Attualità
15 dicembre, 2025È stata per anni punto di riferimento de L'Espresso. Solida professionista e maestra preziosa. Questa redazione era la sua casa. E oggi non può che dirle grazie
«Questo pezzo non ha centro. Riscrivilo». E ovviamente aveva ragione lei. Loredana Bartoletti se ne è andata in un giorno ingiusto di novembre. L’Espresso era la sua casa, il giornalismo il suo mestiere.
Guidava l’attualità del nostro settimanale da via Po a Largo Fochetti con lucida fermezza, senza perdere mai un sottile entusiasmo di fronte alla notizia: è una bella parola diceva, bisogna trattarla con cura. Ruby Rubacuori, la casa del cardinale, la casta, le ragazze di Papi, Lampedusa, la guerra in Iraq, ogni pagina portava il segno della sua attenzione sorprendente, a tratti contagiosa, come la sua risata calda e il suo romanesco sbrigativo. Il qui e il subito erano la sua cifra, le bastava un’occhiata, se non andava bene diceva semplicemente: «No». E passava oltre.
Un tempo il mascara si chiamava rimmel, nessuno pensava al brand ma solo al colore per allungare le ciglia. Ma guai a scriverlo: «Non esiste, sembra uno spot. Il giornalismo con la pubblicità non si deve neanche sfiorare», diceva con una piccola smorfia di disgusto, sfogliando il timone di società. Onesta, accogliente, generosa, volantinava consigli preziosi anche all’ultimo arrivato. «Ma perdo tempo con te solo perché ne vale la pena».
Sulla scelta delle fotografie applicava lo stesso identico rigore che utilizzava sulla grammatica. «Fammi capire di chi stiamo parlando, meno poesia, il lettore se lo merita». Per i suoi inviati invece si preoccupava fisicamente, si svegliava la notte chiedendosi se fossero in pericolo. Intanto masticava politica e inchieste, le maturava, le digeriva e ripartiva da capo. Poi all’improvviso ti mandava una mail di pura allegria. «Ti piace sempre George Clooney? Guarda qui, Amal è vestita malissimo».
Loredana aveva il dono della messa a fuoco. La redazione per lei aveva tratti ben precisi e non ti confondeva mai con lo sfondo. I colleghi e le colleghe li chiamava ragazzacci, belle fanciulle, vecchie rocce, giovanotti. Ognuno si sentiva voluto bene per quello che era, e la seguiva come fosse la testa di un corteo. Perché non mancava mai la data di un compleanno, si ricordava davvero i nomi dei tuoi nipoti, chiedeva «come sta la pupa?» e poi ti invitava a cena in quel modo tutto suo, così semplice, così diretto: «Ma quale grazie, smettila, mi stai facendo un piacere così posso provare una nuova ricetta».
Loredana era asciutta, detestava le ambiguità, scartava il superfluo. Se doveva dirti una cosa scomoda ti guardava dritto negli occhi. Era ruvida, dolce, ostinata. E riusciva a farti sentire parte di una comunità chiamata giornale.
Amava Parigi, “Grey’s Anatomy”, gli alberi di Natale, i rossetti bordeaux, Enrico Berlinguer, gli abiti verdi, le lampade strane, i falsi d’autore, l’ottimo cibo, i gatti e “X Factor”. I tacchi no, troppo scomodi. La tecnologia invece sì, scatenava la sua curiosità sfacciata per il nuovo a cui non permetteva mai di perdere con l’antico.
Quando se ne è andata, all’improvviso si sono riannodati tutti i fili sparsi per mille vie, e quella redazione di un tempo che aveva avuto la fortuna di averla, è ricomparsa per dirle grazie, con gli occhi rossi e il cappello in mano. Ora ricordarla è facile, ringraziarla inevitabile, riempire il vuoto impossibile. Ma come direbbe Loredana, questa non è una notizia.
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