Misure di sicurezza assenti, subappalti a cascata. Ma anche part-time fittizi e contratti alias. Il disastro di Firenze illumina come funzionano troppi cantieri, in primis nel privato

Sappiamo tutti cos’è successo a Firenze, ma noi che ci possiamo fare?». Ironizza Abdu (nome di fantasia), quasi a esorcizzare le morti sul lavoro. Proprio lui che ogni mattina sale su impalcature sempre più alte praticamente senza misure di sicurezza. «Non metti nemmeno il caschetto?», chiediamo. Lui fa spallucce. «Se te lo procuri, puoi metterlo», spiega il ragazzo egiziano, «ma nessuno te lo fornisce con gli attrezzi e nessuno lo indossa». Meglio non fare domande, meglio non emergere nel gruppo, perché basta poco per essere mandato via. E allora, addio anche a quella misera paga che arriva a fine mese. Abdu è clandestino. Vive in Italia da molti anni e quando è stato licenziato da una ditta di pulizie non è riuscito a rinnovare il permesso di soggiorno. «Dovevo sopravvivere e mi sono rivolto a un’agenzia specializzata. Pensano a tutto loro e, in due giorni, ti mandano a lavorare in un cantiere, è facile. Però prendono una commissione, dipende da loro quanto grande». Non importa se i documenti non sono in regola e non importa se non si è mai preso in mano un martello, racconta ancora Abdu. Tanto sul cantiere ci penserà il «mastro» a spiegare qual è il lavoro e come si fa.

 

Dalla descrizione, queste agenzie sembrano una sorta di centro per l’impiego che camuffa una vera e propria operazione di caporalato. Abdu non dice altro e dopo aver inghiottito l’ultimo boccone torna dai suoi colleghi: una squadra di sette ragazzi, tutti egiziani, tutti in nero. «Dopo la tragedia al cantiere di Firenze sta finalmente venendo alla luce il disastro di una parte del settore, in particolare nel privato – dice Marco Benati della Fillea Cgil – noi denunciamo da tempo che la situazione del lavoro nero è drammatica». Il sindacato, infatti, stima che sono almeno 200 mila i lavoratori sfruttati in edilizia e, secondo il rapporto Istat sull’economia sommersa del 2023, quasi 16 lavoratori su 100 nelle costruzioni sono in nero. «Sappiamo bene che esistono queste reti di fornitura di braccia per il lavoro edile; sono caporali che lavorano per nazionalità e aprono e chiudono queste “agenzie” una volta ogni due anni, per non incappare in controlli di routine», prosegue Benati. Abdu conferma che il gancio per arrivare alla sua agenzia di collocamento era egiziano e che tutti gli altri lavoratori ingaggiati erano connazionali. «Da quel che abbiamo potuto capire – dice ancora Benati – lavorano per specializzazione: gli egiziani e i marocchini sono esperti di muratura e cartongesso, i bengalesi e gli indiani di armature e getti di cemento. E queste reti ingaggiano lavoratori in subappalto alle ditte». Spesso gli operai lavorano in subappalto del subappalto, con paghe sempre più basse. «Queste società sono localizzate soprattutto nel Milanese, ma inviano manodopera in tutta Italia. A volte, se gli operai hanno i documenti, viene fatto loro un contratto regolare part-time e vengono assunti da società fittizie che sono parte di altre società, in un sistema di scatole cinesi».

 

Oltre al lavoro nero, c’è tutta una serie di sottocategorie nel mondo dello sfruttamento lavorativo. C’è il cosiddetto lavoro grigio, cioè contratti per quattro ore di lavoro, anche se ne vengono lavorate il doppio o più. E poi ci sono i contratti alias. «Mio cognato ha lavorato così in due cantieri – racconta Halim (nome di fantasia) – gli hanno dato l’identità di un altro uomo, che era regolare, perché lui stava già lavorando in nero per un altro committente». Anche di questo si occupano le agenzie di caporali. «Le stime attuali dicono che nel 2023 c’è stata una mancanza di circa 90 mila figure specialistiche – spiegano dalla Fillea Cigl – e se consideriamo l’intero sviluppo del Pnrr si arriva a una richiesta di circa 150 mila edili».

