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La proposta della Lega: "Stop a immagini con la canapa. Altrimenti due anni di carcere"

di Simone Alliva   30 maggio 2024

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L'ok del Cdm alla riforma della giustizia. Rissa in Aula sul premierato. Il sospetto delle bombe americane su Rafah. Biden valuta l'ok sugli attacchi di Kiev in Russia. I fatti da conoscere

La proposta Lega: "Due anni di carcere per chi riproduce il logo della cannabis" 
"È vietato l'utilizzo di immagini o disegni, anche in forma stilizzata, che riproducano l'intera pianta di canapa o sue parti su insegne, cartelli, manifesti e qualsiasi altro mezzo di pubblicità per la promozione di attività commerciali. In caso di inosservanza è prevista la pena della reclusione da 6 mesi a 2 anni e della multa fino a 20mila euro". Lo prevede un subemendamento depositato dal leghista Igor Iezzi all'emendamento del Governo sulla cannabis al ddl sicurezza, attualmente all'esame delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia alla Camera. Avs ha presentato invece un subemendamento soppressivo del testo depositato dal Governo. "È repressione più totale degna dei regimi. Il leghista Iezzi, quello che vuole il carcere per chi protesta contro il ponte, ha presentato un emendamento che prevede 2 anni di carcere per chi indossa magliette o fa immagini con il logo della cannabis. Sì può dire che è uno schifo?". Ha scritto su X il deputato di Verdi e Sinistra Angelo Bonelli, annunciando un flash-mob contro emendamento Iezzi davanti a Montecitorio alle 12.20

 

La nuova Giustizia. Ok alla separazione delle carriere 
"Un provvedimento epocale e coraggioso, contro le forze della conservazione"; una norma che "rende omaggio" a Giovanni Falcone e Giuliano Vassalli. Il governo e in primis la presidente Giorgia Meloni rivendicano il "mandato popolare" avuto nelle urne per la riforma della Giustizia, dopo aver approvato in Consiglio dei ministri il disegno di legge sulla separazione delle carriere dei magistrati: saranno distinte tra quelle dei giudici e dei pubblici ministeri.

Ora comincia l'iter per la nuova legge costituzionale che attua - come spiega il Guardasigilli Nordio - "il principio fondamentale del processo accusatorio", ovvero differenziare il percorso di chi è chiamato a giudicare da quello di chi, come il pm, ha l'incarico di muovere le accuse. Sotto i riflettori c'è anche lo sdoppiamento del Consiglio superiore della magistratura in due diversi Csm, i cui membri saranno nominati per sorteggio. "Questo organo di autogoverno della magistratura negli ultimi anni non ha dato buona prova di sé", spiega il ministro stigmatizzando "la degenerazione correntizia" tra le toghe e citando gli "scandali come quelli di Palamara".

Il provvedimento, limato fino a pochi minuti prima del via libera in Cdm all'indomani dell'incontro dei rappresentanti del governo al Quirinale, è comunque frutto di una complicata mediazione che trova la sua sintesi politica nella regola dell'estrazione a sorte dei trenta membri, togati e laici, di ognuno dei due Consigli. "Con il sorteggio interrompiamo una serie di anomalie", dice Nordio. Escono fuori le correnti dalle nomine del Csm ma resta ai margini pure la politica: anche la componente laica del Csm, ovvero i membri elettivi che attualmente vengono scelti per un terzo dal Parlamento in seduta comune, sarà interamente nominata sottoponendosi al principio di casualità. Resta poi l'istituzione del nuovo organo disciplinare dei magistrati, l'Alta corte, composta da 15 membri (12 estratti a sorte, 3 nominati dal presidente della Repubblica) mentre salta dal provvedimento il riferimento sull'avvocatura in Costituzione, nonostante gli annunci del governo nei giorni scorsi. Fuori dal ddl anche l'ipotesi, sempre sostenuta da Nordio, di introdurre la discrezionalità dell'azione penale.

