Attualità
28 novembre, 2025A 1700 anni dal Concilio che cambiò la Chiesa, una lettera nascosta per decenni resta un monito inascoltato: “Il Credo francese contiene formula in disaccordo con la fede cattolica”
Il Papa e il filosofo. Paolo VI e Jacques Maritain, il pensatore francese che Montini considerava uno dei suoi maestri intellettuali. E una lettera tenuta nascosta per decenni. Una missiva che qualcuno non voleva pubblicare perché dal contenuto esplosivo, per molti versi scandaloso, e che torna ora di stringente attualità in occasione del viaggio di papa Leone XIV in Turchia per i 1700 anni dalla proclamazione del Credo di Nicea. A Nicea (oggi Iznik, 140 kilometri da Istanbul), venne composta nel IV secolo la professione di fede cattolica che si recita ancora in tutte le chiese del mondo. Un testo formulato al termine di quello che fu il primo Concilio Ecumenico della storia e che si svolse in un clima arroventato. Il Concilio voluto tra la primavera e l’estate del 325 dall’imperatore Costantino era stato da lui indetto per decidere su una concezione di Cristo diffusa da un sacerdote di Alessandria, Ario, che si era velocemente diffusa nell’orbe cattolico.
Ario sosteneva che Cristo è sì il figlio di Dio che ha insieme divinità e umanità, ma la sua è una divinità creata da Dio Padre, che non esiste dall’inizio dei tempi, quindi una divinità in qualche modo inferiore. Ma al Concilio di Nicea, che vide accesi dibattiti, quella concezione venne alla fine disconosciuta dalla maggioranza dei vescovi partecipanti, e da allora in poi venne definita come una eresia, l’eresia ariana. Un’eresia, però, che poco più tardi, nonostante la condanna ottenuta, rischiò di diventare la concezione dominante di tutta la Chiesa cattolica. Furono anni drammatici per la cristianità. Lo stesso Costantino poi parve parteggiare per Ario, e sotto l’imperatore Teodosio si scontrarono più violentemente i due fronti, quello uscito vittorioso da Nicea (che sosteneva che Cristo era consubstantialem Patri, “della Stessa Sostanza del Padre”, la parola greca è homoousios) e quello più vicino ad Ario (che sosteneva che Cristo era semplicemente “di Sostanza Simile al Padre”, quindi non di identica divinità, la parola greca è homoiousios). Curiosamente una sola lettera, la i, distingueva due così radicalmente diverse concezioni nella lingua greca con la quale venne formulato il Credo.
Uno scontro che diede luogo a vari Sinodi in differenti nazioni, la maggior parte dei quali, ribaltando clamorosamente il risultato precedente, si dichiarò contro Nicea, come avvenne nell’importante Sinodo di Rimini del 359. Gli odi erano così forti che alcuni vescovi “niceani” furono costretti a fuggire da Rimini per timore di essere uccisi, e si nascosero in un villaggio di pescatori a 20 chilometri di distanza. In riconoscenza della salvezza ottenuta da quei pescatori i vescovi chiamarono quel luogo, come segnala anche una lapide che ricorda l’episodio posta su una piccola chiesetta del posto, “la Cattolica”, nome rimasto ancora oggi alla città romagnola con forte vocazione turistica, benché molti dei suoi abitanti ne ignorino l’origine. Ci volle un secondo Concilio Ecumenico, quello di Costantinopoli del 381, per ribaltare ancora una volta la situazione, e ribadire la correttezza della formula di Nicea, salvando l’integrità della fede cattolica come era stata trasmessa dagli apostoli e dalla tradizione. Cristo è figlio di Dio, ma identico a Lui nella divinità. È quindi della stessa, identica sostanza del Padre.
Il Credo formulato a Nicea e integrato a Costantinopoli entrò così definitivamente nel canone della Messa, e venne recitato per moltissimi secoli in latino, lingua ufficiale della Chiesa. Fino a quando Paolo VI guidò, secondo quanto richiesto dal Concilio Vaticano II (1962-1965), la riforma liturgica che tradusse i testi nelle varie lingue nazionali. La traduzione fatta in francese, però, sconvolse Jacques Maritain, uno dei più importanti pensatori cattolici del Novecento e tra i padri della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, documento base dell’Onu. Maritain scrisse una lettera di fuoco a Paolo VI, chiedendogli di correggere la traduzione. L’accusa? Delle più devastanti. Quel Credo, scrive Maritain al Papa, è stato tradotto correttamente in lingua inglese (e anche nella lingua italiana) ma nella traduzione francese contiene un errore incredibile, fa addirittura proclamare ai fedeli una concezione eretica. Di fatto obbliga i cattolici a pronunciare la stessa tesi “ariana” sconfitta al Concilio di Nicea.
