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Dopo le chat neofasciste Signorelli si dimette da portavoce di Lollobrigida: "Ma sono cambiato. Vado ogni anno a Medjugore"

di Simone Alliva   11 giugno 2024

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E poi Hamas accetta risoluzione Onu. Zelensky a Berlino. Von der Leyen riparte dai filo-Ue. I fatti da conoscere

Signorelli si dimette da portavoce di Lollobrigida 

«Ho deciso di dimettermi da portavoce del ministro Lollobrigida»: ad annunciarlo è stato Paolo Signorelli in un colloquio pubblicato dal quotidiano il Foglio. Signorelli era finito al centro delle cronache dopo la pubblicazione su Repubblica di un dialogo con Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik capo ultrà della Lazio, estremista di destra e trafficante di droga ucciso a Roma il 7 agosto 2019. Dall'intercettazione, agli atti dell'inchiesta per l'omicidio, emergevano nostalgie neofasciste e frasi antisemite delle quali oggi Signorelli si dice distante, come scrive Il Foglio, è oggi marito e padre di tre figli, «che ogni anno va a Medjugore", che non si riconosce affatto in parole stupide pronunciate con sciocca inconsapevolezza, e in altri errori del suo passato: «Era un'altra fase della mia vita, quello era un altro Paolo: sono notizie che parlano di un tempo lontano a cui non faccio riferimento e in cui non mi riconosco in nessun modo. Il passato - ha spiegato - non si rinnega, anche se si commettono errori. Ma da persona matura non sono più vicino ad ambienti che per tanti motivi ho frequentato». Quali motivi? «Sono un ex calciatore, vengo da una storia famigliare che non rinnego (è il nipote dell'omonimo Paolo Signorelli, esponente dell'estrema destra e fondatore di Ordine nuovo) e pur rimanendo un tifoso della Lazio da anni non vado in curva». Signorelli - riporta il quotidiano - ieri ha incontrato il ministro dell'Agricoltura Lollobrigida e gli ha comunicato la sua decisione. «Visti anche i rapporti con i miei colleghi che in questi giorni, in camera caritatis, mi hanno espresso solidarietà. Ma questa bufera mi impedisce di continuare a fare il mio lavoro: così ho rassegnato le dimissioni che il ministro ha accettato. Lo ringrazio per la vicinanza alla mia famiglia e la conferma della stima nei miei confronti. Ringrazio Giorgia Meloni, Arianna e tutti coloro i quali ho avuto il piacere di lavorare».

 

 

 

Hamas accetta risoluzione Onu ed è pronto a negoziare

Hamas accetta la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu per il cessate il fuoco ed è pronto a negoziare i dettagli. Lo ha detto a Reuters l'alto responsabile di Hamas Sami Abu Zuhri. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha adottato ieri un progetto di risoluzione statunitense a sostegno del piano di cessate-il-fuoco a Gaza. Il testo, che "accoglie favorevolmente" la proposta di tregua annunciata il 31 maggio dal presidente americano Joe Biden e invita Israele e Hamas "ad attuarne pienamente i termini, "senza indugi e senza condizioni", ha ricevuto 14 voti favorevoli, con l'astensione della Russia

 

 

Zelensky a Berlino: incontro con Scholz e Steinmeier

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è arrivato ieri sera a Berlino, dove incontrerà il cancelliere Olaf Scholz e il presidente Frank-Walter Steinmeier e parteciperà alla Conferenza sulla ricostruzione dell'Ucraina: lo ha annunciato lo stesso capo di Stato su X. «Io e il cancelliere Scholz discuteremo della continuazione dell'assistenza alla difesa, dell'espansione del sistema di difesa aerea dell'Ucraina e della produzione congiunta di armi», ha scritto Zelensky. La Germania ha recentemente autorizzato l'Ucraina a utilizzare armi tedesche per colpire obiettivi in Russia, cosa che fino ad ora è stata riluttante a fare, come altri paesi occidentali, per paura di un'escalation. Dopo l'invasione russa nel febbraio 2022, Berlino ha abbandonato la sua posizione tradizionalmente pacifista per diventare il secondo maggiore fornitore di aiuti militari all'Ucraina in termini assoluti, dietro agli Stati Uniti.

 

 

Tra i bilaterali di Lula al G7 anche il Papa e Von der Leyen
 Il presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva, terrà riunioni bilaterali con papa Francesco e con la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen a margine della sua partecipazione al G7 in Puglia. Lo riferisce un comunicato della presidenza brasiliana, dove si precisano alcune delle attività dell'agenda europea del presidente brasiliano, che prenderà il via il 13 giugno a Ginevra con la partecipazione al Forum inaugurale della Coalizione per la giustizia sociale dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Oil). Nell'ambito del G7, Lula parteciperà il 14 giugno alla sessione del cosiddetto 'segmento esterno' del gruppo dei sette centrata sui temi dell'intelligenza artificiale, dell'energia, dell'Africa e del Mediterraneo, alla quale partecipa anche il pontefice. «Il presidente farà una presentazione degli obiettivi brasiliani legati all'economia digitale, alla transizione energetica e alla promozione della pace», si afferma nella nota. Al termine della sessione i leader procederanno agli incontri bilaterali e il presidente Lula ad oggi - si sottolinea - ha confermato incontri bilaterali con papa Francesco, il primo ministro dell'India, Narendra Modi, il presidente del Sudafrica, Cyril Ramaphosa, e la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen. Nessun accenno invece a un faccia a faccia con il presidente dell'Argentina, Javier Milei, pure invitato al G7, e con il quale Lula mantiene tuttora una relazione estremamente tesa a sei mesi dall'insediamento. 