"Non abbiamo operato modifiche in quel senso perché abbiamo accolto le osservazioni dell'Associazione nazionale dei magistrati", sottolinea il Guardasigilli riferendosi al sindacato delle toghe, fortemente contrario alla riforma, che invece valuta "una mobilitazione importante" senza escludere lo sciopero dopo una riunione urgente convocata in queste ore. Per la premier Meloni si tratta invece di aver "rispettato un altro impegno preso con gli italiani. In molti hanno detto e scritto in questi mesi che non avremmo mai avuto il coraggio di presentare questa riforma attesa da trent'anni", sostiene la presidente del Consiglio in un video, puntando il dito contro "le forze della conservazione si muoveranno contro di noi. Ma - dice non abbiamo paura". Grida vittoria Forza Italia, nel nome di Silvio Berlusconi. "La riforma arriva a coronare trent'anni di impegno in prima linea" commenta il viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto. Finita la gestazione del documento, si entra ora nella fase più lunga e complicata, che dovrebbe portare a significative modifiche della Costituzione, per le quali la sola maggioranza alla Camera e al Senato non basta. In mancanza del consenso dei due terzi per ogni Camera, sarebbero gli italiani a dover scegliere con un quesito referendario. Il sottosegretario Alfredo Mantovano esprime comunque un cauto ottimismo: "Il testo non è blindato ma aperto al contributo dell'intero Parlamento, non è così certo che si arrivi al referendum". Al momento dall'opposizione l'unica sponda arriva da 'Azione', che annuncia: "Valuteremo con attenzione il testo del governo e se sarà in linea la nostra proposta voteremo a favore". Per il Pd si tratta invece di "un duro colpo all'autonomia e all'indipendenza della magistratura. La Costituzione viene sfregiata e sacrificata per un patto di potere con Forza Italia per la tenuta del governo". Scettica anche Italia Viva: "È una riforma costituzionale quasi a metà legislatura che non completerà il suo iter. Di epocale c'è solo la presa in giro". 

 

