Il caso

«Ho detto la verità sull'omicidio di Luca Attanasio. E ora rischio la vita»

di Antonella Napoli   3 aprile 2024

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Nel processo per l'assassinio dell’ambasciatore italiano in Congo, un testimone ha rivelato fatti e nomi rilevanti. Per questo adesso lui e la sua famiglia sono costretti a nascondersi

«Mia moglie e i miei figli, come io stesso sono stato costretto a fare prima di loro, hanno dovuto lasciare il Congo. Siamo in pericolo, su di noi pendono minacce di morte». A parlare è un alto ufficiale congolese di cui non riveliamo l’identità per salvaguardare la sicurezza sua e dei suoi familiari, che da pochi giorni sono in un luogo sicuro. Un testimone che ha rivelato fatti e nomi di persone coinvolte nell’agguato all’ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, vittima di un agguato il 22 febbraio del 2021 assieme al carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci, e all’autista del World Food Programme, Mustapha Milambo, con il quale viaggiavano sulla Route Nationale 2 nella provincia del Kivu.

 

Il militare, che è stato tra i primi inquirenti a indagare sul triplice delitto prima di essere esautorato dalla Commissione governativa arrivata a Goma da Kinshasa un mese dopo l’imboscata, è riuscito a far uscire dal Paese la famiglia con le sue sole forze, dopo che il tentativo di farli arrivare in Italia di uno degli avvocati dei parenti delle vittime dell’agguato, per far sì che potesse essere ascoltato come teste dai magistrati italiani, era stato bloccato dalla nostra ambasciata a Kinshasa.

 

Dice chiaramente che il processo in Congo, che è ripreso il mese scorso in Appello, è una farsa. Intanto tutta una serie di ufficiali, un magistrato e alcuni testimoni sono morti o spariti nel nulla. Secondo la nostra fonte, quella del sequestro finito male è una tesi costruita ad arte per coprire una vera e propria esecuzione e che gli imputati condannati in primo grado all’ergastolo sono dei capri espiatori di «una messa in scena».

 

«Chi ha agito quel giorno proveniva dal Ruanda, con l’aiuto di un colonnello delle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo», aveva rivelato l’ufficiale a un funzionario della sede diplomatica italiana a Kinshasa. «A Kikumba ha operato un gruppo strutturato, con un obiettivo politico. Ma le indagini delle autorità locali su questa pista sono state sospese e il fascicolo chiuso. Spetta all’Italia fare chiarezza», è la ferma convinzione del militare.

 

L’ufficiale era nel team di inquirenti di Goma che aveva condotto le indagini nelle prime fasi e aveva disposto l’arresto di alcuni soldati congolesi sospettati di essere coinvolti nell’agguato. Il testimone aveva evidenziato come gli assalitori, secondo le informazioni da lui acquisite, fossero sul posto già dal sabato precedente l’attacco e sosteneva che il comandante di un battaglione delle Forze Armate del Congo, nonostante numerosi ordini di comparizione «aveva impunemente omesso di presentarsi».

 

Tra le informazioni acquisite, quella relativa alla rimozione, poco prima della missione a Goma organizzata dal vicedirettore del Wfp in RdC Rocco Leone, del checkpoint dell’esercito istituito in località “Trois Antennes”, l’area dove si era consumato il triplice delitto. Nell’ambito delle indagini sulla smobilitazione di quel posto di blocco, predisposto a seguito di sequestri di civili a opera di gruppi armati sulla Route Nationale 2, erano stati arrestati alcuni soldati.

 

A inizio marzo del 2021, quando è arrivata da Kinshasa la commissione incaricata di affiancare la Procura militare di Goma, i fermati sono stati liberati e la convocazione del colonnello dell’altro reggimento impegnato nella zona, annullata. Infine, la squadra che seguiva quelle indagini era stata smantellata e l’inchiesta chiusa.