Belle storie

Gabriele Camelo, il maestro influencer: «A scuola uso i social per far fiorire il seme che c'è dentro a ogni bambino»

di Francesca Barra   28 marzo 2024

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Famoso perché utilizza la forza comunicativa di web, post e video, per lui educare significa illuminare il potenziale degli studenti. E far loro imparare che le emozioni vanno mostrate

Gabriele Camelo è conosciuto in tutta Italia come il «maestro influencer», il motivatore che predica la gentilezza e usa i social per insegnare ai giovani l’importanza dei contenuti al posto dei balletti. È un ex autore televisivo di quarantadue anni che si divideva fra Roma e Milano per lavoro e che, a un certo punto, ha deciso di cambiare la narrazione sulla sua vita. E per farlo ha scelto una città felice. Un luogo che gli rendesse armonica la sua ricerca di libertà e, al contempo, di famiglia. Si è trasferito a Palermo e ha iniziato a insegnare in una scuola elementare alla Vucciria.

 

«Alcuni bambini, pur abitando in una città di mare e a pochi metri dalla spiaggia, il mare, appunto, non l’avevano mai visto. Non facevano esperienza. Mi è venuto in mente di portarli a fare cose normali, con me, chiedendo il permesso ai genitori. In quel periodo mi è venuta voglia di creare una scuola sul pullman». Da quando ha caricato sulla sua Panda tutto il suo passato e si è imbarcato, sono passati sette anni. È un uomo libero, ma ha anche trovato la sua famiglia: i suoi allievi. È salito alla ribalta della cronaca per avere condiviso il suo metodo educativo con gli studenti, alcuni momenti trascorsi con loro e i commenti che aggiunge ai compiti, al posto del singolo giudizio.

 

«Non vedo i social, i video, i cellulari come qualcosa da stigmatizzare. Sono laureato in Pedagogia della comunicazione. Credo nel potere della comunicazione, anche educativa e terapeutica. Credo che raccontare le emozioni e condividerle sia terapeutico, se fatto con il consenso dei protagonisti (genitori e bambini). Vedo, dunque, il racconto con un video alla stessa stregua di una penna che scrive un diario, con lo stesso valore positivo. Mostrare e condividere ci aiuta a uscire dall’idea che l’emozione sia qualcosa da nascondere e di cui dovremmo vergognarci. Ciò aiuta, inoltre, a usare i social non per fare balletti, ma per raccontare emozioni. Si parla di educazione digitale! I bimbi crescono con me “con l’uso dei video” e da soggetti raccontati diventano protagonisti: a poco poco, imparano loro a essere creatori di video e a fare “i piccoli giornalisti”. Ho scoperto che c’è uno scopo formativo: per me e per chi segue il profilo. Si è creata una comunità educante fatta di dialogo, domande e consigli. Quest’anno insegno in una scuola dove una piccola parte dei genitori non condivide il racconto social e ho dunque accolto e rispettato il loro punto di vista».

 

Per il maestro Gabriele i bambini non devono studiare per il giudizio ottenuto a margine del compito. Non è quello che li qualificherà, così come non lo farà l’errore; ed è per questo che lui aggiunge i suoi pensieri ai temi dei bambini. «Educare significa: tirare fuori, mettere alla luce. Il processo educativo dovrebbe essere un’attenta operazione chirurgica per tirare fuori dalle viscere le luci personali. Aiutare il bambino a essere quello specifico dono per il mondo che solo lui può essere. I bambini sono stressati dal senso del dovere. Io credo che ci sia un seme naturale in ognuno di loro, che ha bisogno di diventare fiore. È possibile solo con accoglienza, accompagnamento, amore, aiuto a vedersi. Bisognerebbe imparare a fidarsi della natura, degli istinti, dei desideri. È lì che si trovano le luci interiori e non è possibile vederle con la coercizione, con il dovere, con le punizioni, con la rabbia».