corsa nello spazio; «porteremo un milione di coloni su Marte», ha dichiarato quest’anno. Ma con Neuralink i rischi toccano - si può dire - nervi più profondi del corpo e della mente umana.

 

Per altro, Musk è anche poco trasparente sugli studi e le sperimentazioni in corso, come denunciano vari accademici. L’Hasting Center, think tank specializzato in bioetica, in un rapporto consiglia prudenza, soprattutto dal momento in cui la ricerca scientifica di Neuralink non è di natura pubblica, ma è finanziata allo scopo di massimizzare i profitti, il che può entrare in conflitto con gli interessi dei pazienti. 

 

Alcuni scienziati criticano inoltre le promesse di Musk di poter guarire i pazienti ridando loro, con futuri sviluppi della tecnologia, la funzionalità di arti o di muscoli. Speranze irragionevoli: non ci sarebbero al momento basi scientifiche per supporlo. «Le applicazioni future di questo dispositivo sono molteplici. Non vedo l’ora che venga utilizzato per iniziare a curare cose come la paralisi o la cecità. Non credo sia irragionevole affermare che ciò avverrà nel corso della mia vita», dice Arbaugh.

 

La possibilità, pure ipotizzata da Musk, di estendere a tutti l’uso di questa tecnologia, per potenziarci a mo’ di cyborg è un vecchio sogno della filosofia del Transumanesimo (corrente culturale nata negli anni ’80 negli Usa). Ma apre a scenari distopici. Come l’alba di diseguaglianze che da economiche diventano strutturalmente biologiche - tra i ricchi che possono permettersi il potenziamento e la gente normale. I timori riguardano anche la possibile violazione dell’integrità e privatezza del nostro pensiero, come si legge in uno studio dell’università di Zurigo (dei bioeticisti Marcello Ienca e Adolfo Adorno). Sarebbe la fine della “libertà cognitiva” (si legge), la nostra ultima e più profonda, se una macchina potrà leggere e forse persino controllare i pensieri.

 

Si apre una sfida sociale epocale: saper schivare i rischi enormi e al tempo stesso sostenere un’innovazione così importante per molti pazienti. «Finalmente sento che potrei avere un modo per provvedere a me stesso per il resto della mia vita», dice Arbaugh. «Ma soprattutto, mi sto divertendo di nuovo. La mia famiglia e i miei amici dicono che sorrido di più».