Le vittime sui binari della Milano-Torino e i due compagni sopravvissuti pagano per un sistema che ha dimenticato puntualità e sicurezza. Ora la Procura di Ivrea valuta anche le responsabilità di Rfi. Con il rischio che finisca come negli incidenti di Viareggio e Pioltello

Il diavolo è nelle procedure. La strage di Brandizzo, con cinque morti che alzano la media nazionale dei tre decessi al giorno sul lavoro, illustra in modo tragico due universi paralleli. Da un lato, c’è la manualistica, stratificata nelle ere geologiche. È fatta di pezzi di carta, di sistemi di sicurezza elettronica Ermts, di cdb (circuiti di binario), di telefonate sulle linee interne Rfi, forse con carica a manovella come nel vecchio film di Totò Destinazione Piovarolo. Dall’altro, c’è la pratica che, per come è costruito il sistema delle manutenzioni, spesso sfugge alle raccomandazioni di sicurezza.

 

Rfi, la subholding del gruppo Fs incaricata della rete ferroviaria, fa ampio uso di subappalti e outsourcing. È il neoliberismo, bellezza. «Una volta», spiega un alto dirigente del gruppo pubblico, «c’erano le assunzioni a pioggia dei vari ras messi alla guida delle Fs. Si chiamava clientelismo ma almeno c’erano addetti sulla linea a evitare quello che è successo in Piemonte. Adesso si taglia il personale e si comprano sistemi elettronici da decine o centinaia di milioni di euro». Così si lavora a slalom, fra un treno e l’altro, perché il tassametro gira e il tempo stringe.

 

Il punto di caduta sono le best practices della Sigifer, la ditta dei lavoratori uccisi, e di molte altre aziende nella lista bianca dei fornitori di Rfi. Se si può iniziare il lavoro mezz’ora prima, perché no? Tanto si sa che i treni, salvo la parentesi mussoliniana, sono sempre in ritardo. Il risultato è una quantità di incidenti che, come raccontava un’inchiesta dell’Espresso dello scorso aprile, soltanto per caso non si trasformano in una strage.

 

Quando ci scappa il morto, o i morti, come a Viareggio nel giugno 2009, ad Andria nel luglio 2016, a Pioltello nel gennaio 2018, interviene la magistratura. A Brandizzo, all’indomani della strage, si è presentato anche il capo del Csm, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a dare un segnale chiaro a chi indaga. È presto per dire dove andrà l’inchiesta della Procura di Ivrea. Se i magistrati punteranno sull’incidente in sé, è probabile che l’elenco degli indagati sarà circoscritto. Se affronteranno anche i buchi delle procedure, si profila lo stesso schema di Viareggio e Pioltello o, per cambiare settore industriale, dell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino, con sette morti nel dicembre 2007 e top manager a processo.

 

La questione non è di poco conto. Il gruppo Fs, soprattutto attraverso Rfi, ha un ruolo chiave nell’investimento dei fondi del Pnrr, oltre a essere la maggiore stazione appaltante d’Italia con un piano di investimenti da 190 miliardi di euro fino al 2031. Eventuali richieste di rinvio a giudizio azzopperebbero un vertice rinnovato dal governo quattro mesi fa con il metodo del cerchio e della botte: un nuovo ad a Rfi, Gianpiero Strisciuglio, e la conferma di Luigi Corradi a Trenitalia. La strage ha accresciuto i malumori interni verso la leadership “elettrica” che proviene, con l'ad della holding Luigi Ferraris in testa, da Enel-Terna. Chi è accantonato non è mai contento. Ma gli scopi di Fs dovrebbero essere puntualità e sicurezza. A Brandizzo sono mancate entrambe.