L'umiliazione alla vigilia per le campionesse di basket nigeriane. Le sponsorizzazioni impari per le medaglie d'argento della ginnastica artistica. E niente sconti per Nada Hafez, la schermitrice incinta al settimo mese

Ezinne Kalu ha una linea di prodotti di bellezza tutta sua – Kalu Cosmetics – e qualche volta ha pure sfilato come modella durante la Fashion Week a New York. Ma certo quando è arrivata a Parigi per partecipare ai Giochi, non le hanno disteso un tappeto rosso.

 

Ezinne è nata in New Jersey da papà nigeriano, durante gli anni del liceo ha scoperto la sua passione smodata per la pallacanestro non immaginando che quel pallone avrebbe rappresentato l’upgrade che la vita non pareva volerle assegnare. Spostandosi con la madre da un rifugio per senzatetto all’altro nei dintorni di Newark, l’adolescente Ezinne neanche sapeva che esistesse un posto chiamato Parigi.

 

Ezinne Kalu

 

A 20 anni era una stella del suo college, a 25 era diventata una delle giocatrici più forti d’Africa e girava il mondo a caccia di un contratto decente: Portogallo, Ungheria, Francia e Germania. A 32 è la capitana della Nigeria che se la gioca nel torneo di basket dove si presenta col peggior ranking di tutte le altre. Prima di arrivare in Francia aveva promesso a mamma che l’avrebbe salutata dal battello, durante la sfilata inaugurale lungo la Senna. Ma quando Ezinne si è presentata sul molo assegnato alla squadra nigeriana poco prima della cerimonia di apertura, un paio di tizi della sicurezza hanno bloccato lei e le sue compagne.

“Purtroppo non c’è posto per voi sulla barca. Non potete salire”.

 

Sul piccolo battello erano già saliti i norvegesi oltre a pochi atleti del Niger. Si rischiava l’affondamento. Le ragazze sono rimaste a terra. Con il loro quartier generale a Lille (200 chilometri a nord) Ezinne e le compagne hanno prima chiesto alloggio al Villaggio Olimpico, ma sono state respinte. Così hanno vagabondato per Parigi tutta la notte per rientrare in autobus solo all’alba.

 

Il giorno dopo c’era da giocare la prima partita ufficiale contro l’Australia, una degna candidata al podio. Un massacro annunciato. La Nigeria femminile aveva vinto la sua prima e unica partita della sua storia olimpica nel 2004 ad Atene contro la Corea del Sud. Ma evidentemente era destino che a Parigi si celebrasse il secondo successo, il più improbabile. Il più bello.

“Siamo entrate in campo con una foga mai vista. Sembravamo squali che fiutavano il sangue. Abbiamo difeso come se da quel risultato dipendesse la nostra vita. Dopo quel che ci è successo ci siamo sentite invincibili”.

 

Adesso la Nigeria rischia di diventare la rivelazione del torneo olimpico femminile, il tutto perché sul quel molo lungo la Senna, Ezinne e le sue “tigresse” (così si fanno chiamare) si sono sentite umiliate.

 

C’è un filo sottile e indistruttibile che tiene collegato il mondo reale con l’atmosfera di surreale e illusoria armonia che si respira ai Giochi. Per quanto ci si illuda, non esistono scorciatoie per una donna africana che spunta dai sobborghi malfamati della provincia americana. Potrà segnare 30 punti a partita, ma non basteranno per farla salire a bordo.

 

 

Non ci saranno sponsorizzazioni con tanti zeri per le ragazze meravigliose della ginnastica che ieri notte, a quasi cento anni dall’ultima volta, hanno portato all’Italia una medaglia insperata e formidabile. E chi vorrà imitarle dovrà votarsi al sacrificio totale e assoluto. Come la bravissima Alice d’Amato che a 12 anni ha lasciato Genova per Brescia senza alcuna garanzia, perché in quella città c’era la palestra più vicina a casa, l’unico luogo possibile per poter darsi una chance di successo. 

 

 

E non ci saranno sconti neppure per Nada Hafez, la schermitrice egiziana che incinta di sette mesi scende in pedana ai Giochi e batte l’avversaria americana imprimendo un segno alla sua storia – e a quella di tantissime donne - che nessuna stoccata avrebbe mai potuto lasciare.