 

Al contempo, negli ultimi anni nel settore edile c’è stato un aumento del numero di lavoratori senza permesso di soggiorno, tra quelli impiegati in nero. Basti pensare che si è passati dall’1,8% del 2018 all’8,4% del 2022. L’anno scorso, secondo l’informativa della ministra del Lavoro, Marina Calderone, i controlli hanno certificato che ci sono state situazioni di illegalità nel 76% dei cantieri. «Le condizioni di regolarità si possono migliorare in poco tempo – riprende Benati – per esempio, nel 2006, quando il decreto Bersani introdusse il tesserino di riconoscimento per entrare nei cantieri, nelle casse edili in pochi mesi furono iscritti quasi 100 mila lavoratori in più. Oggi il governo dovrebbe eliminare il subappalto a cascata negli appalti pubblici, introdotto dal ministro Matteo Salvini. E dovrebbe estendere le norme degli appalti pubblici, a tutela dei lavoratori, anche a quelli privati».

 

Se la richiesta di lavoratori esiste, vuole dire che chi sta lavorando in nero potrebbe non essere irregolare e non subire ingiustizie. «Essere sfruttati significa vivere costantemente sotto ricatto, sulla soglia della povertà e del pericolo, senza alcun diritto», racconta Emilio Mesanovic, della rete sociale YaBasta, SmallAxe e Nova Koinè. Al Nord come al Sud, l’edilizia è terreno fertile per il lavoro nero, soprattutto tra i migranti irregolari. «Tendenzialmente le aziende medie e grandi sono regolari o comunque hanno una facciata molto solida di legalità – dice Mesanovic che con il suo gruppo monitora la situazione nell’Agro Nocerino-Sarnese, in Campania – il problema sono le piccole ditte, che spesso usano manodopera con contratti in nero fornita dai caporali. Qualche giorno fa abbiamo seguito la vicenda di un ventiduenne della Guinea che ha perso tre dita mentre usava una sega circolare. Noi lo abbiamo aiutato ad avviare un percorso legale, ma alla fine ha ritirato la denuncia perché la ditta, in cambio del silenzio, lo ha pagato 5 mila euro». È questo il prezzo della salute di un giovane migrante in Italia oggi. La battaglia delle associazioni sui territori, lungo tutta la Penisola, è quotidiana, soprattutto per insegnare ai lavoratori in nero, stranieri o italiani, a essere consapevoli dei propri diritti.

 

A Firenze ora il settore edile è sotto i riflettori, con l’inchiesta giudiziaria per il crollo del cantiere, ma le cose non vanno meglio nel comparto tessile della zona di Prato. «Sono anni che assistiamo le vittime di sfruttamento», spiega Juri Meneghetti, segretario della Filctem Cgil di Prato-Pistoia: «Abbiamo una stima vaga dei numeri, ma possiamo azzardare a dire che 2 lavoratori su 3 sono soggetti a sfruttamento. Il fenomeno è importante e gravissimo. Infatti siamo parte civile in alcuni processi e continuiamo a denunciare questo sistema di produzione illegale, che macchia la parte sana e operosa del settore». Negli ultimi tempi, qui, ai lavoratori cinesi si sono aggiunti molti sub-sahariani, soprattutto senegalesi e gambiani. E capita, talvolta, che siano gli stessi cinesi a trasformarsi da sfruttati a sfruttatori. «Sono diminuiti i dormitori, cioè le fabbriche in cui gli operai dormivano, ma non mancano situazioni di vessazione anche fisica», dice ancora Meneghetti. L’anno scorso la Filctem ha assistito tre lavoratori che venivano picchiati con una cinghia se il loro rendimento calava: «Quando i lavoratori sfruttati si rivolgono al sindacato, la giustizia va a colpire il singolo datore di lavoro, ma bisogna iniziare a individuare e a colpire i committenti. In Italia le norme per evitare queste situazioni esistono, basterebbe applicarle».