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18 settembre, 2025Articoli correlati
I camalli si organizzano per supportare la Global Sumud Flotilla. Proclamato uno sciopero nazionale per il 22 settembre. “Se accade qualcosa alle navi, bloccheremo tutto”
Gli scatoloni carichi di cibo, raccolti per Gaza in appena cinque giorni, sono impilati nella sala San Giorgio della Compagnia unica lavoratori merci varie (Culmv), lo stanzone accanto alla storica sala Chiamata: quella dove alla parete sono appesi i ritratti di Lenin, di Togliatti, del sindacalista Guido Rossa ucciso dalle Br e di Paride Batini, che fu console della Culmv. I camalli di Genova aiutano a smistarli nelle ore libere, tra un turno e l’altro, anche nei giorni successivi alla partenza della Global Sumud Flotilla, perché gli aiuti continuano ad arrivare: quasi 500 tonnellate. «Noi abbiamo messo la sala, ma anche le braccia e i cuori», fa strada Federico Romani, delegato Filt Cgil della Compagnia Unica.
E dunque, non è solo verso il mare che bisogna guardare, mentre la più imponente missione civile mai tentata veleggia verso Gaza per provare a rompere il blocco israeliano, ma anche qui, sulle banchine del porto di Genova, da dove tutto è cominciato. Perché nella città medaglia d’oro della Resistenza - che con l’organizzazione umanitaria Music for Peace ha raccolto quasi 500 tonnellate di aiuti quando l’obiettivo era 40 e ha visto sfilare per la città 50mila persone (tra cui la sindaca Silvia Salis) per accompagnare la partenza delle prime barche della Flotilla - fischia un vento di lotta per un altro mondo possibile che non si respirava dai tempi del G8. E si fa strada l’idea che i lavoratori dei porti possano supplire all’inazione dei governi, facendo da argine civile alla guerra. Con una minaccia molto concreta e d’impatto: bloccare le merci. E, a cascata, l’intero Paese.
Lo aveva promesso, Riccardo Rudino, portuale del Calp, dal palco allestito al porto antico di Genova di fronte alle barche pronte a salpare: «Se anche solo per venti minuti perdiamo il contatto con i nostri compagni e compagne, noi blocchiamo tutta l’Europa. Da questa Regione escono 13-14mila container all’anno per Israele: non esce più un chiodo».
Il Calp, il collettivo autonomo lavoratori portuali che aderisce all’Unione sindacale di base, ha prima dichiarato lo stato di agitazione di tutte le categorie del lavoro privato a tutela della Global Sumud Flottilla e del suo carico, in risposta alle minacce del governo israeliano che ha promesso di trattare gli attivisti alla stregua di terroristi: «Da Genova è partito un segnale, non assisteremo inermi di fronte a una delle pagine più buie della Storia», rimarcano Marco Benevento e Francesco Staccioli dell’esecutivo nazionale Usb lavoro privato. Poi, la sera di giovedì 11 settembre, al circolo dei portuali genovesi di San Benigno si è tenuta un’assemblea affollata, con più di un migliaio di persone. E qui, Usb ha proclamato lo sciopero nazionale per il 22 settembre. «Bisogna paralizzare il Paese: porti e stazioni, ponti e strade – ha scandito il segretario nazionale di Usb Guido Lutrario – facciamo appello anche alle altre sigle sindacali di convergere su questa data». Con l’invito, a tutti coloro che abbiano un’imbarcazione, a bloccare il porto di Genova anche dal mare. Qualche giorno prima, sabato 6 settembre, la Cgil era scesa nelle piazze con la mobilitazione “Fermiamo la barbarie”: per chiedere al governo di proteggere la Flotilla e promettendo sciopero generale se la missione sarà bloccata.
