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Il ministro Crosetto: "Israele semina odio"
Meloni scommette su una maggioranza diversa in Ue. Schlein: "Il Ponte sullo stretto? Un progetto vecchio di 15 anni". Le parole del Papa contro i seminaristi gay. I fatti da conoscere
Affondo di Crosetto su Rafah, Israele semina odio
Con l'offensiva a Rafah «ho l'impressione che Israele stia seminando un odio che coinvolgerà figli e nipoti. Hamas è un conto, il popolo palestinese è un altro. Dovevano discernere tra le due cose e fare una scelta più coraggiosa dal punto di vista democratico». Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha preso una posizione netta sul conflitto in Medio Oriente. E il M5s ha colto la palla al balzo per rilanciare, depositando una mozione alla Camera che chiede al governo il riconoscimento dello Stato di Palestina. Sui social, Crosetto ha spiegato in modo più ampio il significato del suo ragionamento che, ha sottolineato, ha già condiviso con il suo «omologo israeliano». Ci sono «il riconoscimento del forte e legittimo risentimento che prova Israele in seguito agli attentati del 7 ottobre e la condivisione di una necessaria immediata reazione militare su Gaza» ma tutto questo «non può essere disgiunto dalla preoccupazione che effettivamente desta la situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e dagli effetti che si stanno registrando in tutto il mondo». Per Crosetto, il rischio è «far crescere ancor di più e radicare i sentimenti di odio per Israele sia in Medio oriente che altrove. E questo odio può sfociare in atti e rischi di volgare e pericoloso antisemitismo». Quindi, «non sto attaccando Israele - ha spiegato - di cui sono sempre stato amico, o la sua legittima reazione contro il feroce attacco di Hamas». Per i Cinque stelle, però, non basta: «Meloni non può più nascondere la testa sotto la sabbia». La sfida sul riconoscimento della Palestina è alla premier, ma lo scatto ha messo le altre opposizioni nella condizione di dover decidere se inseguirlo. Il terreno è condiviso ma, col voto alle europee che si fa sempre più vicino, chi parte per primo marca la posizione, mette un timbro sulla linea. Eppure, il percorso è già stato battuto. A metà febbraio, alla Camera venne discussa una serie di mozioni presentate da Pd, M5s e Avs che, tra l'altro, chiedevano il riconoscimento della Palestina da parte dell'Ue: vennero respinte. Mentre - anche in seguito a una telefonata fra la premier Giorgia Meloni e la segretaria Pd Elly Schlein - il centrodestra si astenne sulla richiesta al Governo di adoperarsi per il «cessate il fuoco umanitario a Gaza», che quindi venne approvata. Pur senza citare la mozione M5s, il Pd ha ribadito l'orientamento: «È tempo di fermare il governo israeliano - ha scritto sui social la capogruppo alla Camera, Chiara Braga - La strage di Rafah segna l'ennesima violenza contro civili, molti bambini. L'Europa faccia la sua parte per imporre il cessate il fuoco e il riconoscimento dello stato di Palestina». Ci sarà da capire se stavolta le opposizioni riusciranno a presentare una mozione unitaria, prendendo magari le mosse da quella depositata dal M5s. Il documento Cinque stelle censura l'astensione dell'Italia del 10 maggio, quando l'Assemblea Onu ha votato la risoluzione per riconoscere la Palestina come qualificata per diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite. E arriva sulla scia degli annunci di Spagna, Norvegia e Irlanda, che riconosceranno ufficialmente lo stato di Palestina. «I nostri candidati - ripete il presidente del M5s, Giuseppe Conte - andranno in Europa per dire basta al massacro in corso a Gaza ma anche per rivendicare il diritto di Israele di esistere». Il ministro Crosetto è preoccupato: «Siamo di fronte a una situazione sempre più difficile nella quale il popolo palestinese viene compresso senza tener conto delle drammatiche difficoltà e dei diritti di uomini, donne e bambini innocenti che nulla hanno a che fare con Hamas. Questa cosa non è più giustificabile». E su Kiev ha criticato il presidente francese: «Soprattutto sotto elezioni - ha detto - alcuni leader, penso a Macron, parlano delle loro idee senza averle confrontate e poi si creano queste panne montate dalle quali è difficile uscire. Noi dovremmo essere compatti. Noi e la Nato abbiamo dato dei caveat chiari, e mai nessuno ha pensato di intervenire» nella guerra in Ucraina.
