Attualità
25 novembre, 2025Oltre 2.400 lemmi nel primo Dizionario di genere, un’opera collettiva coordinata da Marzia Camarda. Dal mansplaining al pinkwashing: riconoscere i fenomeni per contrastarli
Nominare per capire e modificare l’esistente. Un vocabolario di più di 700 pagine e oltre 2400 lemmi, in ordine alfabetico e con rimandi interni per contestualizzare e approfondire. Settenove pubblica, autrice Marzia Camarda, “Dizionario di genere. Definizioni e relazioni per la comprensione dei fenomeni legati al genere”. Un grande progetto editoriale, il primo compendio lessicale mai realizzato in materia. Un libro che guarda all’oggi ma risalendo indietro nel tempo e nello spazio. Locuzioni, neologismi, espressioni dotte o gergali, «di strada o d’aula» assorbite dall’accademia e dai movimenti femministi e queer, dai social e dalla cultura di massa. Un’istantanea ibrida del presente, un corpo linguistico vivo, teso a creare reti e interdipendenze di significato. Frutto di un lavoro collettivo (vi hanno contribuito avvocati e attiviste, docenti universitari/e ), pensato come un work in progress, le macrocategorie del volume sono 12: corpo, identità, lavoro e denaro, sessualità, violenza, tecnologia, diritti, famiglia, linguaggio, psicologia e modelli educativi e storia.
«Scoprire che altre persone prima di noi hanno trovato le parole per descrivere un dato fenomeno ci conforta nell’idea che non si tratta di fatti isolati su cui abbiamo una responsabilità solo come individui, bensì di fenomeni sociali ampi su cui abbiamo uno spazio di miglioramento come comunità», scrive Camarda. Si va dalla A di abbandono del tetto coniugale alla Z di zoombombing (intrusione di hater o troll durante una videoconferenza di eventi che trattano temi come l’inclusione o il femminismo). In mezzo, l’auto-oggettificazione (processo attraverso il quale è la donna che assume verso di sé, e le altre, lo sguardo deumanizzante e sessualizzante del patriarcato). Ecco il mansplaining, coniato da Rebecca Solnit nel 2008, fusione di man e to explain: la convinzione, da parte di alcuni uomini, di essere più competenti a priori delle donne che hanno di fronte, alle quali rivolgersi con atteggiamento condiscendente e paternalistico. O ancora Dream gap (divario di aspettative tra bambine e bambini che inizia in età prescolare), e poi gender orgasm (differenza nella frequenza della soddisfazione sessuale in uomini e donne, specialmente tra le coppie etero). Oppure pinkwashing, ossia «l’uso strumentale delle battaglie femministe o Lgbtq+ per ripulire l’immagine di aziende o istituzioni». È una delle perversioni, un po’ surreali, del nostro zeitgeist; ma sempre meglio della barbarie immane, tra femminicidi e “mascolinità” tossiche, in questo medioevo di ritorno. Un censimento a tappeto rivolto a tutte e tutti. Un dizionario politico, perché «i concetti legati al genere non sono mai neutri». Resistere e combattere contro pregiudizi e cliché, che rinascono di continuo dalle proprie braci: «se puoi nominarlo, puoi cambiarlo».
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