La norma introdotta nel 1978 dovrebbe garantire un diritto alle donne che, ancora oggi, trova ostacoli di ogni tipo. Tra boicottaggio dell'aborto farmacologico, medici obiettori e associazioni pro vita nei consultori. Mentre un sondaggio conferma che gli italiani sono favorevoli a questo diritto e vorrebbero anzi più tutele

Saranno anche passati 46 anni da quando la legge 194 consente l'aborto, eppure il percorso resta una corsa a ostacoli. Uno slalom che oscilla tra medici obiettori, strutture inefficienti, mancanza di mezzi o informazioni e stigma sociale. «Normalmente ai compleanni si festeggia e invece ogni anno dobbiamo fare le sentinelle affinché la legge venga applicata», constata con rammarico Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’associazione Luca Coscioni. «Non c’è alcun motivo, che non sia la paura che le donne possano decidere sul proprio corpo, per non permettere l’aborto» libero e sicuro. Così sentenzia la deputata del M5s Gilda Sportiello, annunciando la proposta di legge del gruppo pentastellato depositata martedì alla Camera. Nel testo si chiede il divieto di accesso ai consultori agli antiabortisti - prevedendo nei loro confronti anche l’accusa di stalking - e assicurare personale non obiettore in ogni struttura. Ma si vorrebbe anche la pubblicazione di dati aggiornati sul sito del Ministero della Salute e un numero verde per orientare le persone che vogliano ricorrere all’Igv. 

 

A 15 anni dall’introduzione della procedura farmacologica, per molte è ancora un miraggio accedervi. E in sicurezza. «Secondo Istat, nel 2022 in Italia si contano 65.528 aborti volontari, di cui il 53.7% con terapia farmacologica», spiega Anna Pompili, ginecologa e consigliera generale dell’associazione Coscioni. Dati che si scontrano con quelli delle altre realtà europee. In Francia, che di recente ha riconosciuto in Costituzione l’interruzione volontaria di gravidanza, la RU486 è stata autorizzata nel 1988. Poi a seguire, in quasi altri cento paesi. Oltralpe, nel 2021, il 76% delle interruzioni volontarie di gravidanza sono state farmacologiche, l’87% in Inghilterra e Galles, il 98.2% in Finlandia. Anche l’anno dopo si conferma la procedura più scelta in Norvegia con il il 94.8% e in Svezia nel 96% dei casi. Cosa accada con certezza nelle strutture italiane invece è impossibile da sapere. Non solo perché «i dati non vengono forniti» commenta Gallo, ma anche perché non c'è una mappatura completa di quante e quali strutture offrano la procedura farmacologica. 

 

«Nonostante nel 2020 siano stati pubblicati gli aggiornamenti delle linee di indirizzo ministeriali, la stragrande maggioranza delle procedure in Italia è stata eseguita in regime di day hospital in ricovero. Questi ricoveri - prosegue Pompili - sono inappropriati. Questa inappropriatezza costituisce un ostacolo ingiustificato all’accesso all’aborto e al diritto di scelta delle donne e costituisce una violazione dell’articolo 15 (della legge 194 ndr)». Sostanzialmente questo articolo «affida alle Regioni, d’intesa con con università e enti ospedalieri, il compito di assicurare alle donne l’accesso alle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica e meno rischiose», spiega Filomena Gallo. La procedura farmacologica però «non è accessibile a tutte. Nella quasi totalità delle Regioni c’è disparità di accesso. Per esempio, in Sicilia viene erogata una sola modalità: quella chirurgica», non lasciando spazio ad alcuna scelta.

 

E comunque anche nel caso in cui si riuscisse ad accedervi, non è detto che sia veloce e indolore perché c’è un alto tasso di ospedalizzazione. Eppure, spiega Pompili, «il Royal College sostiene che non esista motivo per ricoverare una donna sana per aborto entro la 12esima settimana. Mentre l’Acog, associazione dei ginecologi e ostetrici americani, ci dice che il profilo di sicurezza della RU486 è sovrapponibile a quello dell’ibuprofene». Un farmaco da banco quindi. Inoltre, ci sono anche dei rischi legati ai ricoveri inappropriati «tra cui la contrazione di infezione». Ma poi le donne preferiscono stare in ospedale? No. «Oltre a fiumi di letteratura sul tema, c’è una revisione del 2022 che suggerisce che oltre il 90% delle donne preferisca il regime ambulatoriale con autosomministrazione dei farmaci a domicilio». Ma scegliere, in alcuni casi, non si può. 

 

E poi c’è l’aspetto dei costi, ovvero del rimborso che le Regioni fanno per le prestazioni in day hospital. «Per l’aborto chirurgico 1.090 euro, per l’aborto farmacologico in ricovero 230 euro per accesso - essendo almeno due gli accessi sono almeno 460 euro». Infine, «la Regione Lazio, l’unica ad oggi a prevedere un regime ambulatoriale con autosomministrazione, prevede un rimborso di 35,15 euro per farmaco, quindi 70 euro in totale. Alcuni amministratori giustificano quest’inerzia e questo spreco di risorse con difficoltà organizzative collegate alla necessità di adeguare le strutture alla nuova procedura. Sinceramente, non riesco a capire cosa si debba adeguare per dare in mano a una donna un farmaco che deve prendere a casa. L’aborto - chiosa Pompili - torna nelle mani delle donne e forse è questo il problema». 

 

Proprio in concomitanza del 46esimo compleanno della 194, la senatrice Cecilia D’Elia ha presentato un’interrogazione parlamentare che riguarda l’erogazione di entrambi i metodi di aborto consentiti in Italia: quello farmacologico e quello chirurgico. Interrogazione che sarà presentata anche alla Camera. Forse, repetita iuvant. Del resto l’applicazione viziata della legge è «un problema radicato e endemico, al di là dei partiti che sono al governo», afferma la deputata Giulia Pastorella. «In vista delle prossime elezioni Europee, l’auspicio è che l’Europa prenda la Francia come esempio». 

 

Nel frattempo in Italia - secondo un’indagine effettuata da Swg per l’associazione Luca Coscioni - il 75% degli intervistati si dice favorevole all’aborto. La quasi totalità di queste persone (il 90%) ritiene anche che la legge 194 vada aggiornata e migliorata. «I risultati del sondaggio - commenta Filomena Gallo - rivelano che non solo la maggior parte degli italiani si conferma a favore della possibilità di abortire, ma anche che c’è una crescente consapevolezza da parte dell’opinione pubblica. Migliorare la legge 194 significa prima di tutto rimuovere tutti quegli ostacoli che oggi ancora troppe donne si trovano ad affrontare. Chiediamo un intervento urgente per garantire la piena accessibilità alla procedura farmacologica per tutte». 

 

Un intervento che si concretizza nella richiesta dell'associazione di modificare alcune parti della legge «che mostrano urgenti criticità»: come l'eliminazione del periodo di attesa obbligatorio, che invita la donna ad attendere sette giorni, introdurre il «rischio per la salute» per le Ivg oltre il 90esimo giorno ed eliminare l'obbligo del medico di «salvaguardare la vita del feto».