Zelensky a Madrid: "No alla Russia al summit di pace"
In ritardo di giorni sulla data inizialmente prevista, a causa della dura offensiva russa nella regione di Kharkiv, Volodymyr Zelensky è giunto a Madrid, accolto con onori di Stato da re Felipe VI nella sua prima visita ufficiale in Spagna. Per incassare un accordo bilaterale in materia di sicurezza e difesa che prevede aiuti militari record di oltre 1,1 miliardi di euro nel 2024. Un'energica stretta di mano al Palazzo della Moncloa con il premier Pedro Sanchez ha sigillato il memorandum d'intesa di durata decennale, che comprende oltre agli armamenti, cooperazione civile e umanitaria fino alla ricostruzione e all'entrata dell'Ucraina nella Nato. «Resteremo accanto all'Ucraina per tutto il tempo necessario, fino a che sarà garantita la sua libertà, rispettata la sua sovranità nazionale e restaurata l'integrità territoriale» delle sue frontiere riconosciute dal 1991, ha ribadito Sanchez. Nel ricordare che la Spagna contribuisce inoltre al finanziamento Ue mediante il Fondo europeo di appoggio alla pace, che ha già impegnato 11 miliardi ai quali se ne aggiungeranno altri 5 fino al 2027 del Fondo di assistenza all'Ucraina. Gli aiuti militari consentiranno a Kiev di «rafforzare la sua difesa», inclusi i tank Leopard, munizioni e «i sistemi di difesa antiaerea Patriot, essenziali per proteggere la popolazione civili dagli attacchi russi indiscriminati, come quelli nel fine settimana a Kharkiv», che hanno ucciso 16 persone, ha rilevato Sanchez. Poi, sollecitato dalle domande dei cronisti, ha specificato che Madrid «non contempla l'uso» di questi armamenti per attacchi in territorio russo. Ma ha insistito sulla «enorme rilevanza» dell'accordo. «L'aggressione russa continua dopo oltre 2 anni, e per questo è più necessario di sempre raddoppiare il supporto». Zelensky ha ricordato di aver dovuto ritardare la sua visita in Spagna per problemi sui fronti di Kharkiv e nel Donbass. E ha ringraziato «soprattutto il popolo spagnolo» per la solidarietà all'Ucraina in uno dei momenti cruciali della sua storia. In inferiorità per uomini e sistemi di difesa antiaerei sul terreno, il presidente ucraino ha ricordato che «l'esercito russo ha impiegato oltre 3.000 missili in un mese», compreso l'ultimo attacco di sabato «deliberato e calcolato» alla popolazione civile. E ha ribadito la richiesta di poter contare su una quantità equiparabile di missili antiaerei e piattaforme di lancio per far fronte alle incursioni. «Sono misure difensive, non offensive», ha assicurato, riconoscendo che «la Spagna da sola non può aiutarci» ma può dare una mano «a convincere altri Paesi» a cedere sistemi antiaerei a Kiev. Tutti gli sforzi sono orientati «alla ricerca di una pace giusta e duratura», ha ripetuto Zelensky con Sanchez. Ma ha rifiutato l'idea di vedere Mosca seduta al vertice in Svizzera del 16 e 17 giugno perché «bloccherebbe ogni tentativo di pace». L'obiettivo del summit al quale il presidente ucraino ha invitato «i leader che vogliono che la guerra termini» è «l'unanimità» su «un documento di consenso a livello globale da presentare a terze parti e col quale fare pressione sulla Russia». Zelensky si è quindi detto pronto a valutare «tutte le possibili vie d'uscita dal conflitto e sarà aperto alle proposte, ma basate sull'iniziativa di Kiev, perché non c'è bisogno di inventarsi nulla».
