Diritti negati

La nuova deriva dell’omotransfobia: attacchi e violenze anche contro gli attivisti Lgbt

di Simone Alliva   28 giugno 2024

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Da Nord a Sud si assiste a un’impennata di aggressioni sistematiche ai rappresentanti delle associazioni arcobaleno. “Sul clima di intolleranza soffia la politica di Giorgia Meloni”

Un giaccone enorme e sportivo con la zip, di quelli buoni per andare in moto. Dentro, un uomo sui quarant’anni. È il 15 giugno, siamo in pieno centro a Torino. Quell’uomo è un’ombra che cammina a passo felpato dietro Antonio che ha appena lasciato il corteo del Pride. «Non sapevo di essere inseguito», racconta a L’Espresso lo studente di 23 anni. Sta rientrando a casa, indossa un tank top, un pantaloncino di jeans e porta una striscia arcobaleno sulla guancia. L’uomo lo prende per il collo, di spalle, gli sbatte la faccia contro il marciapiede, il cemento è rovente. Antonio viene investito da calci e pugni «Frocio di merda, così impari». Quell’ombra poi si dilegua. «Sono rimasto a terra per un tempo che mi è sembrato infinito. Poi mi sono rialzato e sono andato a casa. Di questa storia non voglio più parlarne».

 

«È una questione di clima», spiegano i militanti Lgbt che di fronte alla cortina di omotransfobia che invade le nostre strade intravedono una, per così dire, “novità” che prima si poteva solo immaginare. L’Italia ha registrato più di 1.700 vittime di omotransfobia negli ultimi dieci anni. Episodi estratti dalle cronache dei media, trafiletti di giornale e denunce delle associazioni. Numeri che però non raccontano nulla, considerato l’under reporting sul fenomeno. Le forze di polizia o gli altri soggetti della giustizia penale non registrano le finalità di odio omotransfobico perché non le riconoscono o perché il dato non rientra tra quelli da registrare sulla base della legislazione vigente. In sintesi: non c’è legge, non c’è reato. Il colpo d’occhio, però, a scorrere gli episodi di violenza dell’ultimo anno, è sul bersaglio. Un nuovo soggetto entra nel mirino dell’omotransnegatività. Non solo il ragazzino gay, la visibile persona transgender, la coppia che si tiene per mano per strada ma proprio i militanti Lgbt, chi esprime una posizione politica sulla questione, esponendosi in prima persona può diventare un bersaglio. 

 

La studentessa che porta con sé una borsa arcobaleno. La coppia che sentendosi finalmente libera a una manifestazione politica si bacia. Non che non sia successo prima. Le figure dei militanti Lgbt delle generazioni precedenti incarnate da Angelo Pezzana, Graziella Bertozzo, Franco Grillini, Titti De Simone, Vladimir Luxuria, Sergio Lo Giudice furono altrettanto esposte. Messe alla gogna, spesso insultate. Ma era un altro tempo. Fatto di regole e di una grammatica istituzionale e civile. La scelta che all’epoca fece buona parte del movimento per i diritti civili delle persone Lgtb, cioè di portare la propria azione politica dentro le istituzioni, contribuì a tutelare quelle persone. L’aura istituzionale ha sempre messo al sicuro e legittimato. 

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In questo tempo nuovo e “fiammante”, invece, l’omofobia al potere si distingue perché in grado di aizzare gli uni contro gli altri. «Il governo Meloni sta mostrando la sua vera faccia, noi attivisti lo denunciamo da sempre ma finché a essere toccati sono solo i diritti delle minoranze, la maggioranza del Paese assiste inerme allo smantellamento dello Stato di diritto», racconta Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno. C’è un vento sottile che ci trascina, dice, un filo d’odio sospeso nell’aria che ci avvolge: «Sabato, in occasione del Palermo Pride, la prima firmataria della legge contro la gestazione per altri, la meloniana Carolina Varchi, ha scritto nero su bianco che l’obiettivo di FdI è cancellare ogni diritto delle persone Lgbt. Chi si sente al sicuro perché non hanno ancora toccato le unioni civili, come se queste fossero l’unica cosa che ci meritiamo, si prepari a rinunciare anche a quel diritto di serie B». Nel breve post la deputata di Fratelli d’Italia promette: «Garantisco che nessuna delle rivendicazioni del Pride diventerà mai legge, così come abbiamo promesso ai nostri elettori quando ci siamo presentati alle elezioni». 

