L’intervento

«Acqua, energia, trasporti: è ora che gli interessi privati smettano di boicottare i beni comuni»

di Ugo Mattei   24 giugno 2024

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Operai dell'Abc Napoli durante la manutenzione della rete fognaria cittadina

La Corte dei Conti ha stabilito che la pubblicizzazione del servizio idrico a Napoli fu una scelta corretta. Il modello va imitato subito. Contro la logica del profitto, a tutela dei cittadini. Che lo chiesero con un referendum

Due eventi riaprono la questione della necessità di invertire la rotta nella gestione dei servizi pubblici essenziali come l’acqua, i trasporti, le energie. Il Corriere della Sera del 17 maggio riporta della Gran Bretagna divenuta una «fogna a cielo aperto». La rete idrica è gravissimamente inquinata e il ministro ombra laburista denuncia come l’acqua potabile non sia più sicura e i fiumi britannici siano uccisi dai rifiuti tossici. I laburisti chiedono finalmente la ri-pubblicizzazione del servizio idrico, dopo che Tony Blair aveva condiviso tutte le esperienze fallimentari della Lady di ferro. Thames Water, la società che gestisce l’acqua a Londra, è in bancarotta e richiederà un bailout. Dalla data della privatizzazione nel 1989, le aziende idriche inglesi hanno accumulato 64 miliardi di debiti, ma distribuito 78 miliardi di dividendi! Siamo in puro stile Agnelli/Fiat: privatizzare gli utili e socializzare le perdite.

 

La sola via virtuosa percorribile, ossia ri-pubblicizzare nella forma e nella sostanza la gestione dell’acqua (e di servizi pubblici tipo trasporti ferroviari, altra horror story thatcheriana), era stata indicata in Italia nel 2011 dalla campagna referendaria contro il decreto Ronchi volta a impedire nuove massicce privatizzazioni. All’epoca, 27 milioni di elettori italiani chiesero di invertire la rotta, di uscire dalla logica del profitto per abbracciare quella ecologica e partecipata nella gestione dei nostri servizi pubblici, coinvolgendo «comunità di lavoratori e utenti», secondo il disposto dell’articolo 43 della Costituzione. Quella vittoria referendaria impedì nuove privatizzazioni per un valore stimato di circa 200 milioni.

 

Nel 2012, fui chiamato a guidare la prima trasformazione italiana di una holding spa in un’azienda speciale di diritto pubblico, al fine di addivenire a una gestione ecologica e partecipata del servizio idrico integrato nella città di Napoli. Il gruppo Arin spa divenne così Acqua Bene Comune (Abc Napoli), azienda senza alcuna possibilità di lucro, ma con obbligo di re-investire ogni eventuale avanzo di gestione nell’ecologia dell’acqua partenopea. Nonostante resistenze e ipocrisie, l’operazione ebbe successo, i conti dell’acquedotto furono risanati e ancora oggi i napoletani bevono acqua di qualità a una tariffa contenuta.

 

Quella storia di successo in un momento storico di mobilitazione per i beni comuni «oltre il pubblico e il privato» ebbe un potenziale contagioso pericolosissimo per i poteri forti privati e i loro aventi causa politici, interessati a lucrare con logica privatistica sul servizio idrico e su ogni altro servizio economico d’interesse generale. Diverse amministrazioni locali, sull’onda del referendum, stavano infatti provando a intraprendere la via napoletana all’acqua bene comune e ciò avrebbe costituito un incredibile passo avanti nella tutela dei cittadini contro la logica del profitto nell’amministrazione pubblica.

 

Si incominciò così a dire che la trasformazione non era legalmente possibile (nella mia Torino, l’amministrazione Fassino fu particolarmente vocale in questa menzogna, per non mutare la redditizia forma privata di Smat). Isolato il nemico, la Procura presso la Corte dei Conti di Napoli scatenò poco dopo il cosiddetto lawfare (guerra tramite il diritto) contro Abc Napoli. In primo grado venni condannato a circa 800 mila euro per un presunto danno erariale, che avremmo generato nel risanare, con iniezioni di denaro della capogruppo, due controllate in dissesto. Bisognava evitare il fallimento al fine di assorbirle in Abc, nuovo soggetto gestore pubblico, senza perdita di posti di lavoro e con notevole razionalizzazione economica…

 

Il caso è stato tenuto aperto per otto anni e si è concluso il 16 maggio (e questo è il secondo evento a cui accennavo) con una sentenza di assoluzione piena per il sottoscritto e gli altri amministratori coinvolti, nella quale la sezione d’appello della Corte dei Conti, massima istanza contabile, riconosce la virtù del nostro operare nel solo interesse dell’acqua bene comune (la sentenza è riportata sul sito www.generazionifuture.org).

 

Nondimeno, un così lungo lawfare ha avuto le sue conseguenze, perché nessun altro amministratore pubblico ha voluto correre il rischio di essere inquisito dalla magistratura contabile e, quindi, nessun’altra virtuosa trasformazione, dopo quella di Napoli, è avvenuta in Italia, con buona pace della volontà popolare contraria alle privatizzazioni emersa nel referendum del 2011. Procura e Corte dei Conti campane hanno fatto perdere l’abbrivio alla nascita di nuove istituzioni per il governo democratico dei beni comuni e nel frattempo le privatizzazioni truffaldine, che trasferiscono ricchezza di tutti nelle mani dei soliti pochi potenti, sono continuate con effetti disastrosi.

 

Fra le tante, si è privatizzato il Monte dei Paschi di Siena, proprio quando disporre di una banca pubblica, forte, autorevole e gestita in logica generativa sarebbe fondamentale per superare la dittatura dello spread. Perfino le Poste, che ormai puntano alla vendita di prodotti finanziari più che a fare il loro mestiere, sono in corso di privatizzazione anche sostanziale. Nei prossimi mesi assisteremo al colpo definitivo dato al nostro demanio marittimo con la questione delle concessioni balneari; e non c’è chi onestamente possa dissentire sul fatto che la Rai, privatizzata dalla partitocrazia, andrebbe trasformata e gestita nella logica dei beni comuni.

 

La Corte dei Conti ci ha detto ora che quanto fatto a Napoli è legalmente possibile ed economicamente desiderabile. Bisogna subito ripartire con un progetto alto e onnicomprensivo di riconversione ecologica delle nostre infrastrutture. Quanto sarebbe importante che profitto e rendita fossero espulsi istituzionalmente dalle bollette dell’elettricità all’alba del nuovo saccheggio in corso? Si potrà riaprire un dibattito?