Attualità
10 luglio, 2025Il video di Paolo Bellini in stazione, il documento sui soldi di Licio Gelli per la strage, l'intercettazione del terrorista nero: a Bologna le prove arrivano dai rappresentanti legali degli 85 morti
Un filmino, girato da un ignaro turista, dimenticato in mezzo a un mare di reperti e atti giudiziari sulla strage di Bologna. Viene recuperato da un avvocato dei familiari delle vittime e diventa la prima prova della colpevolezza di Paolo Bellini, il quinto neofascista italiano condannato in tutti i gradi di giudizio per il massacro del 2 agosto 1980 alla stazione dei treni.
«Quel filmino l’ho scoperto per caso, nel 2019, verso la fine del processo in corte d’Assise al terrorista dei Nar Gilberto Cavallini, il quarto condannato per la strage», ricorda l'avvocato Andrea Speranzoni. «Come legali di parte civile, nell’arringa conclusiva eravamo tenuti a evidenziare tutti i danni to, per cui ci siamo messi a cercare, semplicemente, le prove visive della devastazione. Gli atti sono stati digitalizzati, per cui si possono fare ricerche con parole chiave. Mi è venuta l’idea di cercare “super 8”, il formato della pellicola che si usava allora. E così è venuto fuori questo filmino, fatto da un turista straniero arrivato in treno a Bologna. Ci ha interessato subito per l’orario: la ripresa iniziava alle 10.13, dodici minuti prima della bomba. E poi c’era un’anomalia: la polizia aveva estratto 25 fotogrammi, ma le ultime sette immagini mancavano. Erano scomparse. Nei processi sulle stragi abbiamo imparato, purtroppo, che le notizie più importanti si trovano negli atti nascosti, cancellati, distrutti. Quindi ci siamo concentrati su quei venti secondi di video dove erano sparite le foto».
E qui, dietro una colonna, è spuntato un uomo con i baffi, calmissimo: il super killer nero Paolo Bellini. Ora smascherato e condannato all’ergastolo anche dalla Cassazione, il primo luglio scorso, con un verdetto che riconferma la matrice fascista e piduista della strage. Il video è solo una delle tante prove trovate dagli avvocati e consulenti tecnici dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di Bologna. In questi 45 anni, mentre una parte dello Stato – con i vertici al completo dei servizi segreti – tramava per deviare la giustizia verso false piste estere, è toccato a loro, ai parenti degli 85 morti e oltre duecento feriti, cercare la verità e dimostrarla nei processi.
A Bologna sono riusciti non solo a far condannare cinque terroristi di destra come esecutori, ma anche a trovare le carte sui mandanti e finanziatori, a cominciare da Licio Gelli, il capo della loggia P2, come spiegano proprio le sentenze dell’ultimo processo a Bellini. Un risultato, smascherare i burattinai del terrorismo, mai raggiunto prima.
«La svolta è stata la digitalizzazione», spiega Paolo Bolognesi, il presidente dell’Associazione, che ne riassume così la storia: «Il Comune di Bologna aveva creato un ufficio per assistere i familiari, rimborsare le spese mediche, gestire le grandi sottoscrizioni popolari, quindi eravamo già collegati. A farci mobilitare e unire fu però la sentenza d’Appello sulla strage di Piazza Fontana, nel marzo 1981: dopo le condanne di primo grado, tutti assolti. Visto che per tutti gli attentati i processi finivano sempre con una gran confusione tra anarchici innocenti e neofascisti che mettevano le bombe, ci siamo detti: a Bologna non deve succedere, bisogna coordinarsi. L’associazione è nata il primo giugno 1981, con lo storico presidente Torquato Secci».
«Abbiamo cominciato subito a informatizzare gli atti, con programmi pionieristici», rievoca Bolognesi. «Io vengo dal mondo delle cooperative, dove iniziavamo a usare i computer. Allora ho proposto: memorizziamo anche i processi. Era una novità assoluta. Il limite era la codifica: dovevamo selezionare i documenti più importanti». Il “salto di qualità” è arrivato con il processo a Luigi Ciavardini, il terzo neofascista co dannato per la strage, dopo Valerio Fioravanti e Francesca Mambro.
«Per la prima volta abbiamo potuto digitalizzare tutti gli atti, con una cooperativa di detenuti, grazie a un giudice di Bologna. Da allora abbiamo continuato a informatizzare processi, partendo dalle stragi di Brescia e di Milano. E così sono emersi i collegamenti, le carte che venivano nascoste. Quando abbiamo aggiunto gli atti del Banco Ambrosiano e della P2, l’ex pubblico ministero Claudio Nunziata, diventato nostro consulente, ha trovato il famoso “documento Bologna”».
È l’atto che collega l’eccidio del 2 agosto a una bancarotta che ha segnato un’epoca. Licio Gelli è stato condannato in via definitiva come organizzatore e principale beneficiario del saccheggio del Banco Ambrosiano. Quel documento, come spiegano ora le sentenze di Bologna, dimostra che Gelli usò soldi rubati alla banca di Roberto Calvi (anche lui piduista, ucciso nel 1982 a Londra) anche per pagare i terroristi neo- fascisti. Da un incrocio di carte, tutte scritte a mano da Gelli, si ricava che la strage è costata cinque milioni di dollari. A riscontrarlo è anche un altro dossier scottante ribattezzato “documento Artigli”: una relazione firmata nel 1987 dall’allora capo della polizia, Vincenzo Parisi, che riferiva al ministro le minacce e pressioni del capo della P2 per far insabbiare le indagini di Bologna, che già allora lo coinvolgevano come burattinaio dei depistaggi. Un ricatto allo Stato, insomma, tenuto segreto per anni, proprio come chiedeva Gelli.
Segnalato dall’associazione, il documento Bologna è stato poi recuperato in originale dal magistrato Nicola Proto della Procura generale, che ha trovato anche la relazione Artigli. Gli avvocati delle vittime, in particolare Speranzoni, Alessandro Forti, Lisa Baravelli e Alessia Merluzzi, hanno scoperto molte altre prove. Tra le più importanti c’è l’intercettazione ambientale in cui perfino Car- lo Maria Maggi, il capo dei terroristi di Ordine Nuovo, conferma che la strage l’hanno eseguita «Fioravanti e Mambro», con la complicità di «un aviere» neofascista, che corrisponde a Bellini, e precisa pure che hanno preso «dei soldi». I soldi sporchi di Gelli.
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