A pochi giorni dall'inizio delle prove, il ministero dell'Istruzione fa sapere che i risultati saranno inclusi nei curricula dei ragazzi. E scattano le proteste: «È un obbrobrio pedagogico e didattico»

Gli esiti dei test Invalsi entreranno a fare parte dei curricula degli studenti. Nel senso che i livelli di apprendimento conseguiti nelle prove scritte per ogni disciplina saranno allegati al diploma rilasciato al termine delle scuole superiori insieme alle informazioni relative alle certificazioni, alle attività extra-scolastiche e al percorso di studi.

 

La novità fa parte del decreto-legge del 2 marzo 2024, il numero 19. Ed è stata introdotta con l’obiettivo di ridurre i divari tra i territori. Anche se non è chiaro come, visto che le Invalsi sono prove standard somministrate agli studenti con lo scopo di valutare i punti di forza e di debolezza del sistema educativo nel complesso, sul territorio nazionale. Non strumenti che determinano un intervento strutturale per equiparare le diverse opportunità che il sistema educativo offre agli allievi o utili a sanare le disuguaglianze che dividono il nord dal sud del Paese, ad esempio.

 

I test Invalsi sono una «misura che nasce con un fine generale ben preciso. E che non può sovrapporsi all’operazione complessa che si lega alla valutazione individuale dello studente che deve essere affidata al corpo docente e alla comunità educante», spiega la responsabile nazionale scuola del Pd Irene Manzi. Che sottolinea come inserire i risultati del test nel cv, idea arrivata a meno di una settimana da quando gli studenti dell’ultimo anno delle superiori sosterranno le prove, sia l’ennesima forzatura senza fondamento didattico, scientifico e pedagogico del ministro Valditara.

 

Test invalsi

 

A chiedere al ministro di tornare sui suoi passi oltre al Pd, è anche la Cgil scuola che definisce la nuova norma un «obbrobrio pedagogico e didattico» che il Parlamento dovrebbe cancellare, Nicola Fratoianni di Alleanza Verdi e Sinistra secondo cui si tratta di un modo per penalizzare il Sud due volte. E una miriade di associazioni legate al mondo della scuola, dei docenti, degli studenti, dei genitori, come Alas, Roars, l’Associazione La Nostra Scuola Agorà 33, Usb Scuola, l’organizzazione studentesca Osa, ecc che hanno inviato un reclamo anche al Garante per la protezione dei dati personali in cui sottolineano come classificare gli studenti sulla base dei risultati dei test Invalsi, individuarne le fragilità , «tramite un punteggio conseguito algoritmicamente, si configuri come una schedatura impropria in quanto non controllabile, non verificabile né revisionabile per via umana».

 

Che le misurazioni delle competenze offerte dall’Invalsi non fossero utili sistema scolastico in realtà lo pensavano anche gli esponenti di Fratelli d’Italia prima di andare al Governo: «Test inutili e costosissimi per continuare a sentire che nulla è cambiato. Il Ministro poteva risparmiare tantissimi soldi e investirli nelle vere problematiche della scuola», avevano detto Carmela Bucalo e Paola Frassinetti, responsabile Scuola e del dipartimento Istruzione del partito di Giorgia Meloni, a luglio del 2022.

 

«Spendiamo milioni di euro per farci dire che i nostri ragazzi non vanno bene in matematica. Ma questo lo sappiamo già. Se non facciamo interventi strutturali nella scuola resta tutto così. Serve una riforma della scuola vera che metta al centro al scuola. Che non si abbandonino i saperi solo per trasformare i nostri figli in capitale umano delle aziende. Il mondo economico non può prevalere sul sapere. Dobbiamo investire sulla scuola», aveva aggiunto la responsabile scuola Fdl pochi giorni dopo.

 

Parole che lette oggi sembrano dette con ironia. Visto che la direzione verso cui il governo sta muovendo la scuola è opposta e contraria: nelle mani delle imprese, volta a soddisfarne gli interessi. Anche al costo di limitare la libertà di insegnamento dei docenti che sarebbe compromessa dall’impiego dei test invalsi per rilevare lo sviluppo di competenze di singoli individui sia a livello qualitativo sia educativo. 

 

«Sappiamo che la valutazione e la certificazione delle competenze sviluppate da studentesse e studenti sono operazioni complesse e dinamiche. Pertanto, esse non possono essere risolte con la somministrazione di una singola prova da parte di un ente esterno ma, al contrario, rappresentano una responsabilità che va affidata al corpo docente e alla comunità educante», scrivono il Centro Interuniversitario di Ricerca Educativa sulla Professionalità dell’Insegnante e il Coordinamento per la Valutazione Educativa che hanno lanciato una petizione per esprimere la loro contrarietà nei confronti della scelta di inserire il risultato delle prove Invalsi nel curriculum: «Una scelta frutto di gravissimi errori di natura scientifica, educativa e politica».