Nel 2030 bisognerà raddoppiare la quota attuale su ferro. Ma su 190 miliardi di investimenti decennali solo 2,5 andranno in poli logistici e rinnovo della flotta di carri e locomotori. E gli incidenti come quello di Firenze Castello sono sempre dietro l’angolo

Stavolta è andata bene. Migliaia di passeggeri a guardare il tabellone dei ritardi in stazione ma non ci sono stati morti come quattordici anni fa a Viareggio, quando una ferrocisterna carica di gpl uccise 32 persone. Eppure giovedì 20 aprile lo svio del treno merci a Firenze Castello, la stazione più a nord del capoluogo toscano, ha tagliato in due l’Italia per una giornata. La procura della Repubblica indaga su due ipotesi: colpa dell’infrastruttura gestita da Rete ferroviaria italiana (Rfi) del gruppo Fs oppure malfunzionamento del carro numero tre, noleggiato dall’impresa barese Gts rail.

 

C’è un terzo elemento sul quale i magistrati e i tecnici incaricati dei rilievi non hanno competenza perché attiene alla sfera della politica economica. Nello sterminato elenco di cose che ci chiede l’Europa c’è anche l’aumento del trasporto merci su ferro dall’attuale 11 per cento al 20 per cento entro il 2030. Se anche la quota fosse raggiunta, e sarà molto difficile, bisognerà comunque convivere con il dominio del trasporto via gomma, che oggi è l’85 per cento sul totale.

 

In altre parole, bisognerà rassegnarsi ad avere i tir dovunque, quindi più traffico, più inquinamento e più incidenti, con il Pnrr che per le merci su ferro non prevede neanche un euro, con gli svizzeri e gli austriaci che fanno la guerra ai camion e che ci aspettano al valico.

L’alta velocità-alta capacità, costata una quantità enorme di denaro pubblico proprio perché i binari dovevano essere a prova di colossi da carico lunghi oltre cinquecento metri, sembra destinata a rimanere un’esclusiva del trasporto passeggeri, redditizio e condotto su un mercato a concorrenza limitata alle Frecce (Fs) e a Italo (Ntv). Nel traffico merci su ferro la competizione sulla rete italiana coinvolge ventiquattro operatori internazionali.

 

Il dato economico è piuttosto chiaro. Da quando le Fs hanno introdotto il Polo Mercitalia all’inizio del 2017, le perdite aggregate annue del comparto hanno viaggiato fra i 150 e i 160 milioni di euro, con l’eccezione del 2021 che ha portato risultati migliori salvo le controllate Rail e Intermodal. È un’attività povera, con una committenza pronta a rivolgersi alla gomma, dove i controlli sugli orari degli autisti e sullo stato dei mezzi sono molto più dispersivi, mentre il costo di lavoro dei contratti nazionali applicati dalle Fs incide per il 60 per cento sulle aziende della holding statale. In questo quadro ci sarà sempre chi offre un autista e un recapito alle porte dei magazzini per un centesimo di euro in meno. Per risolvere il problema del primo e dell’ultimo miglio in Ferrovie si cerca un accordo con l’Anita, la principale associazione del trasporto su gomma guidata dall’altoatesino Thomas Baumgartner, proprietario di Fercam. Ma i padroncini sanno di avere il coltello dalla parte del manico.

 

«Gli obiettivi del traffico intermodale sono solo nei convegni», dice un esperto del settore che chiede l’anonimato, «e il gap sulle merci non può essere recuperato con l’alta velocità. In Europa circolano centinaia di migliaia di carri. Per lo più è ferraglia ai limiti di età, circa trent’anni, priva di sensori di svio. Credo che l’incidente di Castello sia colpa del carro o sarebbe uscito il locomotore. Se ci fosse stato materiale infiammabile, sarebbe stata una strage peggiore di Viareggio».

 

All’interno del colosso Ferrovie, maggiore stazione appaltante d’Italia con un piano industriale da 190 miliardi di euro dal 2022 al 2031, chiunque sarebbe d’accordo con questa analisi, almeno a microfoni spenti.

 

Per rinnovare la flotta merci l’ad della holding di piazza della Croce Rossa, il genovese Luigi Ferraris nominato dal governo di Mario Draghi a giugno 2021 e in scadenza fra un anno, ha riservato una quota di 2,5 miliardi di euro del piano industriale. Saranno acquistati 3600 carri, 365 locomotori e saranno costruiti cinque nuovi terminal. Quello di Milano Smistamento (108,5 milioni di costo), realizzati dalla controllata Fs Teralp nel Comune di Segrate, sarà cofinanziato dalla Svizzera. È un impegno che non ha precedenti in quanto a dimensioni ma che è ancora residuale rispetto al denaro investito per il potenziamento dell’infrastruttura.

 

Per dare un’idea, i dati di bilancio della holding Fs per il 2022, comunicati all’inizio di aprile, danno ricavi in aumento circa 1 miliardo di euro su 6,9 totali. Ma quasi tutta la crescita è del settore passeggeri con 962 milioni contro i 45 milioni in più delle merci.

