Scoprì l’errore di persona, seguì il caso senza mollare e alla fine ottenne che il falegname e profugo eritreo Medhanie Tesfamariam Berhe, condannato a 5 anni perché scambiato per il generale trafficante di uomini Medhanie Yedhego Mered, venisse scarcerato. La storia, tra il 2016 e il 2019, tenne banco su tutti i giornali da quando Lorenzo Tondo del Guardian e collaboratore de L’Espresso, iniziò a seguirla, smentendo la versione sull’identità dell’arrestato, estradato dal Sudan con l’identità sbagliata. Per questo, Tondo finì anche intercettato e le sue fonti smascherate con il deposito dei dialoghi nel processo al generale sbagliato.
La liberazione del presunto trafficante dopo tre anni di carcere, non avvenne subito, come avevano disposto i giudici di appello nel 2019, ma dopo un passaggio al Cpr di Caltanissetta. Fin qui l’ennesima stortura negli indecifrabili meandri delle stratificate norme sull’immigrazione. Ma c’è un ma che fa girare la storia verso il paradosso pirandelliano. Perché il magistrato Calogero Cammarata che trattenne al Cpr il trafficante sbagliato è lo stesso che adesso deve decidere su una causa civile che corre in parallelo con tutta questa storia.
Lorenzo Tondo, infatti, per i suoi articoli e per un post su Facebook, è chiamato a risarcire Calogero Ferrara, l’allora pm del processo al falegname che si è sentito diffamato. Il giudizio, vedendo parte lesa un magistrato del distretto di Palermo, si celebra a Caltanissetta, ma è finito assegnato proprio a Cammarata. A distanza di molti anni dai fatti, come accade nella disastrata macchina giudiziaria italiana, per una sorprendente coincidenza, Tondo sarà giudicato dallo stesso magistrato che esaminò gli atti su Berhe, convincendosi a trattenerlo al Cpr di Caltanissetta, in attesa di valutare se avesse diritto o no alla protezione internazionale, che, per inciso, ha poi ottenuto.
Il giudice Cammarata dovrebbe astenersi? Ne è convinto il sindacato dei giornalisti: «È incompatibile», scrivono Assostampa Sicilia e Fnsi. «Che un giornalista scopra e scriva di un clamoroso errore giudiziario dovrebbe essere elemento di merito e non pretesto per una querela nei suoi confronti – dice il sindacato di categoria - Che il giudice che ha convalidato il provvedimento di trattenimento di un migrante al Cpr di Caltanissetta dopo la sentenza di primo grado, non si astenga dal giudicare il giornalista oggi a giudizio per diffamazione, appare inopportuno e preoccupante per la garanzia di giusto processo dovuto ad ogni cittadino italiano».