Sembra così difficile salvarsi, la minaccia appare imponderabile. Perciò la violenza di genere e domestica, che troppe volte culmina nel femminicidio, intimorisce tanto le vittime quanto l’opinione pubblica. Perché chiunque potrebbe subirla. Un antidoto, però, c’è: la prevenzione. Lo sa bene il colonnello dei Carabinieri, Barbara Vitale, ufficiale psicologa che comanda la Sezione Atti persecutori. La struttura fa parte del Reparto Analisi criminologiche del Raggruppamento Carabinieri Investigazioni scientifiche (Racis) ed è stata istituita nel 2009, con l’introduzione dell’omonimo reato, meglio noto come stalking, nel Codice penale. «La Sezione è nata da un protocollo d’intesa tra i ministeri della Difesa e per le Pari Opportunità ed è composta da esperti in ambito psicologico, criminologico, giuridico; dalla sede romana analizza, studia e osserva a livello nazionale proprio queste forme di violenza per rafforzare le strategie di contrasto e, appunto, di prevenzione», spiega Vitale.
S’è applicato, quindi, un approccio scientifico, specializzato e sinergico all’individuazione e alla rilevazione dei fattori di rischio. Perché il violento si può prevedere. E fermare. Lo stesso metodo si usa per formare, focalizzandosi sulla materia, il personale dell’Arma. «Fondamentale è il “Prontuario operativo per i reati di violenza di genere e per l’approccio alle vittime particolarmente vulnerabili” – prosegue Vitale – si tratta di linee guida che riepilogano le migliori prassi per orientare le azioni di aiuto e difesa nei confronti dei soggetti più fragili, tra cui, naturalmente, i minorenni. Grande attenzione si presta, in primis, alle loro audizioni: per ascoltarli, è stata allestita una sala protetta presso il Racis». Dal 2014, inoltre, i Carabinieri hanno creato la Rete nazionale di monitoraggio sulla violenza di genere, con figure appositamente preparate che fungono da riferimento per i colleghi e da raccordo con la Sezione.
Per riuscire a esplorare e ad affrontare un male «complesso e articolato», infatti, occorre «associare le normali attività investigative a competenze specifiche», continua il colonnello. «Quotidianamente acquisiamo dati e segnalazioni dai reparti dislocati su tutto il territorio e approfondiamo i casi più gravi. Lo scopo è riconoscere, raccogliere e riferire all’autorità giudiziaria gli elementi di pericolo per essere efficaci e tempestivi negli interventi». Perché il male è anche insidioso, pervasivo: «La violenza di genere va immaginata come un iceberg, di cui conosciamo solo la punta che affiora, mentre la gran parte è sommersa; spesso resta confinata tra le mura di casa o celata all’interno di rapporti affettivi. Le donne straniere, specialmente, faticano a identificarsi come vittime e ad affidarsi alle forze di polizia».
Il fenomeno, insomma, si manifesta sia in modo visibile sia sotto mentite spoglie: «Oltre alla violenza fisica, esistono quella psicologica, quella economica. E quella assistita, che si verifica quando bambine e bambini sono testimoni di abusi o manipolazioni ai danni di una persona cara, di solito la madre. Con buona pace del diritto a crescere sereni e a ricevere risposte adeguate ai loro bisogni. Tra l’altro, assistere a scene simili inficia la capacità di relazionarsi con coetanei e adulti, come pure lo sviluppo di una personalità sana. Nel lungo periodo, c’è un elevato rischio di emulazione dei comportamenti aggressivi e di diventare vittime a causa della scelta di partner che ricalchino l’esempio introiettato durante l’infanzia».
Poi, i femminicidi. L’età media delle donne uccise è di circa 50 anni, ma l’allarme sociale s’impenna se autore e vittima sono giovanissimi. Ed è cronaca dell’oggi. Mentre sono aumentati i reati spia – atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, violenze sessuali – che ne sono tipici precursori. Ciò dipende pure dal fatto che più episodi vengono denunciati: sensibilizzare, dunque, serve. «Il problema è strutturale, è l’effetto di uno squilibrio patologico, culturalmente radicato, tra uomo e donna. Ed è ingannevole, tende a non essere percepito nella sua gravità nemmeno da chi ne è colpito», riprende Vitale: «Sfruttiamo ogni strumento, inclusi i social media, per combatterlo. Per plasmare una consapevolezza individuale e collettiva, per rifondare l’educazione all’insegna del rispetto, dell’uguaglianza e del rifiuto della sopraffazione. Nelle nostre campagne d’informazione, cerchiamo di utilizzare un linguaggio comprensibile e di entrare in sintonia anche con bambini e adolescenti. Più si conoscono le possibilità di tutela, meno si ha paura».
In effetti, con il progresso scientifico e tecnologico si sono affinati i sistemi d’indagine e di protezione. Si passa dai meccanismi di tracciamento delle comunicazioni, per ricostruire il quadro indiziario a carico del potenziale violento, a dispositivi come “Mobile Angel” (uno smart watch connesso al cellulare che consente di chiamare in emergenza la Centrale operativa dei Carabinieri, la quale può sentire quel che accade e visualizzare la posizione della vittima) o varie altre app (come “Where are U” del 112) che permettono di collegarsi in maniera diretta con i soccorsi. «Anche le norme penali sono migliorate», aggiunge Vitale: «La legge 168 del 2023 ha puntato molto sulla prevenzione e ha inasprito le misure di repressione di tali fenomenologie criminali. Come? Favorendo la rapidità d’intervento nei procedimenti che le riguardano e irrobustendo sia la formazione di coloro che gestiscono i casi di violenza sia la partecipazione degli autori a percorsi di recupero».
Infine, un appello: «È molto importante che, al fianco delle forze di polizia, ci siano istituzioni, cittadini e cittadine a fare la loro parte per limitare e possibilmente sradicare questa piaga. Senza timore né vergogna di chiedere aiuto. A volte, basta poco per salvare una vita».