Premierato senza pace, rissa sfiorata in Aula
Rissa sfiorata durante l'esame del Premierato in Aula a Palazzo Madama, con il senatore di Fdi Roberto Menia precipitatosi contro i banchi delle minoranze, affrontato da Marco Croatti di M5s, e fermato da commessi e colleghi. Un episodio che ha inasprito ulteriormente il confronto, già molto teso, tra centrodestra e opposizioni. Queste ultime contestano il contingentamento dei tempi deciso dalla maggioranza su una riforma costituzionale, e insistono sullo "scambio" tra i tre partiti della coalizione di governo sulle riforme del Premierato, dell'autonomia e della giustizia. La maggioranza ha invece rivendicato come parte del programma elettorale l'attuazione di questi provvedimenti, ed ha intanto portato a casa anche il quarto articolo del Premierato. L'aula di Palazzo Madama è stata impegnata anche nel voto degli emendamenti al terzo articolo del ddl, che modifica il semestre bianco. Dopo un intervento sferzante di Ettore Licheri (M5s), ("pensate di poter far tutto, fermare i treni o cambiare la Costituzione, perchè voi siete Giorgia") gli animi si sono accesi. Dai banchi del Pd Simona Malpezzi si è avvicinata al banco della presidenza accusando Menia di aver insultato i senatori d'opposizione, accusa fatta a voce alta anche da FIlippo Sensi. A quel punto Menia si è precipitato verso i banchi del centrosinistra, inutilmente placcato dal questore Antonio De Poli, ma affrontato dall'aitante senatore di M5s Croatti. I commessi e i colleghi dei due senatori si sono frapposti. Allo scontro in Aula ne è subentrato uno dietro le quinte: il presidente Ignazio La Russa ha incaricato i tre senatori questori di preparare una istruttoria per eventuali sanzioni da parte dell'ufficio di Presidenza; e qui centrodestra e centrosinistra hanno ripreso a scontrarsi sulle responsabilità. La contestazione delle opposizioni riguarda il contingentamento dei tempi deciso dal centrodestra su una riforma costituzionale, a cui si aggiungono le poche sedute dedicate al ddl, meno della metà rispetto a quelle che nel 2014 furono dedicate dal Senato alla riforma Boschi-Renzi, come ha sottolineato Peppe De Cristofaro (Avs). Dopo un ulteriore ricorso al "canguro" , cioè alla bocciatura con un solo voto di più emendamenti simili, è scattata nel pomeriggio una protesta, più che altro simbolica ma teatrale, innescata da Alessandro Alfieri che si è tolto la giacca, imitato da tutti i senatori di opposizione, che sono rimasti in camicia: una violazione del regolamento di Palazzo Madama che impone giacca e cravatta, per rispondere a "una maggioranza sorda che non cerca un terreno comune sul terreno delle regole". In ogni caso la maggioranza ha potuto portare a casa il terzo e il quarto degli otto articoli del ddl Casellati. Certo, sono gli articoli più semplici, rispetto ai successivi quattro, sui quali insistono 2mila emendamenti. L'articolo 3 modifica il semestre bianco, durante il quale il Presidente della Repubblica non puo' sciogliere le Camere. Con la modifica lo scioglimento potrà avvenire quando il premier eletto viene sfiduciato o quando egli si dimette e chiede il ritorno alle urne, come prevede il successivo articolo 7. Il quarto articolo elimina l'obbligo della controfirma da parte del governo di una serie di atti propri del Presidente della Repubblica, per assicurarne l'indipendenza. Una norma proposta da Marcello Pera. Ad animare il dibattito in Aula è stata anche l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri della riforma della giustizia, che ha spinto le opposizioni a parlare di un "baratto" tra Fdi, Lega e Fi sulle tre riforme care ai tre partiti (Premierato, autonomia e giustizia). "Pare più uno scambio di prigionieri sul ponte delle spie che un accordo tra alleati", ha ironizzato Sensi. Una tesi respinta da Maurizio Gasparri (Fi), Lucio Malan (Fdi) e Massimiliano Romeo (Lega).

 

Santalucia (Anm): "Legge inutile e dannosa, scopo punitivo"
"Siamo contrari alla riforma" della giustizia varata ieri dal governo "ed eviteremo proteste sterili. No allo sciopero? Nient'affatto. L'Anm valuterà se e quando anche lo sciopero potrà servire a rafforzare il nostro sforzo di spiegare che la riforma è al contempo inutile e dannosa". Lo dice in una intervista a La Repubblica il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia. Per Santalucia "si tratta in più punti di una stesura affrettata. Questa riforma ha solo un sapore e uno scopo punitivi. Peggiorerà solo la risposta giudiziaria". Quanto alla posizione di Mattarella, "ho letto dell'incontro" al Quirinale "e so quanto l'autonomia e l'indipendenza della magistratura stia a cuore al presidente. Con il referendum gli italiani, per la terza volta, potranno impedire le ricadute negative di quel testo", conclude il presidente Anm. 

 

