Attualità
13 novembre, 2025La candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità, il ruolo dei locali nelle città, le regole per i dehors e giudizi online. Parla il presidente Fipe
Cibo e cultura è un binomio che da sempre è presente nel Dna del nostro Paese. Una dimensione parallela e complementare a quella rappresentata da musei, chiese e monumenti per raccontare la nostra storia.
A inizio dicembre questo legame potrebbe anche essere sancito dall’Unesco perché la cucina italiana è candidata a essere riconosciuta come uno dei patrimoni immateriali dell’umanità, al pari della dieta Washoku giapponese o dello street food di Singapore, solo per fare due esempi.
«Il cibo è il secondo motivo per cui i turisti stranieri vengono in Italia, ed è il primo motivo per cui tornano», dice con un certo orgoglio il presidente della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi) Lino Enrico Stoppani. Sono i prodotti nostrani, ma anche il modo di lavorarli a essere considerati un’eccellenza mondiale. «A parlarne troppo prima della sentenza – scherza Stoppani – si rischia di portar male a un progetto importante. Dietro questi riconoscimenti, si rafforza il brand di tutto il Paese. Da tempo, infatti, il cibo e la cucina sono considerati strumenti di soft power. Pensiamo solo all’importanza che per gli Usa hanno avuto marchi come Mc Donald’s o Coca Cola a livello di influenza culturale, diventando strumenti di marketing e comunicazione».
Qualità e varietà delle materie prime sono le parole d’ordine. «La storia della Penisola è stata segnata da tantissime dominazioni e popoli che sono arrivati qui. E hanno influenzato e stratificato il nostro modo di mangiare. Per questo abbiamo tantissime cucine regionali che spesso hanno tratto forza dai problemi che l’Italia ha avuto. Per esempio, tanti piatti, oggi stellati, hanno avuto origine dagli avanzi del giorno prima. C’era semplicemente la necessità di combattere lo spreco».
Nell’elenco dei patrimoni mondiali dell’Unesco già ci sono diverse specialità nostrane – dall’arte dei pizzaioli napoletani alla coltivazione della vite Zibibbo ad Alberello di Pantelleria, in Sicilia – ma questa eventuale nomina avrebbe un grande valore sociale per tutto il movimento. Oltre che un enorme riscontro economico per un settore ancora in ripresa dalla crisi dovuta alla pandemia, ma che nel 2024 ha fatto registrare un valore dei consumi complessivo di 96 miliardi di euro, di cui 60 di valore aggiunto, secondo il report Fipe uscito lo scorso aprile.
Una delle eredità proprio del periodo del Covid sono i dehors. Esplosi nel momento delle prime riaperture, erano nati come misura necessaria per poter rispettare il distanziamento e permettere la socialità e per questo erano state semplificate le misure per poterli ottenere. Adesso sono allo studio alcune restrizioni. «Tenerli – assicura il presidente – è nel nostro interesse, ovvio, ma vogliamo anche assicurare sicurezza, pulizia, ordine e decoro, oltre che favorire coesione, integrazione e dialogo sociale. A volte, certo, si verificano eccessi e abusi e per questi casi ben venga una regolamentazione più seria. Ma le città, anche grazie a questa soluzione, si sono riempite di nuovo. Sono stati e sono anche un presidio di legalità».
Altro tema su cui la Fipe è impegnata è quello relativo alle recensioni false su Internet che chiunque può scrivere e postare e che possono danneggiare anche gravemente un ristoratore. «Non è una battaglia di retroguardia o vittimistica la nostra – è la visione di Stoppani – anche perché ben vengano le critiche costruttive. Nel corso del tempo le guide gastronomiche hanno stimolato un percorso virtuoso, fatto anche di bocciature, che sono state un pungolo per crescere e migliorare ulteriormente. Ma come associazione di categoria pensiamo che bisogna disciplinare la possibilità di fare recensioni online, perché spesso diventano solo false, denigratorie e non sono certo uno strumento di critica». Quindi alcune proposte, sulle quali anche la politica sta lavorando, per invertire questa tendenza. «Il primo principio che proponiamo per regolamentare questo fenomeno è che tu possa criticarmi, ma solo se hai effettivamente usufruito del servizio. Quindi per giudicare online un ristorante o un’altra attività commerciale bisognerebbe mostrare quantomeno lo scontrino». In secondo luogo, per Stoppani, sarebbe utile istituire un limite di tempo per la pubblicazione, anche per contestualizzare meglio le considerazioni postate: «L’orientamento è quello di dare al massimo 30 giorni, anche se noi avremmo preferito una scadenza più ravvicinata». Il terzo punto riguarda il diritto all’oblio. «Si può sbagliare una volta, ma questo non può pesare per sempre. Dopo un certo lasso di tempo vanno tolte, non posso ritrovarmi a distanza di anni una recensione che mi condanna».
Quest’anno la Fipe – che conta più di 300mila associati – festeggia gli 80 anni di attività. «Dobbiamo innanzitutto celebrare quello che hanno fatto i pubblici esercizi in tutti questi anni. Dietro ogni impresa – chiosa infine il presidente – ci sono interessi economici, ma anche la difesa della coesione sociale e dell’identità del Paese. Decliniamo ogni giorno i valori immateriali che sono alla base anche della candidatura della cucina italiana a patrimonio Unesco». Ma non mancano le sfide. «Bisogna far ritrovare attrattività a questo lavoro perché spesso è scomodo, duro e magari si svolge di notte. E poi c’è un turnover di imprese che aprono e chiudono troppo elevato. Oggi per gestire un bar o un ristorante non basta saper cucinare bene, ma ci devono essere anche competenze manageriali. Questi sono i problemi che dovremo affrontare nel prossimo futuro».
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