“Nella traduzione francese del Credo” scrive Maritain, “c’è un errore puramente e semplicemente inammissibile (…) che mette in bocca ai fedeli una formula che è erronea di per sé e anche, strettamente parlando, eretica (…). Una formula in disaccordo con la fede cattolica”. Dietro una apparentemente innocente formuletta, spiega il filosofo, si nasconde la terribile eresia di Ario. Nel credo di lingua francese è stata, anche se pare assurdo, introdotta una formula per rifiutare la quale, dice Maritain, “un tempo si è sofferta la persecuzione e la morte”. La traduzione, denuncia, è stata fatta con colpevole superficialità pur di non usare la parola sostanza ritenuta non immediatamente comprensibile nei tempi odierni. E al posto dell’espressione della stessa sostanza del Padre il traduttore ne ha scelta un’altra: “Della stessa natura del Padre, che è esattamente l’homoiousios degli ariani o dei semi-ariani, contrapposta all’homoousios, o consubstantialis, del Concilio di Nicea”.
La lettera di Maritain venne da me rintracciata negli anni ’90 in Francia negli archivi del Centro dove erano conservati i documenti del filosofo. Nonostante la sua importanza era rimasta volutamente inedita fino ad allora, celata ancora negli archivi dopo decenni dalla sua compilazione. Troppo dirompente il contenuto: il Credo che Maritain definiva “eretico” era ancor quello usato da milioni e milioni di fedeli sia in Francia che nei paesi francofoni. Una labile traccia me ne aveva fatto supporre l’esistenza, mi ero quindi presentato sotto falso nome e con una falsa qualifica a quel Centro. Quando, dopo alcuni giorni, scoprii che quel testo esisteva davvero, riuscii a fotocopiarlo e poi lo pubblicai sul mensile internazionale 30Giorni. Potei anche ricostruirne la genesi parlando con Jean Guitton, docente di filosofia alla Sorbona e grande amico di Paolo VI. Mi raccontò che il 27 dicembre del 1964, mentre il Concilio Vaticano II era ancora aperto e navigava in acque tempestose, aveva ricevuto un incarico segreto da Paolo VI, diventato Papa da solo un anno, ed era andato con il segretario del pontefice, monsignor Pasquale Macchi, da Maritain. Doveva sottoporgli una lista di “questioni urgenti” sulle quali il Papa chiedeva il parere del celebre filosofo tomista, uno dei padri di quello che oggi viene chiamato progressismo ecclesiale. «Erano argomenti», mi confidò Guitton «che stavano particolarmente a cuore a Paolo VI. Per fare un esempio, c’era una domanda sulla contraccezione. E poi la questione della Liturgia». Maritain ci lavorò per tutto l’inverno, fino al marzo successivo, quando consegnò il suo testo a monsignor Macchi.
La traduzione del Credo, però, non cambiò. Paolo VI probabilmente divenne consapevole solo con molto ritardo degli errori commessi dal Consilium che presiedeva la Riforma Liturgica, tanto che poi ne rimosse, bruscamente e clamorosamente, il suo potentissimo Segretario, monsignor Annibale Bugnini. Per lui niente promoveatur ut amoveatur: il Papa lo spedì in Iran. Grande fu l’eco che ebbe, in Francia e altrove, la pubblicazione della lettera segreta di Maritain a Paolo VI, e il Centro, cattolico, che la conservava senza farla conoscere annunciò una denuncia con una cifra esorbitante da pagare per aver pubblicato un testo su cui erano loro ad avere diritti esclusivi. Una denuncia che non proseguì quando, successivamente, intervistai varie personalità e molti cardinali che approvavano quella pubblicazione. Soprattutto, tra loro c’era anche il Primate della Chiesa di Francia, il cardinale di Lione Albert Decourtray, che disse: «Trovo stupefacente che il testo di Maritain sia rimasto nascosto negli archivi per venticinque anni. Amerei sapere il perché. Deploro questo atteggiamento, che purtroppo è ancora troppo spesso diffuso all’interno della Chiesa: al contrario, bisogna che tutto sia conosciuto. Io sono per la trasparenza». E il cardinale continuava: «Quell’espressione denunciata da Maritain è ambigua. Anche io ho spesso pensato che c’era un aspetto ambiguo nella formula “della stessa natura”. L’espressione ‘della stessa sostanza’ è decisamente migliore. Credo che oggi quella revisione chiesta da Maritain sia possibile. Bisogna cambiarla, è venuto il tempo».
Eppure, sorprendentemente, a tanti anni di distanza, l’intervento richiesto dal Primate di Francia, (“quella formula bisogna cambiarla, è venuto il tempo”) non è stato ancora realizzato. L’espressione “de même nature que le Père” denunciata da Maritain come “eretica” è ancora lì, nel Credo francese, recitata ogni volta che un cattolico professa la propria fede. Chissà che l’attenzione sul testo del Credo uscito dal Concilio di Nicea suscitata dal viaggio di Papa Leone XIV, e le sue parole durante la visita, non possano spingere a intervenire sulla errata traduzione francese. Forse, oggi, i tempi sono diventati finalmente maturi.
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