Salvini: "Escludo che FI voti con Pd e M5s su Ius Scholae". Walz ha accettato la candidatura a vicepresidente. Netanyahu a Biden: "Accetto compromessi su negoziati". Raffica di droni ucraini su Mosca. I fatti del giorno da conoscere

Agli arresti domiciliari quattro militanti di Casapound per l'aggressione al giornalista de La Stampa
Quattro persone sono state messe agli arresti domiciliari nell'indagine sul caso di Andrea Joly, il giornalista del quotidiano La Stampa che lo scorso 20 maggio, a Torino, è stato aggredito davanti al circolo 'Asso di Bastoni', abituale ritrovo degli attivisti di Casapound. Ad eseguire il provvedimento è stata la polizia di Stato. Il fascicolo è aperto per violenza privata aggravata e lesioni. Gli arresti domiciliari sono stati disposti per Euclide Rigato, 45 anni, tassista, torinese; Marco Berra, 35 anni, operaio, di Cuneo; Igor Bosonin, 46 anni, ex candidato sindaco a Ivrea (Torino); Paolo Quintavalle, 33 anni, di Chivasso. Per un quinto indagato, Maurizio Galiano, 53 anin, ferroviere, torinese, non sono state disposte misure cautelari. Joly fu aggredito il 20 luglio mentre realizzava foto e video di una festa in corso davanti all'Asso di Bastoni. La misura cautelare è stata disposta per "il pericolo di reiterazione dei reati della medesima indole". È quanto si ricava dall'ordinanza del gip Odilia Meroni. La giudice osserva che le modalità dell'aggressione abbinata al "futile movente" che l'ha scatenata "danno conto dell'indole violenta, di un istinto criminale spiccato e, dunque, dell'elevato grado di pericolosità di ciascun indagato". Vi è pertanto un "rischio di recidivanza specifica".

 

Matteo Salvini: "Escludo che FI voti con Pd e M5s su Ius Scholae"
Non è ancora nato e già divide, soprattutto il centrodestra. È lo ius scholae che, per Antonio Tajani, non è una priorità di governo ma "i programmi si possono arricchire". Non è una moda estiva - continua - perché "lo voleva già Berlusconi" ed "è quello di cui ha bisogno l'Italia, che è cambiata". Al grido di "Svegliamoci!", il segretario di Forza Italia smonta obiezioni e critiche e in un'intervista a Repubblica dà la spinta a una nuova legge sulla cittadinanza. Lo status può essere riconosciuto ai minori stranieri che faranno "un percorso di studi completo", è la traccia di una proposta di legge su cui FI si confronterà a settembre.

Tira il freno a mano invece l'altro vicepremier, il leghista Matteo Salvini. "Non è una priorità, non è nell'agenda di governo", replica dal Meeting di Rimini. Categorico, la archivia a "un'idea legittima di FI e tale rimarrà", perché "una legge che funziona non si cambia". E infine esclude che FI voti con il Pd e con i 5 Stelle su temi legati all'immigrazione. Resta quindi alta la tensione su una legge tornata d'attualità dopo le performance olimpioniche delle atlete italiane di seconda generazione, e che anni fa si arenò al Senato nel tentativo di modificarla verso un cosiddetto 'ius temperato'. Quella era una variante al principio classico dello ius soli, per cui la cittadinanza passa dal luogo in cui si nasce. Un traguardo che tenta ancora il Pd, almeno la vecchia guardia. Ma da cui si è smarcato nettamente il M5s di Giuseppe Conte.