Biden valuta l'ok a Kiev sugli attacchi in Russia
Il presidente Usa Joe Biden "sta prendendo in considerazione" di revocare i limiti all'uso da parte di Kiev delle armi "a corto raggio" statunitensi per attaccare in Russia. A scriverlo è il Washington Post, secondo cui cresce la preoccupazione dell'amministrazione americana per la vulnerabilità ucraine sul campo di battaglia. Sarebbe l'ennesima svolta a favore delle richieste di Volodymyr Zelensky, con Mosca che accusa la Nato di trascinare il mondo verso una guerra totale e ha già allertato le forze nucleari. Nei corridoi della Casa Bianca il dibattito è aperto, mentre di ora in ora crescono gli Alleati che si dicono favorevoli a usare le armi occidentali in Russia, capitanati dalla Francia di Emmanuel Macron. Resta invece inamovibile il no bipartisan dell'Italia, che esclude l'utilizzo del suo materiale militare per colpire il territorio russo e l'invio di soldati in Ucraina. Il portavoce del dipartimento di Stato Matthew Miller ha ribadito per il momento che "la politica Usa è quella di non incoraggiare né consentire attacchi al di fuori dei confini dell'Ucraina". Ma la questione è ben più complicata, secondo le ricostruzioni dei media americani: il segretario di Stato Antony Blinken sarebbe infatti favorevole ad una revoca mirata del veto, per consentire di colpire almeno le basi vicino al confine da dove partono i missili russi. Contrari sarebbero invece il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan e, ad ora, il commander in chief in persona. Le indiscrezioni giungono a poche ore dalla ministeriale Esteri della Nato in programma giovedì a Praga, dove i Paesi più inclini a "fare di più" per Kiev proveranno a convincere i più cauti a "rimuovere le restrizioni" sull'uso delle armi, secondo fonti dell'Alleanza. Sarebbero almeno dieci gli Stati favorevoli: il Regno Unito è stato il primo ad annunciare che l'Ucraina ha il diritto di colpire basi militari su suolo russo con armi britanniche. Il presidente francese Emmanuel Macron, mappa alla mano, ha chiesto di autorizzare l'Ucraina a colpire "in Russia" le postazioni da cui viene attaccata, mentre si prepara ad annunciare l'invio di "istruttori" in Ucraina, quasi certamente alle celebrazioni del D-Day accanto a Zelensky. Varsavia ha già precisato che "non ci sono restrizioni sulle armi polacche fornite all'Ucraina", e anche Stoccolma - che ha annunciato aiuti militari per 1,16 miliardi di euro all'Ucraina - non è contraria all'uso delle armi svedesi in Russia. Della stessa idea sono Repubblica Ceca, Olanda e i Baltici. Per ultime, anche la Finlandia e il Canada hanno dato luce verde all'uso delle loro armi su suolo russo. La cordata dei favorevoli vede l'endorsement del segretario della Nato Jens Stoltenberg, che a Praga proverà a far sentire le loro ragioni. L'idea non è quella di favorire "un'escalation", assicura una fonte atlantica all'ANSA. Ma sarà difficile abbattere il muro dei contrari, tra questi l'Italia, con il ministro degli Esteri Tajani che da giorni ribadisce come il materiale militare italiano in Ucraina non potrà mai essere usato oltre confine. Più duro il vicepremier Matteo Salvini che senza mezzi termini ha attacco le "idee folli" da parte di Macron e anche del cancelliere tedesco Olaf Scholz, che in realtà non si è espresso a favore dell'uso delle munizioni tedesche in Russia ma non ha nemmeno bocciato l'idea, parlando invece di "accordi confidenziali" sulle armi tra Kiev e Berlino e di necessità di "rispettare il diritto internazionale". Contro la posizione di Parigi si è espressa anche la segretaria del Pd Elly Schlein, mentre per il leader M5s Giuseppe Conte l'Europa "è già in guerra" e le parole di Macron e Scholz sono "uno schiaffo" alla prudenza richiesta dalla premier Giorgia Meloni.

 

