L'allarme

«Soffrivo di anoressia, la mia vita era un conto delle calorie. Poi ho capito che io non sono il mio disturbo alimentare»

di Chiara Sgreccia   23 gennaio 2024

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In Italia i decessi legati ai disturbi alimentari sono stati 3.780 nell'ultimo anno: è la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali. Si è abbassata l'età ed è cresciuto il numero dei maschi che ne soffre. Ma i percorsi per guarire ci sono

«Il numero che vedi sulla bilancia non è una sentenza che decide il tuo valore. O quanto le altre persone ti amano. Nessun cibo ti farà male come il tuo disturbo alimentare. I disturbi alimentari non si misurano attraverso il corpo o il peso, ma attraverso i pensieri che la persona fa». A parlare è Luna Pagnin, oggi laureanda in Scienze della nutrizione umana, che ha deciso di dedicare la sua carriera al contrasto dei Dca, i disturbi del comportamento alimentare. Ieri un’adolescente che ne ha sofferto durante gli anni delle scuole superiori.

 

«Dal 2013 ho iniziato a soffrire di anoressia. Ma un senso di inadeguatezza nei confronti del mondo dimorava dentro me fin da bambina: sentivo di avere a disposizione meno spazio rispetto a quello che occupavo realmente, anche nelle relazioni pensavo di non essere abbastanza per meritare l’amore degli altri. Così è bastata una goccia, le parole con cui il mio fidanzato di allora mi disse che sarei stata più bella con qualche chilo in meno, per cominciare a perdere peso con le diete fai-da-te che, non mi stancherò mai di ripeterlo, non devono essere seguite».

 

Pagnin racconta come all’inizio il suo corpo le era amico. Più il peso scendeva sulla bilancia più si sentiva forte. Poco dopo, però, è arrivata la stanchezza, la mancanza di energie, per uscire con gli amici, per vivere le esperienze che di solito segnano gli anni del liceo. Sono arrivate le bugie. «Alla fine mi sono spenta. Dall’anoressia sono passata al binge eating, grandi abbuffate che facevo da sola. Finché il mio professore di ginnastica non ha capito cosa stava succedendo e ha parlato con me e con la mia famiglia. Ho pianto molto ma da quel giorno ho iniziato il percorso di cura».

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Non una linea retta ma un saliscendi continuo. «Le ricadute non devono spaventare, ci aiutano a capire chi siamo, cosa abbiamo sbagliato e come fare meglio la volta dopo». Pagnin inizia a frequentare un centro per i disturbi alimentari diurno. Viene seguita da un’équipe multidisciplinare: psicoterapeuta, dietista, medico di base. Ma frequenta anche laboratori e attività «che sembravano scollegate dal disturbo alimentare. Invece non lo erano. Sono importanti perché quando soffri di Dca non pensi a nient’altro. Perdi di vista te stessa, gli altri, le persone a cui vuoi bene. Contavo solo le calorie».

 

Pagnin ricorda l’importanza che ha avuto per lei il supporto della famiglia e della sua migliore amica: «Hanno saputo scindere tra me e il mio disturbo. L’abbiamo chiamato “Sara”. Così ho capito di essere altro rispetto a quello che mi stava succedendo e ho trovato la forza di uscirne». Oggi è certa di essere guarita – «l’ho capito perché nei momenti difficili che ho avuto il cibo non è più stato uno strumento necessario a alleviare la sofferenza» – sta scrivendo una tesi in cui sottolinea l’importanza delle emozioni, di che cosa si nasconde dietro al pasto. Ha una pagina Instagram in cui consiglia come costruire un rapporto sano con il cibo, il corpo, il pensiero. Come biologa nutrizionista fa parte del team di professionisti, di “Dimora Verdeluce”, un centro che su indicazione di ospedali e strutture sanitarie accoglierà giovani con disturbi legati al comportamento alimentare, dalla prossima primavera. A Montecchio, in provincia di Terni, nel cuore dell’Umbria.

 

«Per dare loro l’opportunità di proseguire il percorso medico affiancandolo con quello sociale e formativo», chiarisce Ruggero Parrotto, direttore generale di Fondazione Cotarella, ideatrice del progetto del centro: «Parliamo di disturbi che hanno a che fare sia con la sfera psicologica della persona sia con la comunità che gli sta intorno. Per questo pensiamo servano strutture a bassa intensità accanto a quelle sanitarie, che permettono il prosieguo della terapia ma anche che abbiano la capacità di creare opportunità per i ragazzi. Verdeluce sarà un luogo in cui possono capire la loro vocazione. Ma non è dedicata solo a loro: anche a genitori e insegnanti, per fare formazione e prevenzione, per aiutare scuole e famiglie a comprendere che cosa vive chi soffre di Dca. Speriamo che il nostro modello sia ripetibile. E che possa fungere da base per nuovi studi di settore», conclude Parrotto. Convinto che sia necessario potenziare le capacità del sistema sanitario italiano di seguire chi soffre di disturbi della nutrizione e dell’alimentazione.

 

Patologie complesse, che riguardano anima e corpo, il cui percorso di cura è lungo e articolato. Di cui sempre più persone soffrono. Di cui si muore: «In Italia solo nel 2023 i decessi sono stati 3.780. Sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali e ogni anno si intercettano sempre più casi nuovi», spiega Laura Dalla Ragione, direttrice della rete Dca dell’Usl 1 dell’Umbria: «Secondo i dati del ministero della Salute, nel 2019 erano 680.569. Sono progressivamente cresciuti fino ad arrivare, nel 2023, a 1.680.456. I disturbi alimentari sono un’emergenza nazionale»

 

Come spiega la direttrice della rete Dca, i disturbi sono cambiati negli ultimi 10 anni, rispetto a quelli legati a forme di iper-controllo come l’anoressia nervosa, sono aumentate le patologie legate al discontrollo, come la bulimia, caratterizzata da grandi abbuffate e metodi di compensazione. Riflesso di una società più accelerata, in cui siamo abituati a consumare ogni esperienza. «È cresciuto il numero dei maschi: prima erano meno dell’1 per cento, ora il 20 per cento di chi ne soffre tra i 13 e i 17 anni. In particolare un nuovo disturbo sta prendendo piede, la bigoressia, cioè l’ossessione non solo per la magrezza ma anche per la massa muscolare». Ma soprattutto, come ribadisce Dalla Ragione, da dopo il Covid-19, anche l’età si è abbassata molto: «I bambini tra gli 8 e i 12 anni rappresentano il 30 per cento dei soggetti colpiti. I Dca diventano sempre più complessi, sono nuove forme di depressione, non mode culturali. Dietro c’è un desiderio di morte, di annullarsi. Un’incapacità di vivere».