Entrambi i partiti, però, concordano sulla disponibilità a confrontarsi con i forzisti su una proposta di legge "se non è una boutade agostana e se loro fanno sul serio", rimarca il Dem, Alessandro Alfieri. Tajani risponde dicendo: "Se il Pd si dice d'accordo con me, non posso essere io a cambiare idea". Ma garantisce il no assoluto allo ius soli e si smarca così da eventuali sospetti: "Mica ho sentito Schlein per fare un inciucio. Né lavoro a un accordo sottobanco con il Pd". Quindi assicura: zero inciuci con le opposizioni e zero tradimenti degli alleati. Il messaggio è per Fratelli d'Italia e Lega. "Le priorità sono altre: l'economia e l'emergenza carceri", ribadisce. Tuttavia rivendica: "Non è che cade il governo se abbiamo votato diversamente su Ursula von der Leyen o se portiamo avanti le nostre idee sulla cittadinanza". Con un tono netto, Tajani ne fa una questione di "identità" del partito. Quasi un naturale diritto a distinguersi rispetto agli altri due alleati. E nega che la 'svolta' sul tema abbia a che fare con la bacchettata di Marina Berlusconi sui diritti (mesi fa disse di essere in sintonia con la sinistra, su questo). "La famiglia Berlusconi non mi hai mai imposto niente", ribadisce il leader azzurro. Ma a parte l'ennesima chiusura di Salvini, dalla Romagna arriva pure il pensiero apparentemente controcorrente di Matteo Piantedosi: "Non vorrei anticipare discussioni che in questi giorni sono un po' complicate, ma bisogna porsi il problema di come rendiamo" i migranti "nostri cittadini", dice il ministro dell'Interno voluto dalla Lega sul palco del Meeting. Parole che spiazzano un po' il suo partito di riferimento. Salvo un chiarimento successivo del Viminale sul senso di contrarierà allo ius scholae essendo, l'Italia, il paese che dà più cittadinanze in Europa, fermo restando il rispetto della sovranità del Parlamento.

Smuove un po' il dibattito anche il numero due di FdI al Senato, Raffaele Speranzon: "Noi non abbiamo un approccio dogmatico né preconcetto sulla legge sulla cittadinanza, ma entreremo nel merito quando e se ci sarà una proposta di legge scritta, per valutarla nel dettaglio". E ricorda che è lo stesso iter seguito quando la Lega ha puntato i piedi sulla deroga ai due mandati per i governatori: "Non era nel programma del centrodestra ma una volta che abbiamo letto la proposta, abbiamo detto la nostra". 

 

Netanyahu a Biden: "Accetto compromessi su negoziati"
Il primo ministro Benjamin Netanyahu avrebbe mostrato la volontà di accettare alcuni compromessi nei negoziati con Hamas nella sua chiamata con il presidente Joe Biden mercoledì, secondo l'analista del Washington Post David Ignatius. Fonti nell'amministrazione Biden hanno detto che Netanyahu ha menzionato una mappa e avrebbe indicato i luoghi in cui le forze israeliane rimarranno lungo il corridoio Filadelfia e vicino al confine tra Gaza ed Egitto. I funzionari a Washington sono "irritati" dal fatto che Netanyahu stia tergiversando sui negoziati. Dopo la pubblicazione dell'articolo sul Wp, una fonte diplomatica anonima del governo israeliano ha dichiarato che Netanyahu "non ha cambiato la sua posizione sulla necessità del controllo e della presenza israeliana nel corridoio di Filadelfia". 

 

La guerra dei droni: Mosca e Kiev attaccate nella notte
La guerra dei cieli tra Russia e Ucraina si è riaccesa in una improvvisa fiammata, con almeno una decina di droni lanciati dalle forze di Kiev su Mosca e altrettanti che hanno preso di mira la capitale ucraina. Le rispettive parti affermano che tutti sono stati abbattuti. Nel frattempo, i combattimenti di terra proseguono nel Donetsk e nella regione russa di Kursk. E l'offensiva ucraina in Russia avrebbe provato ad allargarsi anche alla regione di Bryansk: a denunciarlo in serata è il governatore dell'oblast russo di confine, Alexander Bogomaz, annunciando che le forze di Mosca hanno sventato il "tentativo di penetrazione di un gruppo di ricognizione e sabotaggio ucraino" nel territorio, a nord della regione di Kursk dove intanto si continua a combattere.