Ma ci sono altre due date da tenere d’occhio: il 26 e 27 settembre. Quando a Genova si terrà un incontro di lavoratori dai principali porti del Mediterraneo e del Nord Europa. Tra gli obiettivi, la costruzione di una mobilitazione internazionale per rendere gli scali europei liberi dal traffico di armi. Giornate scelte non a caso, ma a ridosso dell’avvicinamento a Gaza. «Potrebbero essere momenti critici per la Flotilla – spiega Riccardo Rudino del Calp - ci sono le condizioni per un’alleanza tra portuali che vogliono che i porti siano civili. Niente come l’economia di guerra danneggia la vita delle persone. E se accade qualcosa alle navi, bloccheremo tutto. Estenderemo la nostra lotta a movimenti molto diversi: dagli scout, agli studenti, agli autonomi. Ognuno farà la sua parte. Quei ragazzi per mare devono tornare indietro senza un graffio. E la merce del popolo deve andare al popolo, perché ha un valore triplo». Lo ha ribadito Stefano Rebora, fondatore e presidente di Music for Peace a bordo della Flotilla, che ha lanciato la raccolta di aiuti: «Sarà la gente che soffierà sulle vele delle barche. Quando ci avvicineremo a Gaza e Israele vorrà fermarci, e sappiamo che purtroppo accadrà – ha spiegato anche in Senato, alla presentazione della missione – le persone si mobiliteranno. Daranno vita a presìdi, scenderanno in piazza. In barca non saremo solo noi attivisti e 45 tonnellate di aiuti. Ma anche le 500mila persone che li hanno donati: ecco la nostra forza. Una mobilitazione generale, perché El Pueblo Unido non sia solo una canzone».
La lotta dei portuali per bloccare il transito degli armamenti dallo scalo di Genova va avanti da anni. «Infatti siamo indagati per associazione a delinquere - sottolinea Rudino – è paradossale». José Nivoi, sindacalista Usb e membro del Calp, è a bordo della Global Sumud Flotilla. E dal palco di Catania ha ripercorso la battaglia: «Il primo blocco vero è stato nel 2019 contro gli armamenti diretti in Arabia Saudita per la guerra in Yemen, dimenticata da tutti. Quell’azione ha acceso un faro. Da lì è iniziato il nostro percorso per un coordinamento nazionale dei porti, e anche internazionale. Stiamo lavorando insieme a portuali greci, francesi, sloveni, marocchini: vogliamo rompere l’assedio che vive la Palestina, e ci siamo stancati di fare il lavoro che dovrebbero fare i governi. Ci accusano di essere un’associazione a delinquere, anche se la Costituzione e la legge sono dalla nostra parte: la 185 del 1990 vieta l’esportazione e il transito di armamenti verso i Paesi in stato di conflitto. Questo è il sintomo che questo Paese è marcio».
Nella sala Chiamata del porto c’è un murale realizzato da un esule cileno a ricordare che questa non è la prima volta che i camalli provano a cambiare il corso della Storia. E infatti, il giorno dopo il golpe di Augusto Pinochet che mise fine al governo socialista di Salvador Allende, il 12 settembre 1973 i portuali genovesi organizzarono uno sciopero contro il colpo di Stato cileno e accolsero alcuni esuli. Quello stesso anno, il 18 novembre, una nave della cooperativa marinara Garibaldi, la Australe, partì da Genova per attraccare il 12 gennaio 1974 ad Hai-Phong: furono i lavoratori genovesi, soprattutto portuali, a caricarla di aiuti umanitari per la popolazione vietnamita stremata dalla guerra. Nel 2011, nella sala San Giorgio ora stipata di scatoloni, la Compagnia Unica ospitò una cinquantina di tunisini in fuga per l’instabilità politica seguita alla primavera araba. «Siamo da sempre sensibili a quello che succede nel mondo, verso chi soffre – spiega Luca Franza, coordinatore dei soci Filt Cgil – di fronte al genocidio in corso in Palestina, la risposta dal basso è stata chiara». Questa volta un altro mondo è possibile? «Io sono del ’67. Nel luglio del 2001, durante il G8, ero per le strade di questa città: l’ho vissuto sulla pelle, nell’anima. Non so cosa accadrà. Ma nella vita devi scegliere da che parte stare».
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