Attualità
13 novembre, 2025Si inizia dalla Toscana, poi verrà la Liguria. Rixi e Salvini tentano di risolvere con le multe il caos di tracciati inadeguati e la promessa mancata di spostare il traffico merci via mare o sui treni. Ma i padroncini minacciano lotta dura
Altro che le sette guerre di Donald Trump. Lunedì 3 novembre fra i caselli di Incisa-Reggello e Chiusi in Toscana è iniziato un conflitto che promette di dilagare nelle tratte autostradali ingorgate dai mezzi pesanti. Autostrade per l’Italia (Aspi), la maggiore concessionaria italiana, ha imposto ai mezzi superiori a 12 tonnellate il divieto di sorpasso in un budello di 91 chilometri percorribili, secondo le tabelle della stessa Aspi, in 52 minuti. La tempistica pecca gravemente di ottimismo perché il tratto che attraversa parte del Chianti e della Val di Chiana è un budello di mezzi pesanti su entrambe le carreggiate che mantengono il traffico a medie da strada provinciale negli orari e nei giorni di punta. Peccato che sulle provinciali non si paghi il pedaggio e sull’A1 sì.
A farsi carico del problema è stato il viceministro delle infrastrutture Edoardo Rixi. L’esponente leghista genovese conta di estendere la regola alle autostrade della sua amata Liguria, da anni ridotte a uno slalom speciale fra i cantieri, con un traffico pesante aggravato dell’imbuto al confine francese verso il traforo del Monte Bianco, chiuso fino alla fine del 2025 per lavori di risanamento della volta.
Il provvedimento adottato per l’A1, già applicato sull’Autobrennero fra Modena e il confine austriaco, dovrebbe essere esteso anche ai tracciati della fascia tirrenica della Toscana. Nel frattempo, tra Incisa e Chiusi fioccano le multe.
Salvo buon fine delle trattative fra i padroncini e il Ministero delle infrastrutture (Mit), potrebbe essere la fine dell’intesa cordiale che unisce i partiti di centrodestra e gli imprenditori dell’autotrasporto. Ed è, o fu, un amore di lunghissima data con personaggi di spicco nel ruolo di lobbisti. Prima di diventare un protagonista nel mondo bancario, Fabrizio Palenzona ha guidato per quindici anni l’Unione italiana autotrasportatori ed è cresciuto con i Gavio che, a loro volta, prima di diventare i secondi concessionari autostradali d’Italia, hanno fatto i soldi con la ghiaia e i tir. A segnalare nuovi potenziali conflitti interni alla maggioranza, l’attuale referente numero uno dei camionisti è Paolo Uggè, 78 anni, ex deputato forzista e sottosegretario ai trasporti con il governo Berlusconi III. Dopo le prime sanzioni Uggè, presidente della Federazione Autotrasportatori Italiani (Fai), ha mandato una lettera ufficiale al ministero per chiedere la convocazione di un tavolo tecnico e ha dichiarato: «Riceviamo segnalazioni di rabbia e stanchezza. Qualcuno parla di proteste spontanee, come marce a passo d'uomo o blocchi stradali. Non le condividiamo ma il rischio di tensioni è reale».
Il disclaimer è inquietante e viene ribadito con toni più duri da altre associazioni come la Fiap con il segretario generale Alessandro Peron: «Se Autostrade per l’Italia e le istituzioni competenti non ritireranno questa misura e non apriranno un tavolo concreto e vincolante, Fiap non resterà a guardare».
Non sono minacce a vuoto. Qualunque automobilista di passaggio dalla bassa Toscana sa che il tracciato è rimasto più o meno ai tempi in cui venne inaugurata l’Autostrada del Sole, l’arteria principale del boom economico. Correva l’anno 1964, con Aldo Moro presidente del consiglio. Sessantuno anni dopo gli ammodernamenti sono complicati sotto il profilo ingegneristico e relazionale visto che l’autostrada attraversa alcune fra le zone più pregiate d’Italia. La capacità di resistenza ambientalista è spesso proporzionale alla presenza di vip, come insegnano le vicende dell’autostrada Tirrenica durante la gestione dei Benetton e del loro amministratore Giovanni Castellucci.
In quanto a maggioranze litigiose, Aspi potrebbe presto iscriversi alla lista. Il suo socio di riferimento è la Cassa depositi e prestiti (Cdp), dunque lo Stato, che ad aprile ha nominato un nuovo amministratore delegato, Arrigo Giana, ex ad dell’azienda di trasporto milanese Atm e di Cotral, la società di tpl della regione Lazio. Giana è espressione diretta del dirigismo della premier Giorgia Meloni. Di conseguenza, potrebbe sorprendere l’attacco frontale di Rixi ad Aspi in un’intervista pubblicata a inizio novembre sulle pagine genovesi di Repubblica. Il vice di Matteo Salvini ha detto che la realizzazione della Gronda di Genova da parte di Autostrade è obbligatoria. Non ci sono i soldi? Si devono trovare e senza aumentare i pedaggi.
