Dall’aula bunker di San Vittore, sono arrivate le prime condanne per gli ultras di Inter e Milan arrestati lo scorso settembre nell’ambito dell’inchiesta “Doppia curva” e che hanno scelto il rito abbreviato. E sono condanne pesanti, quelle emesse dalla gup di Milano Rossana Mongiardo. Dieci anni di carcere - anche se la richieta della procura era di nove - per l’ex leader del tifo nerazzurro, Andrea Beretta, diventato collaboratore di giustizia dopo aver ucciso il rampollo di ‘ndrangheta, Antonio Bellocco. A Beretta, che ha ottenuto uno sconto di pena per aver scelto di collaborare con i magistrati e che durante le sue deposizioni ha ammesso di essere il mandante anche dell’omicidio di Vittorio Boiocchi, è contestata anche l’aggravante mafiosa. Stessa pena - dieci anni di reclusione - anche per l’ex numero uno della Curva Sud milanista, Luca Lucci, imputato come mandante del tentato omicidio dell'ultrà Enzo Anghinelli e di associazione per delinquere. E dieci anni anche per il suo vice, Daniele Cataldo. In totale, sono 16 gli imputati in questo filone.
Oltre alle 16 condanne emesse, la gup Mongiardo ha anche riconosciuto risarcimenti a carico degli imputati, per danni patrimoniali e di immagine, a favore delle parti civili Lega Serie A, con l'avvocato Salvatore Pino, Inter, con gli avvocati Francesco Mucciarelli, Adriano Raffaelli e Caroline Hassoun, e Milan, con il legale Enrico de Castiglione. Per la Lega Serie A è stata riconosciuta una provvisionale immediatamente esecutiva di 20mila euro, per i due club da 50mila euro ciascuna. Il resto dei risarcimenti in sede civile con le cause.
Nel primo pomeriggio, in piazza Filangeri di fronte a San Vittore, si è radunato un gruppo di oltre 200 ultras del Milan, che hanno esposto uno striscione con scritto: “Ultras, amicizia, lealtà, fratellanza, aggregazione. Noi siamo la Curva Sud, non siamo un’associazione”.
Durante la scorsa udienza, nella sua memoria il pm Paolo Storari - che ha coordinato l’inchiesta insieme a Sara Ombra - aveva sostenuto che gli ultrà avevano “costituito una sorta di milizia privata”, con i propri vertici, con “una propria struttura gerarchica, un proprio territorio” - stadio e “ dintorni” - e le “proprie regole”. Milizie che erano “in rapporti, conflittuali o meno” non solo con altre tifoserie, ma anche con i club (che si sono costituiti parte civile nel processo). E con “le strutture statali deputate alla repressione dei reati”, digos e forze di polizie. Questi “rapporti con istituzioni e con la società calcistica ha generato, negli imputati, una sorta di legittimazione”, aveva detto Storari.