Dal 2016 a oggi, i supplenti sono passati da 60 mila a 105 mila. Mentre gli insegnanti di sostegno sono quasi quadruplicati. Il problema di fondo è il “mismatch” tra materie e territori

Boom di precari in cattedra: anche quest’anno la scuola riparte in salita. Possibilmente, ancora più in salita che in passato. Al di là del giudizio, la riforma della Buona Scuola introdotta dal governo Renzi nel 2015 aveva portato alla stabilizzazione di circa 90 mila docenti e a una riduzione sostanziale del ricorso ai supplenti: scesi a 100 mila. Nove anni dopo, quel numero è lievitato al ritmo di qualche decina di migliaia di precari l’anno, arrivando a 235 mila nel 2023: si conferma così il ritorno del morbo della supplenza, che attanaglia la scuola italiana. Se i supplenti delle cattedre comuni – cioè i docenti di italiano, latino, matematica e così via – tra il 2016 e oggi sono passati da 60 mila a 105 mila unità, gli insegnanti di sostegno quasi quadruplicano, passando da 36 mila a 130 mila. Perché la scuola italiana non riesce ad arginare il fenomeno del precariato, nonostante la popolazione scolastica sia in costante diminuzione (passata da 8,8 milioni di studenti dall’infanzia alla secondaria nel 2015 a 8 milioni nel 2023)? Spiegano gli analisti della Fondazione Agnelli a L’Espresso che, per comprenderne i motivi, bisogna innanzitutto sapere che ad aumentare sono soprattutto le supplenze annuali (da 3,8 mila a 40 mila negli ultimi otto anni): «Questo vuole dire che sempre di più ci sono cattedre vacanti disponibili, tipicamente perché c’è un elevato tasso di pensionamento dei docenti di ruolo (al ritmo di 26 mila l’anno), dovuto a un’età media dei docenti parecchio avanzata». In teoria i professori dovrebbero essere rimpiazzati con nuovi professori, ma nella metà dei casi non succede perché scarseggiano i candidati nelle graduatorie ed è quindi necessario ricorrere ai supplenti. 

 

Secondo il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto, alla base di tutto vi sarebbe il mismatch tra materie e territori: «Per molte materie, soprattutto le matematiche e scientifiche, le cosiddette Stem, la carenza di personale di ruolo è soprattutto al Nord, dove i neolaureati di queste discipline vengono attratti dal mercato del lavoro privato che offre salari migliori e maggiori opportunità di carriera rispetto a quanto possa fare la scuola. Mentre i candidati che potrebbero occupare quelle cattedre si trovano al Meridione (se e quando ci sono, perché anche al Sud iniziano a essere professionalità rare). Le cose vanno così anche per il sostegno, seppur con meccanismi un po’ diversi. Ci si confronta quindi con la difficoltà cronica di convincere gli insegnanti a spostarsi stabilmente da Sud a Nord, lontani dai legami famigliari e per nulla incentivati a trasferirsi in luoghi dove il costo della vita è ben più alto rispetto ai salari medi offerti dalla scuola». C’è poi il problema della scarsità dei corsi universitari abilitanti all’insegnamento nel Nord Italia rispetto al Sud, dove i corsi, peraltro, sono diventati un’occasione di grande profitto per le università telematiche (private): quindi, mentre al Nord c’è maggiore domanda di insegnanti di ruolo, specialmente per le materie Stem, mancano i candidati e i percorsi universitari per la formazione dei docenti; al Sud c’è maggior offerta formativa, ma meno occasioni professionali perché gli studenti sono in numero inferiore e le cattedre al completo. Un cortocircuito aggravato dall’uniformità dei salari dei docenti lungo tutto lo Stivale, al di là del costo della vita del territorio in cui si lavora: «È un tema delicatissimo che incontra la resistenza dei sindacati e del mondo della scuola», commenta Gavosto che aggiunge: «Ma bisogna cominciare a discuterne. Perché introdurre incentivi economici serve a colmare la distanza enorme tra domanda e offerta di personale, e soprattutto perché aiuterebbe ad attirare i professori nelle aree di disagio sociale, le tante Caivano d’Italia, dove insegnare è più difficile». Un tema attualmente neppure all’ordine del giorno nell’agenda politica del governo, nonostante la qualità e la continuità dell’insegnamento siano alla base delle sorti formative degli studenti del Paese e fulcro del futuro culturale e sociale degli italiani. 

 

Dicevamo che sul fronte delle cattedre scoperte, quest’ultimo anno va persino un po’ peggio che in passato, perché il ministero dell’Istruzione, in accordo con quello dell’Economia, quest’anno ha ridotto il numero di cattedre di ruolo da assegnare – 45 mila posti di ruolo, contro gli 80 mila dell’anno scorso – per fare spazio ai vincitori del primo concorso bandito con le regole del Pnrr. Personale che entrerà in ruolo non prima di dicembre (perché il concorso viaggia con parecchio ritardo) e tutto ciò creerà non pochi danni alla continuità formativa. «Con la rinegoziazione del Pnrr fatta dal governo Meloni a dicembre 2023, questo esecutivo si è preso l’impegno di assumere 70 mila docenti entro il 2026 sulla base delle nuove regole dettate dal Piano di Ripresa e Resilienza. Ciò ha creato confusione e malumori fra chi è risultato idoneo in concorsi precedenti, con la probabilità di ricorsi», commenta Gavosto. Nell’immediato, ci sono 20 mila cattedre attualmente scoperte che saranno assegnate fra tre mesi e che, nel frattempo, saranno coperte da insegnanti precari, con buona pace della continuità formativa degli studenti.


Un problema nel problema è l’incremento degli studenti che richiedono e ottengono un insegnante di sostegno (338 mila nel 2023, più 7% rispetto all’anno precedente). La norma prevede che l’insegnante di sostegno sia assegnato non allo studente, bensì alla classe, e che quest’ultimo sia contitolare, corresponsabile e, in tutto e per tutto, un docente di tutti gli alunni con il compito di promuovere il benessere dell’intera sezione. Un grave problema è l’assenza di percorsi formativi per la preparazione di insegnanti di sostegno abilitati: «Come nel caso delle materie Stem, anche per il sostegno la domanda è più forte al Nord, dove l’offerta formativa delle università scarseggia. Il risultato è che, al Nord, oltre la metà dei supplenti che si occupano del sostegno non ha le competenze specifiche per aiutare sia lo studente con difficoltà sia la classe intera». 


Ciliegina sulla torta, per il già complesso problema del sostegno: il ministro Giuseppe Valditara con l’articolo 8 del disegno di legge 71/2024 ha avanzato la proposta di confermare per più anni i docenti supplenti di sostegno su richiesta delle famiglie, in deroga alla normativa per le supplenze. Un progetto contestato dal sindacato e da molti genitori, che fa a pugni con la stessa normativa che ha introdotto l’insegnante di sostegno, la quale, come dicevamo, non è appendice dello studente disabile, ma un aiuto per l’armonia dell’intera classe.