Meloni: "Una maggioranza diversa in Ue"
«C'è il margine per costruire una maggioranza diversa in Europa». Sarà l'avvicinarsi delle urne, sarà il ritrovato feeling con Marine Le Pen, ma da qualche giorno la premier Giorgia Meloni ha inclinato il suo racconto della futura Eurocamera su un piano che va in direzione opposta alla maggioranza Ursula. Da un lato, infatti, la premier continua a ripetere che solo dopo le elezioni il quadro potrà essere chiaro. Dall'altro, tuttavia, pone l'accento sulla possibilità di un'alleanza diversa alla guida dell'Ue. Un'alleanza che non può prevedere la coabitazione di FdI con i Socialisti. In un gioco di specchi, le parole di Meloni trovano però una risposta via via più veemente da parte dei partiti europeisti. A loro si è rivolto, da Dresda, Emmanuel Macron, scandendo un avvertimento: «Il vento dell'autoritarismo tira ovunque in Europa. Per questo motivo dobbiamo svegliarci!». Il presidente francese ha lasciato ben poco al caso nella sua missione in Germania. Ha parlato dalla città roccaforte dell'estrema destra tedesca, nel corso della prima visita di Stato francese in 24 anni. Una visita puntellata dagli incontri con il cancelliere Olaf Scholz, che ha avuto un duplice obiettivo: smussare le divergenze che, negli ultimi mesi, hanno segnato i rapporti tra Parigi e Berlino e dare nuova linfa all'asse europeista di fronte all'ascesa dell'ultradestra. «Questa non è solo una tendenza, è una realtà in Ungheria. E fino a poco tempo fa lo era in Polonia. Queste idee si diffondono ovunque. Vengono alimentate dagli estremisti, in particolare dall'estrema destra», ha sottolineato Macron. Nel suo discorso da un palco situato accanto alla Frauenkirche, simbolo delle distruzioni della Seconda guerra mondiale, Macron ha voluto anche lanciare un netto messaggio al fronte dei frugali, Germania inclusa: quello di un nuovo «paradigma» della crescita adeguato alle sfide che ha di fronte l'Ue. «Dobbiamo raddoppiare il nostro bilancio europeo», ha sottolineato il capo dell'Eliseo, citando l'opzione più detestata dal fronte del Nord, quella "del debito comune». Le parole di Macron danno forza a un messaggio che sia i liberali sia i Socialisti da giorni recapitano al Ppe e a Ursula von der Leyen, accusati di aver eccessivamente strizzato l'occhio alle destre e ai sovranisti. «La nostra linea rimane chiara: non collaboreremo né con l'estrema destra né con chi stringerà accordi con loro», ha sottolineato all'ANSA la capogruppo di S&D Iratxe Garcia Perez soffermandosi sull'ipotesi di una maggioranza che coinvolga anche una parte del gruppo Ecr. I liberali, guidati proprio dai macroniani, neppure hanno cambiato posizione e considerano non percorribile un'alleanza con Meloni. Una maggioranza tra liberali, popolari e conservatori, al momento sembra impossibile. Certo, bisognerà anche vedere sotto quali gruppi si presenteranno le destre e i sovranisti. Il primo segnale è stata l'espulsione di AfD dal gruppo Id, arrivata su iniziativa di Le Pen. Un secondo segnale potrebbe essere l'avvicinamento di Viktor Orban a Ecr - come vorrebbe il Pis, e come ha annunciato lo stesso premier ungherese - o, chissà, anche in Id. Il nocciolo della questione, tuttavia, non cambia. Von der Leyen potrebbe, teoricamente, contare su un sostegno di Meloni ma non può e non vuole sorreggersi sui voti di lepenisti, leghisti, orbaniani, spagnoli di Vox. Teoricamente, la presidente uscente potrebbe continuare a contare sulla maggioranza attuale, che tuttavia uscirà numericamente indebolita dal voto. Soprattutto, complice lo scrutinio segreto, la Spitzenkandidat tedesca non può avere certezza che il voto all'Eurocamera di Ppe, S&D e liberali si tramuti nel necessario plebiscito per lei.
