Attualità
5 novembre, 2025L'alleanza si pone l'obiettivo di "respingere collettivamente la crescente pressione esercitata dall'Unione europea e dall'Italia per obbligarci a comunicare con la 'guardia costiera libica', responsabile di oltre 60 brutali violenze negli ultimi dieci anni"
Tredici organizzazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo hanno dato vita a "Justice Fleet", la “flotta della giustizia” che ha deciso di operare in autonomia interrompendo le comunicazioni col Centro congiunto di coordinamento dei soccorsi di Tripoli (Jrcc).
Sostenuta dall’associazione Refugees in Lybia e dal Centro europeo per i diritti costituzionali e umani, la Justice Fleet "è una risposta, radicata nel diritto, alla coercizione degli Stati europei a comunicare con le milizie libiche responsabili di violenze quotidiane in mare, e in opposizione al rinnovo tacito del Memorandum d'intesa Italia-Libia", si legge nella nota congiunta firmata dalle ong francesi, tedesche, italiane e spagnole. Tra di esse, si annoverano SOS Humanity, Louis Michel, Tutti gli occhi sul Mediterraneo (Tom) e Mediterranea saving humans.
Con l’entrata in vigore del decreto Piantedosi – il primo in assoluto varato dal governo Meloni –, le ong sono state obbligate a coordinare le operazioni con Tripoli, il cui Centro di coordinamento dei soccorsi però "non soddisfa gli standard internazionali necessari al funzionamento di un centro per il coordinamento dei soccorsi", si legge nel comunicato, in quanto "non è raggiungibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7, manca di capacità linguistica e non dispone di un'infrastruttura tecnica adeguata per coordinare le operazioni di soccorso".
E soprattutto, il Jrcc è diretta espressione di un progetto di esternalizzazione della gestione dei flussi che ha reso possibile la nascita della cosiddetta guardia costiera libica, ovvero "una rete decentralizzata di milizie armate equipaggiate e addestrate con fondi dell’Unione europea, in particolare dall'Italia". Il nostro Paese, infatti, ha versato nelle casse della Libia un miliardo e 366 milioni di euro dal 2017, anno in cui è stato sottoscritto il Memorandum di cooperazione con le milizie libiche dall’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, su impulso del suo ministro dell’Interno Marco Minniti, promotore dell’accordo.
La "guardia costiera libica" opera intercettando con la forza i migranti durante la traversata, per rapirli e ricondurli in "campi dove tortura, stupri e lavori forzati sono una pratica sistematica", sottolineano le ong. Vessazioni, queste, ampiamente documentate con foto e video sui canali social di Refugees in Lybia, e in generale denunciate dalla società civile da oltre dieci anni. Le violenze sono state riconosciute già da tempo come sistematiche e organizzate da parte dei tribunali europei e dalle istituzioni Onu, e costituiscono un crimine contro l’umanità. Justice Fleet ha pubblicato sul suo sito sia una panoramica completa degli atti criminosi compiuti dalle autorità libiche, sia la prima lista di sempre che raccoglie le vittorie ottenute dalle ong nelle varie sedi giudiziarie.
La campagna nasce "all’indomani di un nuovo caso di disobbedienza da parte di una nave civile di soccorso verso ordini ingiusti e illegittimi del governo italiano, nel rigoroso rispetto del diritto marittimo, umanitario, nazionale e internazionale", dichiara il consorzio appena istituito.
In mente, l’esempio della nave Mediterranea dell’omonima ong, che ieri ha fatto approdare a Porto Empedocle 92 persone salvate nei giorni precedenti in tre diverse operazioni. Le autorità italiane avevano indicato Livorno come porto di sbarco, ma "Mediterranea ha operato a tutela dei fondamentali diritti alla vita, alla salute e alla dignità delle persone soccorse. Lo spirito con cui la nave ha agito è quello che anima Justice Fleet".
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