Il "ritardo nella reazione" della “vittima" nella “manifestazione del dissenso” è “irrilevante” ai “fini della configurazione della violenza sessuale”. Tradotto: non conta quanto tempo passa dall’inizio di una violenza e il venir meno del consenso della vittima perché – questa la tesi della Cassazione – una violenza sessuale è tale anche con una manifestazione di dissenso non immediata.
I giudici della Suprema corte, nella sentenza depositata oggi, 16 giugno, mettono un punto su una questione che aveva fatto discutere. Lo scorso febbraio, il procuratore generale di Milano, Angelo Renna, aveva disposto un processo bis d’appello per un ex sindacalista che era stato accusato di abusi e che poi era stato assolto perché, come hanno sostenuto i giudici, la vittima in “30 secondi” avrebbe potuto opporsi. La “giurisprudenza è netta” perché la "sorpresa" di fronte all'abuso "può essere tale da superare" la "contraria volontà", ponendo la vittima nella "impossibilità di difendersi”.
Il 24 giugno del 2024, nel motivare l’assoluzione, la Corte d’appello milanese aveva sostenuto come “l'imputato non abbia adoperato alcuna forma di violenza - ancorché si sia trattato, effettivamente, di molestie repentine - tale da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta". Condotta, scrivevano ancora i giudici, che "non ha (senz'altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale", "20-30 secondi", che "le avrebbe consentito anche di potersi dileguare”.
Nel motivare il suo ricorso, il procuratore generale di Milano aveva richiamato la più recente giurisprudenza sul concetto di “consenso”, secondo cui non occorre che "non sia stato percepito un dissenso, ma è necessario che si abbia la ragionevole certezza che vi sia un consenso pieno, iniziale e permanente". Oggi la Cassazione gli dà ragione, con un'interpretazione che probabilmente ribalterà il processo con cui, inizialmente, l'ex sindacalista è stato assolto.