 

Ai privati va un po’ meglio ma non troppo. Come nel caso delle compagnie aeree, il noleggio dei carri è più costoso dell’acquisto ma evita problemi di immobilizzazioni e ammortamenti nello stato patrimoniale e garantisce maggiore flessibilità operativa.

 

Il gruppo Gts, coinvolto nello svio di Firenze Castello, ha un bilancio in utile nonostante 18 milioni di euro di costi annuali per l’affitto di locomotori Traxx e di carri, fra i quali il probabile colpevole dell’incidente fiorentino. Nella holding pugliese guidata da Alessio Muciaccia ha investito 48 milioni di euro il fondo infrastrutturale Marguerite (Bei più banche nazionali) per una quota del 30 per cento. È segno che qualcosa si muove anche se, per ora, nel gioco delle precedenze fra passeggeri e merci, vincono i passeggeri. Lo conferma la vicenda del progetto Mercitalia Fast. L’idea di utilizzare la rete Av per le merci durante la notte, quando Frecce e Italo sono fermi, è nata con la gestione di Renato Mazzoncini e con il democrat Graziano Delrio ministro delle infrastrutture. Al momento del lancio, nell’aprile 2018, le Fs annunciavano: «Grazie a Mercitalia Fast saranno ridotte dell’80% le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera rispetto alla modalità di trasporto su gomma».

 

Per il trasporto è stato ricondizionato un’Etr500 che caricava l’equivalente di diciotto tir. Per quattro anni il merci superveloce ha attraversato la tratta fra l’hub di Caserta-Marcianise e Bologna in tre ore e mezza fra mezzanotte e le quattro. Per viaggiare con i vagoni pieni di roll container, visto che le porte dell’Etr500 erano troppo strette per accogliere i bancali europallet, le Ferrovie avevano trovato accordi, fra gli altri, con il gigante dell’e-commerce Amazon che operava in collaborazione con Poste.

 

Partito con un indice di puntualità del 97 per cento, il servizio è stato molto utile durante l’emergenza Covid per il trasporto dei materiali sanitari ma ha perso efficacia con l’inizio dei lavori di manutenzione straordinaria sull’Av fra Bologna e Firenze, che si dovevano svolgere in orario notturno. Lentamente i clienti sono tornati alla gomma e il servizio è stato sospeso a novembre dell’anno scorso. Al momento, non è chiaro se potrà essere ripreso.

 

Per decidere si aspettano le nomine. A brevissimo il governo di Giorgia Meloni dovrà indicare i vertici di Trenitalia e di Rfi. Per la rete corre il nome proprio di Gianpiero Strisciuglio, 48 anni di Bari. Anche l’attuale numero uno del polo logistica del gruppo Fs, che raccoglie le imprese del settore merci, ha avuto il suo incubo infrastrutturale nel fine settimana nero del 7-8 settembre 2018 quando la combinazione di un guasto all’impianto elettrico in zona Settebagni-Capena (Roma) con un altro blocco sulla Roma-Napoli paralizzò l’Italia. Fra i vip rimasti a piedi c’era anche l’allora presidente toscano Enrico Rossi, difensore del nodo fiorentino dell’Av come il suo successore Eugenio Giani che, dopo lo svio del 20 aprile 2023, ha invocato la realizzazione immediata del sottoattraversamento senza considerare che il merci ha abbattuto i tralicci dell’alimentazione più a nord del tracciato del tunnel. Anche con la nuova galleria si sarebbe bloccato tutto.

 

Chi lavora nel settore merci delle ferrovie sa che il rischio è dietro l’angolo. Nel processo per la strage di Viareggio sono stati condannati in appello i vertici delle Fs del tempo, Mauro Moretti, Vincenzo Soprano e Michele Elia. I nomi dei boiardi di Stato, che hanno fatto ricorso in Cassazione, hanno messo in secondo piano le condanne degli operatori tedeschi e austriaci considerati responsabili dell’usura dei carri coinvolti nell’incidente.

 

Quando va bene, invece, si dimentica. È andata molto bene il 3 luglio 2018 a Portomaggiore, sulla linea Ferrara-Ravenna, quando una bisarca per il trasporto automobili è uscita dai binari dopo avere urtato la sagoma della banchina. Il treno è piombato dentro un parco pubblico. Dato l’orario, le 5.50 della mattina, il parco era deserto e dalla stazione era partito da poco un locale con i passeggeri in attesa.

 

Ed è andata di lusso a Udine il 20 maggio 2019 quando, per la fretta, sono stati tolti i blocchi dai carri. Privi di sistema frenante autonomo, sei vagoni carichi di materiale ferroso sono partiti in discesa verso Gorizia senza controllo. Dopo mezz’ora di panico assoluto, mentre si ipotizzava di mandarli a schiantarsi su un binario morto, una contropendenza ha fermato i carri all’indietro dopo circa trenta chilometri all’altezza di Capriva del Friuli.

 

La risposta a questi incidenti è quella di abbassare la velocità. Così il rischio si abbassa ma scende anche la competitività economica del ferro. E la morsa della gomma non si allenta.