In Italia e in Europa si fa sempre più stretta la morsa dei governi contro chi aiuta i migranti: 142 le persone denunciate solo nell’ultimo anno. “Ma senza le Ong aumentano i morti”

Alla sbarra per umanità

Com’è possibile che soccorrere una vita ti renda un imputato? La solidarietà è la nostra scelta sul campo e non sarà la minaccia di un tribunale a cambiarla», dice Aldo Ciani, membro del Consiglio di Mediterranea Saving Humans. Il 29 maggio scorso, infatti, il Tribunale di Ragusa ha rinviato a giudizio sei attivisti di Mediterranea con l’accusa di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione clandestina per un episodio del 2020, quando la nave Mare Jonio intervenne per soccorrere 27 persone che da 38 giorni si trovavano a bordo della petroliera danese Maersk Etienne, senza alcuna possibilità di sbarco. Il caso Paragon, poi, ha riacceso il dibattito sulla criminalizzazione della solidarietà verso i migranti e sul rapporto conflittuale tra le ong e il governo, perché oltre a giornalisti, sono stati intercettati illegittimamente anche attivisti di Mediterranea e David Yambio, fondatore del movimento Refugees in Libya. «Spiare in maniera così invasiva gli attivisti viene fatto passare come un’attività di salvaguardia della sicurezza dello Stato», racconta Ciani. «L’assioma “fai soccorso in mare e quindi sei un pericolo” è ormai una verità che si ammette senza discussione».

 

E anche in Europa si afferma sempre di più la tendenza a blindare le frontiere, arrivando a criminalizzare chi presta aiuto ai migranti nel loro percorso verso il Continente. Picum – Platform for International Cooperation on Undocumented Migrants – ha pubblicato un report sulla criminalizzazione della solidarietà con i migranti che evidenzia un aumento dei casi di denunce a individui e organizzazioni che forniscono assistenza umanitaria in Europa. Nonostante una diminuzione degli arrivi, dovuta agli accordi con Paesi come Libia e Tunisia, nel 2024 almeno 142 persone sono state perseguite penalmente per atti di solidarietà e 91 migranti sono stati perseguiti per facilitazione dell’immigrazione irregolare.

 

Questa criminalizzazione ostacola la solidarietà basandosi sul presupposto del “fattore di attrazione” esercitato dalle navi delle ong che incoraggerebbe le partenze. «È smentito da ogni analisi», afferma Ciani, «non c’è correlazione tra la nostra presenza in mare e il numero di partenze. C’è, invece, una forte correlazione tra l’assenza di assetti di soccorso e il numero di morti».

 

Tra le azioni ritenute pericolose rientrano anche semplici aiuti come fornire cibo, alloggio, trasporti o assistenza medica. Secondo Ciani, stiamo assistendo a un uso sempre più esteso di strumenti legali per delegittimare il soccorso in mare, associandolo alla complicità con i trafficanti. Come sottolineato nel report di Picum, è la base legislativa a essere problematica: la Facilitation Directive sull’immigrazione irregolare permette di perseguire penalmente gli atti di solidarietà a causa della mancanza di una chiara distinzione tra il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e l’aiuto umanitario.

 

In Italia, il primo è considerato uno dei reati di più alto allarme sociale. «La norma vuole incriminare chiunque abbia avuto un ruolo nella traversata, indipendentemente dal profitto, quindi anche il migrante che ha aiutato a guidare l’imbarcazione o a mantenere l’ordine», spiega l’avvocata Serena Romano. L’aumento esorbitante delle pene previsto dal decreto Cutro, aggiunge, «è una scelta politica, così com’è stata una scelta politica indecente revocare la costituzione di parte civile della Regione Calabria nel processo Cutro su intervento del ministro Matteo Salvini».

 

Perseguire la solidarietà, ritenuta condotta sospetta e non più valore costituzionale, significa anche criminalizzare i migranti stessi; i casi che riguardano persone non bianche e razzializzate rischiano di rimanere fenomeni sommersi. «Sto seguendo un ragazzo minorenne accusato del reato previsto dal Testo unico che punisce la condotta in cui, oltre al favoreggiamento, si verifichino lesioni o morte», prosegue Romano. «Aveva 16 anni e si trovava in una barca che stava affondando, con il motore in avaria, e ha cercato di impedire alle persone di muoversi per evitare che l’imbarcazione si ribaltasse». Durante la traversata alcuni sono morti e ora si trova a dover affrontare un processo con contestazioni gravissime.

 

Per questo, Arci Porco Rosso Palermo nel 2022 ha pubblicato “Dal mare al carcere” e assiste legalmente i migranti accusati di essere scafisti. «Sono centinaia le persone non bianche in carcere», racconta Richard Braude, portavoce di Arci Porco Rosso. La nazionalità più coinvolta è quella egiziana: migranti che provengono da un regime feroce, che spesso li costringe all’arruolamento forzato. «Vengono arrestati subito dopo lo sbarco, poi dopo qualche anno di detenzione finiscono al Cpr, vengono rimpatriati e poi incarcerati nuovamente in Egitto». Braude critica l’impianto legislativo del favoreggiamento, contenuto nel Testo unico sull’Immigrazione. «Il reato andrebbe abrogato: per noi chi aiuta ad attraversare la frontiera non dovrebbe finire in carcere». Lo sfruttamento, la violenza e la tratta in cui il migrante è stato obbligato a partire sono condotte differenti, ma l’utilizzo fazioso da parte del governo di termini come “trafficante” mostra un preciso intento politico di confondere i temi.

 

La retorica delle navi guidate da trafficanti di esseri umani travestiti da rifugiati ha fatto presa anche a sinistra e ha prodotto un cortocircuito per cui vanno accolti i migranti bisognosi, non quelli ritenuti scafisti. «Ma come pensiamo che arrivino i rifugiati? Anche chi viene pagato per guidare una barca verso l’Europa è un migrante bisognoso. Quando non c’è nessuno che viene pagato per la traversata, succedono tragedie come Cutro». Perciò, conclude Braude, serve una resistenza al mondo dei confini.

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