L'economista Rinaldi stima i costi che la misura avrebbe per le finanze pubbliche, in base ai dati della prima indagine sulla povertà mestruale fatta in Italia. Da cui emerge anche che in un caso su sei ci si trova di fronte a difficoltà economiche per comprare i prodotti che servono per il ciclo

«Quando ho le mestruazioni mi sento stanca e molto dolorante, soprattutto i primi due giorni, mi sento a disagio al lavoro perché sto sempre in piedi e non sempre riesco ad andare a cambiarmi» racconta Francesca. «Avere le mestruazioni è una condanna, non si impara mai a conviverci davvero», aggiunge Chiara. «Per gli uomini trans le mestruazioni sono un argomento molto pesante. Per fortuna non le ho più, prima mi dovevo estraniare dal mio corpo per non viverle. Le mestruazioni sono l’espressione esteriore di un corpo in grado di creare vita, ma allo stesso tempo un calvario da sopportare se si ha la sfortuna di non desiderarle o se sono portatrici di dolori», spiega Luca.

 

Sono più di 300 le testimonianze raccolte da WeWorld per la prima indagine sulla povertà mestruale in Italia, realizzata in collaborazione con Ipsos. Dal rapporto, che sarà presentato il 27 maggio all'Università Sapienza, realizzato anche con il contributo di Equonomics e la School of gender economics di Unitelma Sapienza, emergono due punti principali e preoccupanti. 

 

Il primo è che quasi una persona su 6 dichiara di non poter mai, o solo raramente, permettersi di acquistare i prodotti mestruali desiderati. Quelli più utilizzati, dalla quasi totalità, sono gli assorbenti esterni monouso. Seguono le mutande riutilizzabili, gli assorbenti esterni riutilizzabili e la coppetta. Colpisce però che il 14 per cento degli intervistati dichiari di ricorrere all’uso della carta igienica per la gestione del sanguinamento. Tra i luoghi meno adeguati alle gestione delle mestruazioni spiccano le scuole e le università: per tre persone su dieci i bagni non sono sicuri. Per 4 su 10 non sono puliti. Quasi una persona su 4 racconta che è mancata la possibilità di chiudersi a chiave.

 

Il secondo punto importante che emerge dal report è che il 95 per cento di chi ha risposto alle domande della prima indagine sulla povertà mestruale in Italia dichiara di provare dolore durante il ciclo mestruale, con un’intensità media di 6,9 su una scala fino a 10. Ne consegue che in media le persone intervistate perdono ogni anno 6,2 giorni di scuola e 5,6 di lavoro a causa delle mestruazioni.

 

Proprio sulla base di questi dati, con l’obiettivo di promuovere una legge sul congedo mestruale che in Italia non esiste (ma esistono due disegni di legge, uno del 2016 che ha l’obiettivo di garantire un adeguato supporto alle donne, e uno del 2023 che prevede l’introduzione del congedo per studentesse e lavoratrici che soffrono di dismenorrea), l’economista Azzurra Rinaldi, ha realizzato una stima dei costi che il congedo mestruale comporterebbe per lo Stato.

 

Il calcolo parte da una stima della retribuzione media giornaliera di una donna in età fertile in Italia: 74 euro. Se si considerano tre giorni di permesso al mese - come succede in Spagna che ha introdotto il congedo per le donne che soffrono di dismenorrea primaria - il costo procapite l’anno sarebbe di 2.664 euro. Per un totale di quasi un miliardo (994,5 milioni) se si considerano solo le donne che dichiarano di provare dolore durante ogni ciclo (il 32 per cento del campione secondo l’indagine). E se lo Stato si facesse carico del 100 per cento della copertura. 

 

Se la copertura fosse al 60 per cento, come nel caso spagnolo, la spesa a carico delle finanze pubbliche ammonterebbe a 596,7 milioni di euro. Considerando nell’ipotesi di calcolo tutte le donne lavoratrici in età fertile, e non soltanto a chi soffre di dismenorrea, invece il costo complessivo del congedo mestruale sarebbe di 3,1 miliardi.

 

«Il congedo mestruale è il minimo che possiamo aspettarci da uno Stato che sia veramente interessato a temi di giustizia sociale. Dalla stima realizzata emerge che anche nella versione più estesa possibile, il congedo mestruale è una spesa che il bilancio pubblico può permettersi di sostenere, semplicemente facendo delle scelte e decidendo quali sono le vulnerabilità a cui dare supporto e porre rimedio. Partendo dai numeri, inoltre, anche qualora si decidesse di procedere con una copertura per tutte le lavoratrici in età fertile, e non solo per coloro che soffrono di dismenorrea, la spesa rappresenterebbe soltanto lo 0,25 per cento del totale stanziato nella scorsa manovra finanziaria», conclude Rinaldi.