L'emendamento che permette l'ingresso delle associazioni pro vita nei luoghi in cui dovrebbe essere garantito il diritto all'aborto è solo l'ultimo passaggio di una strategia più ampia. Che punta a escludere le associazioni sul territorio. Come dimostra il caso del Lazio

Il governo Meloni e i suoi uomini - il plurale maschile in questo caso è d’obbligo - stanno mettendo in seria difficoltà il lavoro e la sopravvivenza dei centri antiviolenza femministi e dei consultori. Non solo a livello nazionale, ma suggellando il cambio di rotta attraverso politiche regionali. 
 

L'emendamento di FdI al decreto Pnrr, su cui il governo ha votato la fiducia lo scorso 23 aprile, in cui si permette alle Regioni di «avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità», è stato infatti pienamente recepito dal meloniano Francesco Rocca, presidente della Regione Lazio. Un emendamento che, come ha sottolineato anche la Commissione europea degli Affari economici e finanziari, rappresenta un uso improprio dei fondi del Pnrr e che non porta alcun miglioramento alla sanità pubblica, rinforzando il legame già esistente tra i vertici del governo e le associazioni antiabortiste fondamentaliste. 

 

Proprio nel giorno in cui la Legge 194 compie 46 anni, è stata bocciata la mozione presentata dal Partito Democratico per tutelare i consultori dall’ingresso delle associazioni pro vita che l’emendamento del governo Meloni, neanche troppo velatamente, prevede:  la maggioranza di centrodestra della Regione ha respinto la mozione, confermando la volontà di includere queste associazioni nei consultori pubblici, suscitando la reazione indignata delle consigliere del Pd e soprattutto dei movimenti, che il 25 maggio saranno in piazza per la manifestazione organizzata da Non Una di Meno al fianco dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e degli Sportelli antiviolenza. «Aprire i consultori alle associazioni pro vita è motivo di grande preoccupazione per il rischio di vittimizzazione istituzionale al quale potrebbero essere esposte le donne. Vogliamo un confronto, che è assolutamente necessario, tra associazioni esperte e istituzioni, per la valutazione di politiche integrate e coordinate contro la violenza di genere», spiega Serena Di Carlo, presidente dell’associazione Risorse Donna che gestisce il centro “Stella polare” di Frosinone.

 

Non sono solo i consultori, infatti, a essere sotto attacco. Anche i centri antiviolenza si trovano nella stessa situazione e sono in mobilitazione: «Le politiche regionali stanno erodendo progressivamente il nostro ruolo, delegando servizi cruciali a enti non specializzati che non hanno la competenza necessaria per affrontare situazioni così delicate», ha spiegato Anna Vigilante, presidente del centro antiviolenza "Il nido di Ana" a Rieti. Una cattiva pratica rilevata anche da Grevio, organo indipendente del Consiglio d’Europa con il compito di monitorare l’attuazione della Convenzione di Istanbul all’interno dei Paesi firmatari. «È fondamentale che le istituzioni collaborino con noi e riconoscano l'importanza del nostro lavoro. Senza un adeguato supporto, rischiamo di non poter garantire l'assistenza necessaria alle donne che si rivolgono a noi in cerca di aiuto»​​.

 

Il coordinamento dei Centri antiviolenza della rete D.i.Re – Donne in rete contro la violenza della regione Lazio di cui “Il nido di Ana” fa parte insieme a Lucha Y Siesta, Erinna, Donne in genere e Risorse donna, ha inviato oggi una lettera aperta a Francesco Rocca, esprimendo preoccupazione per la mancanza di coinvolgimento delle organizzazioni femministe nella progettazione delle politiche contro la violenza di genere​​: «Nonostante i centri e le case rifugio costituiscano uno snodo centrale nella rete di presa in carico territoriale, l'assenza di politiche di coordinamento efficaci e di valorizzazione delle competenze maturate dalle associazioni di donne ha reso invisibile il loro lavoro»​​, si legge nel documento. «La scrittura di questa lettera era prevista già da un po’, anche prima dell’attacco alla 194, perché durante l’assemblea nazionale di D.i.Re era emerso come in molte regioni le associazioni femministe che gestiscono da tempo i centri antiviolenza siano state tagliate fuori dalle gare di appalto. Questo è accaduto a Terni in Umbria, ma anche in Liguria e Lombardia, dove i Cav da tempo lamentavano questa indicazioni delle loro regioni», ha spiegato Vigilante che insieme alla rete D.i.Re teme che la direzione sia quella di una progressiva e sistematica neutralizzazione culturale degli spazi di contrasto alla violenza di genere femministi.

 

«Le recenti politiche nazionali e regionali sul contrasto alla violenza di genere tendono a promuovere un approccio istituzionale e non culturale alla violenza, volto all’erogazione di servizi assistenziali attraverso l'affidamento dei centri antiviolenza a enti gestori o cooperative non specializzate. Questo riduce al minimo i costi sui servizi essenziali favorendo i servizi generici che svuotano di senso sia i luoghi che i servizi offerti alle donne», ha aggiunto Di Carlo. È quanto sta già avvenendo a Roma per la Casa delle Donne Lucha Y Siesta, sotto sgombero della Regione Lazio - nonostante i due anni di coprogettazione portati avanti con la giunta precedente - che ha previsto la messa a bando della struttura. «Ne sono un esempo bandi e avvisi di enti comunali che mirano essenzialmente a fornire servizi tampone più idonei a dare un’immagine di intervento risolutorio che a sostenere adeguatamente la donna nel percorso di uscita dalla violenza», spiega Di Carlo.

 

Nella lettera indirizzata a Francesco Rocca la Rete dei centri antiviolenza D.i.Re hanno denunciato chiaramente che «l’impatto della neutralizzazione della specificità dei centri antiviolenza può essere drammatico, mettendo in discussione la certezza, gli spazi sicuri a sostegno delle donne, dei figli e delle figlie che le organizzazioni di donne, da sempre, hanno cercato di garantire». Senza il supporto delle associazioni femministe, il futuro dei diritti di tutte si fa sempre più nero.