Attualità
17 luglio, 2025Presentato il report indipendente sulle violenze commissionato dalla diocesi. Un team legale ha ricostruito 24 casi. “Serve un cambiamento”, dice il vescovo Ivo Muser
Dobbiamo prendere sul serio quello che è emerso. Ascoltare. Mi assumo la responsabilità personale e istituzionale. Serve un profondo cambiamento culturale». Così il vescovo Ivo Muser dopo la presentazione dell’indagine indipendente sugli “Abusi sessuali su minori e su adulti vulnerabili nell’ambito della Diocesi di Bolzano-Bressanone dal ’64 al 2023”, a opera dello studio legale Westpfahl Spilker Wastl di Monaco in collaborazione e con il sostegno dello studio legale associato Kofler Baumgarten & Partner di Brunico.
È un registro nuovo quello che inaugura monsignor Muser: basta tentativi di insabbiamento, difesa a oltranza della Chiesa, clemenza nei confronti degli autori degli abusi. Bisogna avere il coraggio di guardare in faccia il dolore delle vittime, smetterla di scaricare le responsabilità e chiedersi perché ciò che è accaduto è accaduto.
È la strada che papa Francesco ha chiesto di imboccare alla Chiesa a partire dall’agosto del 2018, quando nella Lettera al Popolo di Dio ha scritto: «Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo, riconoscendo la dimensione e la gravità del fenomeno e la gravità del danno che si stava causando in tante vite»; è la strada che ha portato la Cei e il vertice degli istituti religiosi alla pubblicazione delle “Linee guida per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili” nel giugno del 2019.
Una strada su cui si cammina con molta fatica e con molta lentezza: quella di Bolzano è la prima e al momento l’unica diocesi italiana ad aver promosso un’indagine indipendente con l’obiettivo prioritario di soddisfare il legittimo interesse delle persone offese di conoscere la verità.
È un percorso iniziato nel 2010 in reazione alla comunicazione mediatica dei casi di abuso scoperti in Germania, racconta a L’Espresso Gottfried Ugolini, sacerdote e psicologo, che ha presieduto il lavoro preparatorio del progetto “Il coraggio di guardare”, partito ufficialmente nel novembre 2023 dopo due tentativi falliti e dopo aver aperto uno sportello e organizzato quasi ogni anno un convegno di sensibilizzazione sul tema.
«È servito tempo – dice Ugolini – per arrivare a una maggior comprensione di ciò che si andava a fare e superare le obiezioni legate ai costi, le paure del clero, la volontà di non denigrare la Chiesa. Dopo l’attivazione dello sportello, che in un anno ha registrato più di venti accessi, ci siamo chiesti: “Non rischiamo di restare in superficie, di fare un lavoro cosmetico, mentre invece l’abuso ha cause sistemiche?”. E così abbiamo interpellato chi aveva già iniziato ad approfondire le dinamiche e le strutture che favoriscono l’abuso (in Baviera, in Carinzia, infine alla Gregoriana) e abbiamo avviato il progetto, la cui prima fase si è conclusa in gennaio con la pubblicazione della perizia».
Si tratta di 619 pagine che parlano di 24 casi di abuso, 41 sacerdoti accusati e 75 persone coinvolte, il 68 per cento delle quali donne, ma soprattutto raccontano di come ogni abuso sia un caso di esercizio perverso del potere, che la deresponsabilizzazione della Chiesa ha mantenuto e favorito. Colpisce tra gli altri il Caso 5, un sacerdote che ha abusato di un numero considerevole di minori in 7 delle 10 comunità in cui ha svolto il suo ministero: ogni volta che qualcuno denunciava, ed è successo varie volte a partire dagli anni ’70, i vertici lo trasferivano, spostando il problema anziché affrontarlo. «E questa è solo la punta dell’iceberg – afferma Ugolini – Si tratta di un fenomeno sommerso di gran lunga più ampio, come dimostrano le numerose richieste al Servizio di ascolto da gennaio in poi. La presentazione del report ha incoraggiato altri a denunciare, si è iniziato a parlare di abusi in diversi ambiti, l’argomento non è più un tabù. Ora è partita la seconda fase, quella dell’elaborazione. Al centro le vittime: vanno sostenute, perché le ferite non cadono in prescrizione, e coinvolte in tutti gli organismi diocesani, presupposto fondamentale per la riuscita del processo di revisione critica, come hanno sostenuto gli autori della perizia. Dobbiamo chiedere loro cos’hanno passato e di cosa c’è bisogno, sapendo che non possiamo imporre nulla dall’alto: tanti vogliono deporre il loro vissuto e poi essere lasciati in pace». Concretamente la diocesi ha dato supporto per garantire la terapia e le spese in caso di interventi medici, sapendo tuttavia che la rielaborazione — come ha detto una persona sopravvissuta — «è e rimane il lavoro di una vita» e che le conseguenze di un abuso sessuale hanno spesso un impatto drammaticamente negativo non solo sullo stato psicofisico, ma anche sulla capacità delle persone abusate di studiare e lavorare e dunque di essere autonome.
Ci sono poi i preti accusati: bisogna verificare se le sanzioni sono state applicate e chiedersi cosa serve oggi per proteggere le comunità, dove occorre lavorare sulla consapevolezza, in modo che ognuno sia sempre più in grado di riconoscere situazioni a rischio e di denunciarle: «L’esperienza mi ha insegnato — chiosa Ugolini — che se è vero che per educare un bambino ci vuole un villaggio, ci vuole un villaggio anche per abusarlo».
Affinché la Chiesa sia un luogo sicuro c’è ancora tanta strada da fare, ma almeno a Bolzano si è deciso di partire, finanziando un’indagine che è costata 860 mila euro (tutti a carico della diocesi), aprendo gli archivi e costruendo un modello che potrebbe essere utile per tutte le altre realtà ancora ferme.
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