 

Un attacco che ha provocato un sussulto nella comunità e qualche preoccupazione per la sicurezza dei cinquanta Pride che attraverseranno la penisola fino a settembre. Tutto è cambiato nell’ultimo anno, spiega Crocini che ricopre la carica di presidente delle famiglie di genitori omosessuali dal 2021. Lo scorso anno, durante l’Abruzzo Pride a Chieti, un gruppo «di matrice chiaramente fascista» ha attaccato verbalmente le Famiglie Arcobaleno presenti all’evento, assieme alle loro bambine e ai loro bambini. Sputi sulla folla, adesivi strappati. Per raggiungere le macchine in sicurezza le famiglie arcobaleno hanno chiesto l’intervento delle forze dell’ordine. «Nel giro di un anno mi sono ritrovata a essere scortata dalla Digos con mio figlio di 8 anni di ritorno dal Pride di Chieti, a dover organizzare la difesa legale di decine di famiglie sotto attacco del governo, a vedere il mio nome, cognome e la mia faccia sui social di un’associazione vicina a Forza Nuova. Mi chiedo quanto tempo passerà prima di ricevere un’aggressione fisica o la perdita del posto di lavoro. Ho 50 anni e sono lesbica dichiarata da sempre ma un clima così in Italia non lo avevo mai vissuto». Crocini non è la sola a provare certi tormenti, certe angosce. In pieno centro a Verona la sera del 30 aprile Gianni Zardini, presidente del Circolo Pink e noto attivista per i diritti Lgbt viene aggredito da una decina di persone: spinti, insulti, sputi. «Eravamo in centro a Verona, passavano troppe macchine ed evidentemente non potevano fare di più che spintonare e sputare. 

 

Credo che se fossimo stati in un luogo più appartato sarebbe finita diversamente». Nel mese di giugno, Fabrizio Marrazzo, attivista e leader del Partito Gay+ viene insultato e aggredito fisicamente: «Non avrei mai pensato che sarebbero arrivati a mettermi le mani addosso, a minacciarmi, a dirmi che sanno dove abito. Solitamente si fermano agli insulti». Marrazzo aveva sorpreso e redarguito due giovani mentre urinavano sul muro Rainbow dedicato alla comunità Lgbt in un quartiere di Roma. È un altro aspetto dell’onda nera che oggi raggiunge anche gli spazi pubblici della comunità arcobaleno. Quelli conquistati dopo una battaglia faticosa, portata avanti sempre in solitudine contro società, politica, istituzioni. La consapevolezza che il luogo più sicuro sia una piazza, un locale, un festival, la capacità di dire che che lì, nella folla, le identità tornano coscienza e diventano lotta, il movimento Lgbt l’ha conquistata a poco a poco. Ed è dentro questo tempo di mezzo che tutto viene rimesso in discussione. 

 

Gli spazi si restringono, definanziati oppure giudicati dalla stessa comunità «non più sicuri». Come succede ad Arezzo, la città di Amintore Fanfani, democristiana in passato, oggi governata da Alessandro Ghinelli che viene dalla destra del Msi e che da sindaco, come primo atto, ha scelto di togliere la città dalla Rete Re.a.dy (Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni). Qui uno dei più importanti spazi per la comunità Lgbt “WhyNote”, quest’anno ha chiuso i battenti a causa dei ripetuti episodi di violenza. «Non avendo trovato una soluzione efficace e non potendo dare le garanzie di poter abitare un luogo sicuro per le persone Lgbt la decisione non può essere altrimenti», spiega Gianni Redi consigliere Chimera Arcobaleno Arcigay Arezzo: «È innegabile l’esistenza di un legame diretto tra l’aumento degli episodi di omotransfobia e l’orientamento dell’attuale governo. Questo richiede una presa di coscienza collettiva, specialmente considerando che il contesto sociale ha subito trasformazioni profonde negli ultimi due anni, e purtroppo non in meglio». Quello che si consuma sulla pelle degli attivisti Lgbt e della sua comunità offre la misura esatta, millimetrica del tempo che viviamo. Dove un’idea proprietaria di mondo alla radice individua in quella capacità di ascolto, condivisione, visibilità un antagonista di cui disfarsi. Sarà per necessità, sarà per disperazione. Sarà l’antifona di quello che ci aspetta: il tempo nuovo.