"Bombe americane nella strage tra le tende a Rafah"
Sui morti di Rafah si allunga l'ombra delle armi americane usate dall'esercito israeliano, mentre i tank con la stella di Davide continuano a bombardare la città del sud di Gaza e al Consiglio di sicurezza Onu il vice ambasciatore Usa dice di avere il "cuore spezzato" per la strage di due giorni fa. È stata la Cnn, analizzando un video condiviso sui social e consultando esperti di esplosivo, a rivelare che sulla scena dell'attacco alla tendopoli che ha provocato 45 morti è visibile la coda di una bomba di piccolo diametro (Sdb) Gbu-39 di fabbricazione statunitense. L'effetto sorpresa non c'è, dato il noto sostegno militare di Washington a Israele. Ma il massacro che ha fatto inorridire ancora una volta il mondo rende evidente il corto circuito tra la condanna di Washington e la paternità americana di almeno una parte delle armi usate. Intanto fonti palestinesi riportate dai media hanno denunciato che i continui bombardamenti nella zona orientale di Rafah - dove la maggior parte degli abitanti è fuggita - hanno provocato feriti, distrutto case e incendiato depositi di aiuti umanitari. Una guerra che è destinata a durare a lungo. "I combattimenti a Gaza continueranno per altri 7 mesi", ha affermato il consigliere per la Sicurezza nazionale di Israele Tzachi Hanegbi in un'intervista a Canale 2. Mentre l'Idf ha annunciato di aver preso il "controllo operativo" sull'intero Corridoio Filadelfia, che corre per un totale di 14 chilometri sul confine tra Gaza e l'Egitto dove, secondo l'esercito, ci sono almeno 20 tunnel che arrivano in Egitto. Il Cairo da parte sua ha smentito l'esistenza di passaggi sotterranei sotto il valico di Rafah. "Non ci sono tunnel di Hamas sotto il valico", ha affermato una fonte egiziana di alto livello all'emittente statale Al Qahera sostenendo che "Israele sta usando queste accuse per giustificare la continuazione dell'operazione palestinese" ed "eludere le sue crisi interne". E mentre il presidente cinese Xi Jinping ha detto al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, in visita a Pechino, che la Cina è "profondamente rattristata" dalla "gravissima" situazione umanitaria a Gaza, il confronto internazionale sulla situazione nella Striscia si è trasferito all'Onu. "Ogni documento in questo momento non sarà utile e non cambierà la situazione sul terreno, noi vogliamo continuare a sostenere gli sforzi per ottenere l'accordo sugli ostaggi e altri aiuti a Gaza", è il commento del vice ambasciatore americano all'Onu Robert Wood sulla bozza di risoluzione dell'Algeria che chiede a Israele di "fermare immediatamente la sua offensiva militare a Rafah". L'iniziativa algerina piace invece alla Russia. Secondo la vice ambasciatrice russa all'Onu, Anna Evstigneeva, "il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve continuare a fare pressione su Israele così come sul suo alleato, gli Stati Uniti". Dello stesso avviso l'ambasciatore francese all'Onu Nicolas de Rivière per il quale il Consiglio "deve esprimersi con urgenza sulla situazione a Rafah e chiedere la fine di questa offensiva". Il presidente Emmanuel Macron ha raddoppiato la marcatura su Israele lanciando un appello congiunto con il collega palestinese Abu Mazen, sentito telefonicamente, perché "l'intervento militare israeliano a Gaza cessi immediatamente". Non solo. Macron si è inserito nella questione del riconoscimento dello Stato palestinese - formalizzato da Spagna, Irlanda e Norvegia - chiedendo ad ad Abu Mazen di "riformare" l'Anp proprio nella "prospettiva di un riconoscimento dello Stato di Palestina". Anche l'Italia è stata chiamata in causa. In una telefonata con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha detto di augurarsi che l'Italia stia "dalla parte giusta della storia" seguendo l'esempio dei tre Paesi. Lo stesso Erdogan, in un discorso al suo gruppo parlamentare Akp, ha lanciato un appello al mondo islamico perché prenda "una decisione condivisa" contro Israele, mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha evocato "sanzioni" contro la Corte penale internazionale ricevendo a Gerusalemme l'ex ambasciatrice all'Onu ed esponente repubblicana Nikki Haley, finita nel frattempo nella bufera per aver scritto con un pennarello su alcuni missili israeliani 'Finish them', ossia eliminateli, all'indomani dello sdegno internazionale per il raid che ha ucciso decine di civili a Rafah.