Attualità
21 agosto, 2025A Ponticelli, area orientale della città, ha sede l’associazione che si occupa di povertà educativa. Offrendo a ragazzi e bambini quel che la scuola non dà. Nell’insofferenza dei clan e con le istituzioni pubbliche che latitano
Un temporale sconquassa il golfo di Napoli. Clara, Emanuela e Vincenzo fissano attoniti il cielo carico di fulmini e pioggia. Sono maestri di strada e devono gestire la delusione di una decina di bambini e bambine che aspettavano di nuotare tra i reperti del parco archeologico sommerso di Baia. Mentre i più piccoli divorano il pranzo al sacco, loro cercano alternative al mare. Nella stagione calda bisogna ingegnarsi per creare momenti in cui stare insieme e divertirsi. I genitori sono indaffarati, i campi estivi sono spesso inaccessibili. Le scuole sono chiuse, congelate tra i ribelli della maturità e una riforma d’impronta reazionaria.
La gita s’è mossa presto da Ponticelli, periferia orientale del capoluogo campano. Qui, nel Centro polifunzionale “Ciro Colonna”, ha sede Maestri di Strada. L’associazione è nata nel 2003, come costola del Progetto Chance; prassi consolidata contro l’abbandono scolastico, quest’ultimo s’è interrotto insieme con i finanziamenti pubblici nel 2009 e i suoi frutti sono stati raccolti dalla nuova creatura. Il cui fondatore e presidente, Cesare Moreno, rappresenta il filo rosso che unisce tutto. Da pedagogista, ha iniziato a occuparsi di povertà educativa con la moglie Carla Melazzini e pochi compagni; oggi, a 79 anni, prosegue con una cinquantina di professionisti, offrendo a circa 250 giovanissimi attività culturali e ricreative. Ma, in primis, un punto di riferimento.
«In Italia, dopo l’alfabetizzazione di massa, ci si è accorti degli alti livelli di dispersione e s’è dato corso a un piano per contrastarli», racconta Moreno: «Il presupposto che l’istruzione fosse efficiente e la retorica del “nessuno resti indietro” conducevano alla conclusione che occorresse concedere a chi era fuggito dai banchi una seconda occasione. Io, invece, volevo garantire che andasse bene la prima». Un pensiero radicale e scomodo. «La scuola è concepita come un carcere preventivo per ragazzi e ragazze. Si crede che, in autonomia, siano capaci di produrre solo illegalità, immoralità, degrado. E li si massacra: sprecandone l’energia, spegnendone la voglia di vivere, facendoli sentire inutili. È come frenare automobili già parcheggiate. Perciò ho avviato un’opera di trasformazione dall’interno, anche se tra gli insegnanti non riscuotiamo successo».

I dati Istat del 2024 certificano che il 9,8 per cento della popolazione tra i 18 e i 24 anni ha lasciato gli studi. Mentre il 15,2 per cento di quella tra i 15 e i 29 anni non studia, non si forma e non lavora. Con percentuali ancora più allarmanti al Sud. Così si semina emarginazione: «Essere esclusi è diventata una colpa – commenta Moreno – e aumentano gli hikikomori: giovani che, pur crescendo nell’agio, si rintanano in camera e recidono i contatti con la realtà. È necessario convincerli che le loro esistenze hanno un senso, che non sono variabili dipendenti di un mondo di merda, ma espressione di sé e che possono trovare la via per la felicità come massimo atto di ribellione. Però serve qualcuno che li ascolti, serve un propulsore per le loro idee e i loro talenti. Compito che spetterebbe alla scuola».
Moreno ha superato ostacoli politici e amministrativi per assicurare a Maestri di Strada una base stabile in questo ex istituto comprensivo. Nel 2019 l’ha avuto in affitto a canone agevolato dal Comune di Napoli, sobbarcandosi la ristrutturazione. Lui e i suoi operatori, assieme a varie organizzazioni del terzo settore, hanno creato «un luogo ad accesso libero, dove s’apprendono arti o mestieri, si fanno feste». Un luogo intitolato, appunto, a Ciro Colonna, ucciso nel 2016 qui vicino: aveva 19 anni ed è finito, innocente, in mezzo a un agguato di camorra. Nel suo nome e per i suoi coetanei, ogni giorno si lotta per coltivare speranza in una delle tante periferie liquidate dallo Stato e dagli enti locali come cause perse. L’approccio securitario nasconde il deserto di risposte adeguate.
A Ponticelli non sciamano turisti, il Vesuvio mostra il suo versante brullo. Il calcio dà gioia, ma non introiti. Per arrivare si costeggiano il porto mercantile e la zona industriale ormai monca di San Giovanni a Teduccio; poi ci s’imbatte nei palazzoni di edilizia popolare, segnati dall’incuria e denominati con le lettere dell’alfabeto. Di fianco a Maestri di Strada c’è il Lotto O, ribattezzato Lotto Zero dai suoi abitanti arrabbiati e rassegnati. Perché la vocale si scrive come il numero, perché tali si sentono loro. Più in là, il Rione De Gasperi: era candidato all’abbattimento come le Vele di Scampia, ci si è limitati a murare porte e finestre degli alloggi. L’esito è che i clan se ne sono impossessati e ingrassano con le assegnazioni abusive, in un fortino fatiscente.