L’opera non è a buon mercato ed è quasi raddoppiata di costo prima di partire: da 4,5 a 8 miliardi di euro per 72 chilometri di cui 25 in galleria, al prezzo record di 111 milioni di euro per chilometro.
Inoltre Aspi deve costruire altre opere ad alta spesa che a oggi non sono finanziate dal ministero dell’Economia (Mef). Per esempio, c’è il passante di Bologna che ha un costo stimato fra 2 e 3 miliardi di euro. Oppure l’ammodernamento della rete lungo la dorsale adriatica fra Marche e Abruzzo.
La polemica di Rixi non mira al socio di riferimento di Autostrade che è la Cdp, allineata al governo. Men che meno al management di Aspi, allineatissimo. I bersagli sono la statunitense Blackstone e l’australiana Macquarie, cioè i fondi entrati in Aspi nel 2020 con closing l’anno successivo nel dispendioso accordo per l’uscita della famiglia Benetton dopo il crollo del viadotto sul Polcevera il 14 agosto 2018 con 43 morti. Il disastro è al centro di un processo penale in corso a Genova con il rischio di prescrizione per vari imputati, mentre i Benetton hanno portato a casa 8,2 miliardi di euro per il loro 88 per cento di Aspi.
La voragine del viadotto Morandi ha costretto gli autotrasportatori a itinerari più lunghi, compensati da un risarcimento governativo di 186 milioni di euro in un triennio, in aggiunta ad altre centinaia di milioni annuali di contributi pubblici a vario titolo, fra sconti sul gasolio, agevolazioni fiscali e investimenti in formazione.
Autostrade è una gallina dalle uova d’oro, in termini di dividendi. A maggio 2025 la società ha annunciato una distribuzione di utili per 790 milioni di euro, in diminuzione netta rispetto a 1,36 miliardi di euro dell’anno precedente proprio perché il governo ha chiesto alla nuova dirigenza di tenere a riserva una quota maggiore dei profitti da casello.
Il segnale dell’esecutivo è di facile lettura. Nello stesso modo in cui le banche si sono dovute piegare al contributo da 4,4 miliardi sulla Legge di Bilancio, Blackstone e Macquarie si dovranno adeguare al nuovo slogan di Palazzo Chigi: meno profitti, più investimenti.
Ma se il messaggio è semplice da vendere a scopo di propaganda, la sua realizzazione è complessa. Premesso che anche i soldi del prelievo banche non vengono dai bonus dei manager ma dai conti correnti di chiunque, la posizione degli istituti di credito operanti per lo più in Italia è ben diversa da quella dei fondi internazionali per i quali Aspi è la goccia di un business globale. Le scritture private firmate al momento del riassetto azionario post Benetton sono blindate e possono dare luogo a contenzioso, se verranno ignorate.
Un altro elemento di scontro arriverà entro il 19 dicembre. Per quella data sarà pronta la delibera numero 75 dell’Autorità dei trasporti guidata da Nicola Zaccheo che ridefinirà il modello economico delle concessioni autostradali fissando i parametri fra investimenti dei concessionari sulla rete e remunerazione attraverso i pedaggi. In questi giorni il testo è in fase di esame da parte delle commissioni parlamentari. Poi andrà in mano ai concessionari per eventuali contestazioni, integrazioni e critiche. Per dare un segnale conciliante Zaccheo, nominato nel 2020 con l’appoggio del M5s e in scadenza nel 2027, ha proposto il risarcimento integrale del pedaggio per gli automobilisti in coda a partire dall’anno prossimo. È una partita di giro perché in questo caso le concessionarie potranno recuperare le uscite aumentando i pedaggi.
In questo scenario fosco affiora una proposta di happy ending da parte del Mit. La conclusione della lite passa dal tradizionale allungamento delle concessioni. Detto altrimenti, meno profitti all’anno ma per più anni. In questo modo, forse si eviterà il rischio che Blackstone-Macquarie convochino il Mef e il Mit in tribunale.
Resta però la possibilità concreta che la Commissione europea bocci una proroga simile per contrasto alle direttive sulla concorrenza. Non che il governo sia troppo preoccupato da un nuovo fronte analogo a quello dei gestori di lidi e spiagge, da anni beneficiari di rinvii e ultimatum mancati sulle gare. Ma altro è incassare lo sciopero degli ombrelloni, com’è accaduto ad agosto 2024 con un paio di ore a sdraio chiuse, altro è mettersi contro simultaneamente i concessionari autostradali e gli autotrasportatori. La capacità ritorsiva altro è mettersi contro simultaneamente i concessionari autostradali e gli autotrasportatori. La capacità ritorsiva dei padroncini ha un impatto ben diverso da quello dei balneari sulla produzione e sui consumi. Senza scomodare precedenti storici come lo sciopero dei camionisti nel Cile di Salvador Allende all’inizio degli anni Settanta, sarebbero i cittadini e le imprese a pagare la scelta miope di affidare il grosso del trasporto merci alla gomma, nonostante gli obiettivi di trasferimento su ferro e per mare, anche questi fissati in sede europea. E anche questi mancati puntualmente.
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