Attualità
9 luglio, 2025Il respingimento del ministro Piantedosi e della delegazione europea è un messaggio all'Europa in una fase, l'ennesima, di grande tensione e rimescolamento nel Paese. Il governo Meloni da solo non ha grossi strumenti per condizionare gli eventi libici, mentre sulla scena si muovono Russia e Turchia
Fa sorridere che il governo di Giorgia Meloni subisca un respingimento dai libici della Cirenaica, ma fa ancora più sorridere che, dopo l’umiliazione subita dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi assieme a una delegazione europea, lo stesso governo Meloni si affretti a disseminare nei retroscena giornalistici parole di conforto per la Nazione ferita: «Non cambia nulla nei nostri rapporti con la Libia». Ci sarebbe da chiedersi: cosa non cambia, cosa funziona? Ancora una volta è sbagliata la cura scelta dai medici di Palazzo Chigi: agisce sui sintomi e non sulla patologia.
Il sintomo non ha bisogno di particolari delucidazioni: ieri un gruppo di ministri europei di Italia, Grecia e Malta aveva in agenda una visita paritetica e peripatetica fra le due Libie, quella del governo riconosciuto di Tripoli (la lunga mattina) e quella del governo non riconosciuto ma da anni sotto il controllo totale della famiglia del generale Haftar (il tardo pomeriggio). Già questa scelta di pilatesca neutralità, è ovvio, non aiuta a rendere più credibili le azioni del gruppo di visitatori: Italia, Grecia e Malta, ciascuno ha le proprie peculiarità e la propria rilevanza, ma tutti sono esposti alle ritorsioni di ogni tipo che possono provenire dal ginepraio libico. Il sintomo, dunque: all’aeroporto di Benina europei e cirenaici, secondo le ricostruzioni ufficiali, hanno litigato per ragioni di fotografie e di protocollo, si è «alzata la voce» al punto da indurre il governo di Bengasi a “respingere” gli europei.
La cronaca è corretta, il sintomo lo abbiamo compreso, ma la patologia è un’altra. E non c’entrano niente le passerelle sulla pista di atterraggio. Com’è evidente, il regime di Haftar – spiegano analisti che conoscono a fondo la Libia – aveva preparato questa accoglienza per trasmettere un messaggio non al governo di Roma né al governo di Atene, ma al governo dell’Unione Europea: siete ininfluenti, non ci servite. Perché succede proprio adesso? Perché la Libia, come ciclicamente avviene dalla caduta della dittatura di Gheddafi, sta attraverso una fase di grandi e gravi tensioni interne fra est e ovest e anche dentro la Tripolitania. Tutto ciò si sviluppa sotto lo sguardo attento dei veri protagonisti internazionali che si muovono in «discordia concors»: la Russia di Vladimir Putin, che cerca uno sbocco nel Mediterraneo dopo la ritirata dalla Siria, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che ha allargato la sua influenza oltre la sua regione e agisce da supplente degli Stati Uniti.
«Entro qualche mese, anche meno, vedrete nuovi equilibri in Libia», sussurra una fonte. Qualsiasi scenario, però, prevede un ruolo ancillare per l’Europa, non più di qualche tonitruante comunicato o di qualche capatina istituzionale (magari organizzata meglio). L'Italia deve sperare che la Libia che verrà non danneggi i suoi interessi, energia e migranti, ma non ha molti strumenti per condizionare gli eventi in suo favore.
Quello che è accaduto a Piantedosi certifica la patologia. Impossibile che possa ripetersi con un ministro turco o russo, figurarsi americano, neanche con i francesi che, seppur indeboliti in Africa per stessa ammissione del presidente Macron, hanno salvato la vita al generale Haftar curandolo a Parigi. La Cirenaica ha umiliato deliberatamente l’Italia, la Grecia e Malta per umiliare l’Europa. Qualcuno a Bruxelles se n’è accorto?
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