Elly Schlein contro il Ponte di Messina: "Un progetto vecchio di 15 anni"
«Il progetto del Ponte sullo Stretto, messo a punto dal ministero dei Trasporti e delle Infrastrutture è vecchio di 15 anni, aggiornato alla buona. L'avevamo contestato anche con un esposto che avevamo presentato insieme a Bonelli e Fratoianni per fare chiarezza mentre ci impedivano, come parlamentari, di accedere agli atti». Lo ha detto la segretaria del Pd, Elly Schlein, nel corso di una diretta Instagram a bordo di un traghetto mentre attraversa lo Stretto. Al progetto, ha incalzato la leader Dem, «ci sono 68 rilievi posti dalla stessa Commissione, nominata dal Ministero, sulle questioni fondamentali come i test per i venti e i terremoti, l'analisi dei materiali, la valutazione sulla tenuta dei cavi di acciaio, la tenuta sismica. Tutti rilievi che non sono ancora stati riscontrati positivamente, così come le centinaia di osservazioni fatte dal Ministero dell'Ambiente». Secondo Schlein «non esiste un vero e proprio progetto esecutivo, l'hanno rimesso insieme alla buona. Poi ci sono migliaia di espropri previsti, ne sono stati annunciati se non sbaglio 500, ma in realtà se ne aspettano molti di più. I posti di lavoro assegnati - ha concluso- non sono i 120.000 inizialmente annunciati, poi diventati 60.000, poi ridotti a 40.000. Stiamo parlando di qualche migliaio».
L'appello omofobo del Papa contro le persone gay nei seminari
Durissimo attacco di Papa Francesco contro la presenza delle persone omosessuali nei seminari. Nell'incontro a porte chiuse con gli oltre 200 vescovi italiani, che lunedì scorso ha aperto nell'Aula del Sinodo l'assemblea generale della Cei, il Pontefice su questo argomento si è lanciato in serratissimi richiami verso una maggiore selezione negli accessi ai seminari, non senza usare termini anche coloriti e puntando persino il dito - come ha riferito il sito Dagospia, seguito poi da altri media - contro l'eccesso di «frociaggine». Il severo intervento del Pontefice, che non ha mancato di sorprendere i presenti, è confermato da diverse fonti. Per Bergoglio, quindi, non vanno ammessi omosessuali nei seminari. Dal «chi sono io per giudicare». a una posizione ora molto più tranchant, se non altro per quanto riguarda la selezione e formazione dei sacerdoti. Il tema è oggetto di dibattito da molti anni, e già un'istruzione del dicastero vaticano per il Clero del 2005 - sotto Benedetto XVI - confermata nel 2016 con Papa Francesco, stabiliva che «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». I vescovi italiani, da parte loro, nell'ultima assemblea svoltasi ad Assisi avevano dibattuto sulla possibilità di restrizioni più sfumate, sentendosi incoraggiati proprio dalle passate aperture di Bergoglio sul tema dell'omosessualità. Pur tra molte contestazioni, era stato quindi approvato un emendamento che si limitava a distinguere tra «atti» e «tendenze»., ribadendo l'obbligo del celibato per tutti i seminaristi, omosessuali ed eterosessuali, e aprendo così la porta dei seminari ai candidati gay al sacerdozio impegnati però nell'opzione del celibato. Ma nel confronto di un'ora e mezza con i presuli, di fatto il Papa ha sbarrato la strada: quindi rispetto, sì, per la persona gay che bussa alle porte del seminario, ma ponendo dei fermi paletti all'accesso per evitare che l'omosessuale che sceglie il sacerdozio finisca per fare una doppia vita, con tutte le conseguenze negative del caso. E per rafforzare il suo parere ed essere chiaro anche con una battuta, Francesco avrebbe recriminato esplicitamente sull'eccesso di «frociaggine». in certi seminari italiani. Sull'uscita del Papa hanno evitato commenti oggi sia gli ambienti Cei sia la Santa Sede. Un certo nervosismo, comunque, si è manifestato nei modi spicci con cui i gendarmi hanno allontanato i giornalisti, facendo cordone attorno al cardinale Pietro Parolin, in occasione della messa a Santa Maria Maggiore per la 61/a Giornata dell'Africa.