Il "tentativo di sfondamento" è stato fermato e la situazione è sotto controllo, ha assicurato il responsabile territoriale. Secondo il sindaco di Mosca, Serghei Sobyanin, quello avvenuto nella notte tra martedì e mercoledì è stato "uno dei più grandi tentativi mai compiuti di attaccare" la capitale russa. Il ministero della Difesa russo ha affermato che sono stati in tutto 46 i velivoli senza pilota ucraini abbattuti sull'intero territorio della Federazione durante la notte, di cui ben 23 sulla regione di confine di Bryansk. Ma nel pomeriggio un allarme droni ha provocato per breve tempo la chiusura anche dell'aeroporto di Murmansk, nella Russia nord-occidentale, a quasi 2.000 chilometri dal confine ucraino. L'Aeronautica militare ucraina ha detto invece che in uno dei più lunghi attacchi notturni mai registrati sul Paese, i russi hanno lanciato tre missili e 69 droni, 66 dei quali sono stati abbattuti.

 

Walz accetta la nomination a vice presidente
Tim Walz ha accettato la nomination alla convention dem di Chicago. Il governatore del Minnesota è formalmente il candidato alla vice di Kamala Harris nella corsa alla Casa Bianca. "È l'onore della mia vita accettare la vostra nomination per la vice presidenza degli Stati Uniti", ha detto all'inizio del suo discorso in una serata, la terza della kermesse, studiata per presentare l'immagine di un insegnante, un allenatore, un governatore, un padre e un marito, una 'persona normale' in contrasto con i repubblicani, che considera "strambi". Dall'esperienza di allenatore, è convinto che "abbiamo la squadra giusta". E, dopo aver ringraziato il presidente Usa Joe Biden per quattro anni di "leadership forte, storica", ha sottolineato che "Kamala Harris è tosta, Kamala Harris è competente, Kamala Harris è pronta" per guidare gli Stati Uniti.

Walz, 60 anni, ha ripercorso la sua storia davanti ai delegati armati di manifesti per 'Coach Walz'. Cresciuto in una cittadina del Nebraska - "Avevo 24 ragazzi nella mia classe di liceo e nessuno è andato a Yale" -, arruolato nella Guardia nazionale e poi approdato nel mondo del lavoro. "Mi sono innamorato dell'insegnamento", ha detto, parlando poi della sua candidatura e anche dei trattamenti per la fertilità. E "quando è nata nostra figlia, l'abbiamo chiamata Hope".

Il tema delle "libertà". Per Walz, democratici e repubblicani intendono cose diverse. "Quando noi democratici parliamo di libertà, intendiamo la libertà di creare una vita migliore per voi stessi e per le persone che amate - ha affermato -. La libertà di prendere le proprie decisioni sulla salute. E, sì, dei vostri figli. La libertà di andare a scuola senza preoccuparsi di essere uccisi a colpi di pistola". E, ha rimarcato, "stanotte siamo tutti qui per una semplice, bella ragione: amiamo questo Paese". Parole arrivate in una serata che, dopo la notte degli Obama, ha visto i discorsi dell'ex speaker della Camera Nancy Pelosi, che ha avuto un ruolo cruciale nelle pressioni per convincere il presidente Usa Joe Biden a rinunciare alla rielezione in favore di Harris, dell'ex presidente Bill Clinton, tornato sul palco dell'United Center di Chicago dove nel 1996 accettò la nomination per la rielezione alla Casa Bianca. E un arrivo a sorpresa di Oprah Winfrey, la Regina dei media. "Se una casa va a fuoco, non chiediamo la razza o la religione del proprietario - ha detto, senza nominare esplicitamente né J.D. Vance né Donald Trump - Non chiediamo chi sia il suo partner o come abbia votato. Non lo chiediamo. Cerchiamo solo di fare il meglio per salvarli. E se la casa dovesse essere di una gattara senza figli? Bene, cerchiamo di far uscire anche il gatto".