Viva Leroy Nash, conosciuto anche come Jail Houdini, morì nel 2010 dopo aver trascorso quasi ottant’anni della sua esistenza in carcere. Nonostante i legali considerassero lo stato di salute del proprio assistito incompatibile sia con l’esecuzione capitale sia con la detenzione, Nash sarà ricordato nella storia degli Stati Uniti come la persona più anziana a morire per cause naturali mentre, ancora detenuto, era in attesa di essere giustiziato. Aveva 94 anni.
Esiste un’età oltre la quale la detenzione diventa un’inutile, oltre che crudele, punizione? La questione diventa sempre più attuale anche in Italia, se si considera che secondo i dati del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria oltre mille detenuti sui 62mila presenti hanno più di settant’anni. Secondo il Consiglio d’Europa, inoltre, l’Italia è il Paese europeo con più detenuti oltre i 65 anni d’età.
Antonino, 76 anni compiuti, da 4 anni e mezzo è in semilibertà, ma la sua condanna è «fine pena mai». Di giorno può uscire per fare volontariato, ma ogni notte torna in cella. «In carcere ho visto persone di tutte le età, una marea sofferente. Ci sono l’infermiere e il medico dell’Istituto – racconta – ma per fare delle visite specialistiche bisogna aspettare tanto tempo». E alcune patologie, combinate con l’età avanzata, finiscono per essere debilitanti e senza la figura del piantone (termine carcerario per indicare i detenuti che affiancano chi non è autosufficiente), molti detenuti anziani – dice Antonino – non riuscirebbero né a mangiare né a lavarsi.
Franco Della Casa, professore emerito di Diritto processuale penale all’Università di Genova, già docente di Diritto penitenziario nella stessa Università, parla di una «crescente moltitudine di invisibili», riferendosi alla popolazione anziana detenuta.
«Si può ragionevolmente dire, facendo riferimento alla legislazione italiana e alla giurisprudenza in materia, che si entra nella categoria degli anziani al compimento dei 70 anni. E nonostante sia prevista una forma di detenzione domiciliare per i condannati ultrasettantenni, la norma è di fatto oggetto di sbarramento». Infatti, prosegue Della Casa, la misura non include un numero molto elevato di persone condannate per reati considerati gravi dal legislatore. Ovvero omicidio, reati sessuali, reati di riduzione in schiavitù e reati associativi.
Stessa riflessione condivisa da Valentina Calderone, Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Roma, che parla di un numero così elevato di eccezioni alla legge sulla detenzione domiciliare che l’uscita dal carcere non è mai automatica. «Se guardiamo la serie storica, dal 2005 il numero degli over 70 reclusi è costantemente cresciuto: dato che può essere collegato anche all’aumento degli ergastoli e che fa ipotizzare che una parte di queste persone siano diventate anziane in carcere».
È un tema, sottolinea Calderone, che nel Lazio come altrove è largamente sottovalutato e che riguarda tanto le condizioni di salute delle persone detenute quanto la loro età, senza contare che molte delle patologie riscontrate sono una diretta conseguenza della detenzione prolungata.
E se l’architettura penitenziaria, anche in condizioni non sovraffollate, risulta ostile di per sé, è con l’avanzare dell’età che quelle barriere carcerarie finiscono per essere insostenibili.
Elisabetta, oggi libera, ha trascorso quasi otto anni della sua vita in carcere. «Una decina di anni fa – racconta – ho incontrato una donna di 72 anni, disabile, nel carcere di Verona». La signora, che alternava la sedia a rotelle al bastone, non faceva l’ora d’aria perché le celle erano al secondo piano e lo spazio esterno al piano inferiore. «Le hanno concesso di usare l’ascensore per scendere e risalire, altrimenti sarebbe rimasta dentro la cella tutto il giorno – spiega – Io all’epoca avevo una cella singola ma lei non aveva aiuti di alcun tipo per cui ho chiesto che fosse trasferita nella mia. Lei passava le giornate sul letto per i suoi problemi di mobilità, mentre io cucinavo, pulivo la stanza, la accompagnavo in bagno e nel cortile. Ci facevamo compagnia e lei mi ricordava di prendere le mie medicine».
E in un contesto, come quello attuale, in cui il sovraffollamento degli istituti penitenziari raggiunge picchi del 150 per cento, la tutela della salute in generale e la tutela della salute di chi è anziano in particolare, rischia di essere costantemente violata.
Gli stessi agenti, in queste condizioni, sono costretti a svolgere un lavoro più intenso e – sottolinea Della Casa – sono sottoposti a sollecitazioni maggiori rispetto a un carico di lavoro normale e questo stato di tensione influisce certamente sulle persone più fragili. «Per cui mentre un detenuto adulto sa, di norma, difendersi e attuare delle contromisure per contrastare questa situazione di ansia che c’è in un carcere sovraffollato, un detenuto anziano ne subisce le conseguenze in maniera totale».
Nel concludere la telefonata Antonino, che tra qualche ora tornerà a dormire in carcere, chiede: «Ma, secondo voi, parlarne serve a qualcosa? Voi, del resto, neanche ve lo immaginate quante persone ho visto morire in carcere».