 

 

Von der Leyen riparte dai filo-Ue ma non taglia i ponti con Meloni

Piccoli passi, pochi punti fermi, un solo obiettivo: riprendersi la presidenza della Commissione entro l'estate. Ursula Von der Leyen ha vinto e convinto nel primo tempo della sua partita per il bis. Ma la partita non è finita. Tutt'altro. A Bruxelles è arrivato il tempo delle trattative, dei capannelli, degli sgambetti evocati, minacciati, sognati. E' arrivato il tempo di formare quella maggioranza che possa blindare non solo l'ex ministra tedesca ma l'intero pacchetto dei top job. La valanga sovranista, nel fronte europeista, ha innescato un riflesso incondizionato: compattarsi per mantenere intatti gli equilibri. Von der Leyen e Manfred Weber hanno scandito che nei negoziati partiranno da Socialisti e Liberali, ricevendo un'immediata apertura. Ma ad una condizione: Giorgia Meloni non deve far parte della coalizione. Nel bene e nel male tuttavia tutti dovranno tenere conto di Meloni e Le Pen in Ue. Il dialogo tra il Ppe e la leader del Rassemblement non è mai stato ipotizzabile. Quello con Meloni, invece, è stato una possibilità concreta fino ad una manciata di giorni fa. Ora Von der Leyen deve muoversi con maggiore prudenza. Aprire esplicitamente a Meloni significherebbe perdere i voti di S&D e Renew, o almeno di una loro parte. «Se il Ppe negozia con i Conservatori e Riformisti noi non ci saremo», ha avvertito il Partito socialista europeo. «Nessun accordo con Meloni, con il PiS, con Reconquete. E' l'estrema destra e noi vogliamo preservare il cordone sanitario», ha rincarato la dose la capogruppo di Renew Valerie Hayer. Entrambi i partner del Ppe hanno il miglior jolly da giocarsi con i Popolari: sono indispensabili per riformare la maggioranza Ursula. Il Ppe, avvezzo da decenni a trattative complesse e levantine, ne è perfettamente consapevole. Allo stesso tempo ha tutta l'intenzione di mettere sul tavolo un punto: sono loro i vincitori delle Europee di fronte ad un asse franco-tedesco uscito quasi a pezzi dalla tornata elettorale. Il Ppe lo dirà chiaramente nelle trattative tra i gruppi parlamentari e in quelle tra i leader europei, chiedendo il rispetto dell'esito del voto. Si comincerà il 17 giugno con la cena informale dei 27. I negoziatori saranno Donald Tusk e Kyriakos Mitsotakis per il Ppe, Pedro Sanchez e Olaf Scholz per i Socialisti. In realtà i colloqui sono già iniziati. A Bruxelles sono attese le prime riunioni informali dei gruppi. A margine del G7 quasi certamente i leader europei parleranno di top job. Punti fermi, si diceva. Von der Leyen ha chiarito che nei negoziati partirà dal Pse e «dalle grandi famiglie europee che hanno ben collaborato" ma lascerà "le porte aperte" ad altri. A chi? I leader del Ppe - inclusi i capi di Stato e di governo - ne hanno parlato in una prima riunione in videocall. Il primo indizio porta ai Verdi, anche se nessuno al momento può escludere nulla. Una parte del Ppe ad esempio farebbe comodamente a meno dell'apertura agli ambientalisti. Ma i Verdi sono filo-Ucraina e sono una garanzia per la tutela di quel Green Deal che le destre e i sovranisti hanno come primo bersaglio. La maggioranza Ursula, senza i Greens, è di 400 seggi, 40 in più dei 360 richiesti. Con i 53 membri dei Verdi anche il pericolo dei franchi tiratori sarebbe marginale. Pericolo che, invece esiste. Basta guardare alle prudenza di Antonio Tajani, secondo il quale «è ancora troppo presto» per parlare del bis di Ursula. Le destre non stanno certo a guardare. Mercoledì Le Pen e Matteo Salvini, a Bruxelles, decideranno se riaprire la porta a AfD e faranno il punto sulla prospettiva del gruppo Id, uscito più forte, così come Ecr. L'ipotesi del gruppo unico non è esclusa. Viktor Orban è tornato a caldeggiarla. Ma a quel punto il posizionamento di Meloni sarebbe sul fronte opposto a quello di Von der Leyen, e difficilmente potrebbe trovare alchimie politiche per avvicinarsi. A tutto ciò va aggiunto l'ultimo rebus, quello dei quasi cento non iscritti. Spesso si tratta di partiti ex novo, che potrebbero ulteriormente rafforzare i sovranisti. Alcune delegazioni, però, andranno al Ppe, altre ancora si distribuiranno tra i Liberali, S&D e The Left. Molto dipenderà dai programmi, molto dall'offerta. Il quartiere europeo potrebbe trasformarsi in un unico, grande suq.