Migranti

Sfruttate dai trafficanti e abbandonate dalla legge: il dramma a doppio taglio delle vittime straniere

di Lucrezia Tiberio   31 luglio 2024

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La direttiva Ue contro il traffico di esseri umani a fini sessuali e lavorativi in teoria aumenta le tutele. Ma nella realtà le persone che lo subiscono restano senza possibilità di difendersi

Proteggere sempre di più chi, soprattutto e spesso tra i migranti, finisce nelle maglie di disegni criminali. In quest’ottica, il Consiglio dell’Unione europea ha adottato alcune modifiche alla direttiva Antitratta, con il fine di armonizzare le norme contro lo sfruttamento sessuale e lavorativo. La direttiva ora include esplicitamente lo sfruttamento della maternità surrogata, il matrimonio forzato e l’adozione illegale come forme di tratta di esseri umani. 

 

A eccezione di alcune misure sicuramente positive, tra cui le maggiori tutele per i minorenni, però, la direttiva non affronta le cause profonde della tratta, non prevedendo reali tutele per le vittime. Infatti, la novità principale è che la direttiva revisionata obbliga gli Stati membri a criminalizzare il cosiddetto knowing use, vale a dire l’uso consapevole dei servizi di persone trafficate, quando in precedenza era facoltativo.

 

Secondo Lilana Keith, senior advocacy officer di Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants (Picum), «è un’occasione sprecata per fare la differenza per le persone trafficate. Le modifiche non affrontano gli ostacoli alla denuncia sicura, ai rimedi e al risarcimento, né migliorano l’accesso ai diritti. Il focus è stato ristretto a rafforzare un approccio penalizzante e inefficace, che solleva preoccupazioni per le vittime e per i soggetti a rischio».

 

È evidente che la criminalizzazione del cliente non sia efficace contro il fenomeno della tratta; c’è stato un tempo in cui persino le sex worker erano bersaglio delle azioni antitratta e questo le ha relegate ancora di più ai margini. Una visione punitiva può aggravare i rischi e le discriminazioni che le lavoratrici del sesso già affrontano, oltre a indebolire gli sforzi per migliorare l’identificazione delle vittime della tratta. Così le vittime rivestono il ruolo di testimoni contro i clienti, invece di soggetti offesi dal reato di tratta; un cortocircuito in cui il bene giuridico tutelato da una norma così posta è la pubblica morale e non la libertà e l’incolumità  della vittima.

 

Lo sforzo in senso unilaterale del Consiglio, ancora una volta, ha ridotto al silenzio le voci delle vittime, che in Europa si identificano per la maggior parte con persone straniere. Considerato il legame tra migrazione e tratta, la direttiva revisionata appare coerente nel sistema di riforme securitarie che l’Europa promuove, come l’ultimo Patto su migrazione e asilo. 

 

Tali riforme ai danni di persone marginalizzate e razzializzate, inoltre, non hanno un’eco mediatica reale – forse perché riguardano non elettori – e consacrano l’allontanamento della politica europea da un approccio in grado di considerare il moltiplicarsi delle discriminazioni per le categorie più svantaggiate.

 

Secondo Picum, network per la giustizia sociale, affrontare il fenomeno impone un’analisi da due punti di vista. «Il primo riguarda il mondo del lavoro e consiste nel creare le opportunità per fare in modo che una persona possa cambiare facilmente impiego, invece che rimanere in un mercato in cui è totalmente dipendente da un’altra. Servono degli standard minimi nel mercato del lavoro. D’altra parte, se il sistema vede una persona sfruttata, deve garantire l’accesso ai diritti, non ostacolarlo». 

 

Ora le norme si concentrano sulla criminalizzazione del singolo individuo sfruttatore, ma non sulla protezione della vittima; manca tutto quello che Keith descrive come safe reporting, che include un rapporto diretto con le istituzioni e con le forme di rimedio giudiziario, senza passare per forza dalla polizia, il diritto all’ottenimento di permessi di soggiorno, la cancellazione di qualsiasi fedina penale e sanzioni legate alla loro tratta, oltre al prefinanziamento da parte degli Stati di un risarcimento.

 

In Italia, una delle realtà più attive contro la tratta è Libellula Italia Aps, associazione che si occupa di persone transgender marginalizzate. Serena Scribano, assistente sociale, racconta a L’Espresso che la tratta è una spirale di sfruttamento tra le più complesse e invisibili. «Le vittime sono costrette dall’ansia di estinguere il debito che si portano dal Paese d’origine, che parte dai 10 e può arrivare ai 30 mila euro; cancellare quel debito è l’unico obiettivo». 

 

Secondo Scribano, il solo modo per offrire un’alternativa è creare dei servizi, cosa che implicherebbe il fatto di destinare risorse a persone marginalizzate e discriminate. Inoltre, «questo approccio alla prostituzione implica un giudizio morale e non considera l’autodeterminazione delle persone. La criminalizzazione del cliente, poi, porta con sé un ulteriore rischio: se la domanda di lavoro sessuale diminuisce perché il cliente teme ripercussioni, la sex worker all’interno di dinamiche di sfruttamento è ancora più vulnerabile, perché non riuscirà mai a ripagare il debito, se il lavoro sessuale è la sua unica fonte di reddito».

 

La tratta delle persone transgender in Italia è un fenomeno esteso, seppure non documentato; storicamente si svolge outdoor ed è gestita da altre donne transgender, le cafetine, provenienti dall’America Latina, che hanno già avuto esperienza nel lavoro sessuale. Queste, racconta Scribano, dopo anni di subalternità, capiscono i meccanismi dello sfruttamento e acquisiscono un potere simbolico, un capitale sociale. Il passaggio da sfruttata a madama è sintomatico proprio della posizione che ricoprono molte soggettività transgender. Quello sessuale è l’unico ambito nel quale possono affermarsi e, addirittura, acquisire un potere.

 

Non è questione di empatia verso le vittime, ma di necessità di tradurre in prassi politiche quello che il diritto internazionale ha codificato come human rights based approach. Anche l’ordinamento che regola i diritti umani risponde a un funzionamento preciso, stimolato dai cambiamenti culturali e sociali; ed è la politica per prima a non poter più ignorare fenomeni di questa portata.