Il fenomeno

«Sono nato povero e morirò povero»: così una generazione si sente abbandonata

di Chiara Sgreccia   5 giugno 2024

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Sono un milione e 300 mila i minori che conducono un’esistenza precaria. E alla deprivazione materiale si associa quella educativa, generando un circolo vizioso da cui è difficile uscire. E le prospettive per il futuro spariscono

Dovrebbero essere il futuro, invece a stento riescono a vivere il presente: sono 1 milione e 300 mila, secondo le ultime stime Istat, i minori in Italia che crescono senza il necessario per una vita dignitosa. Circa il 13,4 per cento del totale, più di 1 su 10, mentre in tutte le altre fasce d’età il numero di persone in povertà assoluta è più basso. Così in un Paese in cui si dice di voler fare di tutto per incentivare la natalità, i dati dimostrano che a essere necessaria è una strategia di lungo periodo associata a investimenti di risorse a favore dell’infanzia e dell’adolescenza che puntino a livellare soprattutto le diseguaglianze territoriali e di genere, non solo per favorire l’aumento delle nascite ma anche per garantire ai minori che già vivono la società un futuro appagante.

 

Perché, si capisce da “Domani (Im)possibili”, l’indagine nazionale di Save the Children, presentata per l’apertura della biennale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza: in Italia più si è piccoli più si è poveri. E più si è poveri, più le aspettative verso quanto ciascuno crede di poter realizzare nella propria vita si abbassano.

 

Come già evidente dal punto di vista scientifico, meno dal punto di vista della messa in pratica di politiche utili a garantire l’uguaglianza nelle condizioni di partenza e nell’accesso ai servizi, la povertà materiale è uno dei fattori determinanti della “povertà educativa” – cioè della condizione di privazione in cui bambini e adolescenti si trovano quando non hanno la possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni – che a sua volta è causa di povertà materiale. Chi cresce in famiglie con risorse finanziarie limitate ottiene punteggi più bassi nelle indagini sulle competenze e ha maggiori probabilità di abbandonare gli studi. I ritardi nell’apprendimento, dimostrano ancora una volta i dati, iniziano dai primi anni di vita per i bambini che vivono in famiglie svantaggiate e che non riescono ad accedere ai servizi educativi: si genera così un circolo vizioso da cui oggi è sempre più difficile uscire.

 

«Se non hai i mezzi e non hai gli stimoli che magari una persona ricca può avere, succede che questa raggiunga il suo obiettivo molto più in fretta di te. Se tu sei una persona povera, parti in una posizione molto svantaggiata: una persona povera ci metterà molto più tempo di una persona ricca a raggiungere lo stesso obiettivo», spiega, ad esempio, Francesco, nome di fantasia, di Milano. Uno degli adolescenti intervistati da Save the Children per l’analisi “Domani (Im)possibili” da cui si evince che quasi una persona su dieci, tra i 15 e i 16 anni, cioè più di centomila ragazze e ragazzi in Italia, vive in condizioni di deprivazione materiale grave: c’è chi abita in case senza riscaldamento o con il frigo vuoto, chi rinuncia a uscire, chi non fa sport perché è troppo costoso, chi non va in vacanza, chi non riesce a comprare scarpe nuove pur avendone bisogno. Quasi un adolescente su quattro inizia l’anno scolastico senza avere i libri necessari mentre il 24 per cento ha difficoltà nel partecipare alle gite scolastiche per motivi economici. Il 17,9 per cento ha genitori che fanno fatica a sostenere i costi di cibo, vestiti e bollette. Quasi il 40 per cento li vede preoccupati per le spese da sostenere per il sostentamento della famiglia.

 

Ma non basta. Confrontando le risposte date dagli intervistati, dal report emerge anche come la povertà economica gravi direttamente sulle aspettative di vita degli adolescenti. Mentre le «aspirazioni» per il futuro sono abbastanza uniformi tra i giovani, indipendentemente dal background socioeconomico – quasi tutti ritengono importante avere un lavoro stabile che permetta di guadagnare il giusto per provvedere ai bisogni propri e della famiglia e che sia in linea con i propri interessi – il quadro si trasforma quando si parla di «aspettative», cioè degli obiettivi concreti che i 15-16enni immaginano di poter raggiungere nell’arco della vita:  più di 1 ragazzo su 4 in condizioni di grave deprivazione materiale dice che non finirà la scuola per andare a lavorare, a fronte dell’8,9 per cento dei coetanei benestanti. Il 67,4 per cento teme che, se anche lavorerà, non riuscirà a guadagnare abbastanza per condurre un’esistenza dignitosa, contro il 25,9 per cento degli adolescenti che non vivono condizioni di deprivazione. 

 

«Spero che il mio domani sia migliore di quello che sto vivendo adesso, perché è complicato doversi preoccupare sempre di che cosa ci sarà a tavola. Mamma ce la sta mettendo tutta e io voglio essere all’altezza di quello che sta facendo. Non voglio dire “ah, mamma ha lavorato per niente in tutti questi anni”. Perciò spero che i miei figli non avranno i miei stessi pensieri. Spero che potranno uscire con i loro amici senza preoccuparsi che manca il cibo, che non dovranno sentirsi in colpa se usano i soldi per cose diverse della scuola», racconta Sara, altro nome di fantasia, di Roma. Come si capisce dalle sue parole, e come certificano i risultati dell’indagine, sebbene più della metà degli intervistati guardi al futuro con positività non manca chi manifesta ansia, sfiducia o paura. La maggior parte degli adolescenti, infatti, è cosciente del peso delle disuguaglianze e vorrebbe sia più misure per sostenere le famiglie in povertà sia l’introduzione di un sostegno psicologico gratuito per tutti, a dimostrazione dell’importanza che il diritto al benessere ha assunto per le nuove generazioni.

 

Quasi il 60 per cento degli intervistati, però, non crede che le istituzioni saranno in grado di mettere in campo politiche efficaci per ridurre le disuguaglianze. Le più scoraggiate sono le ragazze, che indipendentemente dalla condizione socioeconomica, hanno aspettative più alte dei maschi per quel che riguarda il percorso di studi ma molto più basse a proposito del posto che riusciranno a occupare nel mondo del lavoro: nonostante, infatti, quasi il 70 per cento dichiari di voler frequentare l’università, il 46,1 per cento ha paura di non trovare un lavoro dignitoso. E una su tre è convinta che non riuscirà a fare ciò che desidera nella vita.

 

«A causa di una grave ingiustizia generazionale, in Italia sono proprio i giovani i più colpiti dalla povertà. Una condizione che incide non solo sul loro presente, ma chiude le aspettative per il futuro. È inaccettabile vedere adolescenti in condizioni di grave deprivazione economica, già rassegnati di fronte agli ostacoli da superare per trasformare le loro aspirazioni in un concreto progetto. Ragazze e ragazzi che pensano di dover lasciare la scuola per andare a lavorare, temono di non potersi permettere l’università e di non ottenere domani un lavoro dignitoso. È un allarme che non deve rimanere inascoltato. Per affrontare queste gravi disuguaglianze è indispensabile un intervento strategico di contrasto alla povertà minorile, che comprenda un sostegno adeguato alle famiglie e il potenziamento strutturale dell’offerta educativa, scolastica ed extrascolastica». Come sottolinea Claudio Tesauro, presidente di Save the Children, il tema del futuro dei giovani deve guidare le scelte economiche dei Paesi perché è il più importante per lo sviluppo: «E alla vigilia delle elezioni europee è fondamentale ricordarlo anche ai candidati».