Il vecchio plesso rischiava di rimanere un buco nero tra simboli del fallimento della mano pubblica. «Proviamo a costruire una didattica complementare a quella tradizionale», spiega Irvin Vairetti, maestro di strada da 15 anni e responsabile dei laboratori musicali: «Il nodo è fare comunità, coinvolgendo sia i piccoli sia gli adulti. Perché è l’universo adulto a rivelarsi inaffidabile. Perché molti genitori non sono pronti al ruolo e vanno supportati». Co-progettare, insomma, è la parola d’ordine: «Stiamo in un cantiere edile permanente, con conseguenti pericoli e condizioni d’inospitalità – riprende Vairetti – eppure, ragazzi e ragazze continuano a venirci; probabilmente lo percepiscono come un cantiere educativo, dove sono compresi nel loro modo d’interpretare gli spazi. Un entusiasmo che aiuta pure noi ad andare avanti».
La rigenerazione procede a pezzi, dagli infissi ai pavimenti, poiché una fetta consistente di fondi è sfumata a causa d’intoppi burocratici. Mentre ognuno si rimbocca le maniche, le squadre di operai si alternano e ci sono aree inagibili. Si resiste per missione. «Avevamo sistemato una sala di registrazione con cabina di regia, era il nostro fiore all’occhiello. Durante il rifacimento del tetto, però, le infiltrazioni d’acqua hanno provocato un crollo nel soffitto. Lascio immaginare con quale umore sia stato scoperto il danno…». Vairetti allarga le braccia. Del resto, ha preferito l’imperfezione della pratica alla ricerca accademica. Come la collega Alice Ruffa: è arrivata da tirocinante e ha capito che era il suo habitat. Attraversa le aule, vuote per l’estate, ma popolate da oggetti che parlano di mille iniziative.
«Teniamo impegnati bambini e bambine con uscite che, altrimenti, non farebbero», dice Ruffa. Li ha accompagnati al Polo tecnologico della “Federico II” per veder volare i droni e a pulire le spiagge con Legambiente. Al Centro, intanto, s’aggirano i più grandi. Archiviata la maturità, proseguono i ripassi per gli esami universitari. Poi ci sono i peer educator: hanno fruito degli insegnamenti dei maestri e li restituiscono ai più giovani. Vairetti indica Francesco, che si dedica a cantanti in erba, e Fabrizio, 20 anni, bandana sui capelli ricci: «L’ho incontrato quand’era alunno di un alberghiero. Adesso è un pizzaiolo rocker e rapper. Compone brani, ha una visione ampia sulla musica». Lui sorride: «Ho cominciato alle scuole medie, da autodidatta, con la chitarra e il pianoforte. Con Irvin ho imparato davvero a suonare e a scrivere».
Oltre agli abitudinari, si accolgono ospiti. Così spuntano Teresa, 23 anni, di Sondrio, e Matilde, 18, di Milano. La prima ha mollato la facoltà di Lingue ed è stata intercettata da Moreno a una conferenza. «Mi ha detto: “Sei una dispersa, fai al caso mio”. Da qualche mese sono a Ponticelli e sperimento esperienze diverse. Per ritrovarmi e per trovare una vocazione», ammette lei. La seconda è stata bocciata due volte alle superiori: «Avevo un pessimo rapporto con i professori, mi ripetevano che non avrei mai combinato niente di buono. E ho smesso di frequentare. Non mi alzavo dal letto, ero demoralizzata. Poi mi sono fatta forza, ho cambiato istituto e sono riuscita a recuperare un anno. Ho dato fiducia a chi ne ha data a me». Gli occhi s’inumidiscono: «Qui mi è venuta voglia di leggere e persino di laurearmi».

Se in giardino ci si confida, nel refettorio si suda. Fervono le prove dello spettacolo in cartellone al Campania Teatro Festival, “Frammenti di un discorso amoroso”, ispirato a Carlo Goldoni e a Roland Barthes. Calcano la scena attori e attrici dai 17 ai 23 anni. Si sono avvicinati alla recitazione quando ne avevano dodici e non si sono più allontanati dall’ala di Giuseppe Di Somma e Nicola Laieta. Regista e maestro di strada dal 2006, quest’ultimo punta su laboratori maieutici: «Durante l’adolescenza si sviluppa il pensiero astratto e si guarda al futuro, ma si convive con i conflitti irrisolti dell’infanzia. L’arte canalizza in maniera costruttiva il caos; inoltre, è qualcosa di concreto che permette di dimostrare il proprio valore». Ivan annuisce: «Ho battuto la vergogna, mi sono sciolto e mi sono reso conto di essere adatto al palco. Ora studio cinema e sono contento dei risultati».
Laieta spinge i giovani a crescere come cittadini e cittadine: «Animano un luogo che non esisterebbe senza di loro». Li osserva, seduti in cerchio: prima di calarsi nei personaggi, scaricano le tensioni quotidiane e si ascoltano a vicenda. Né giudizi né inibizioni. È lo stesso rituale delle riunioni periodiche dei maestri. Elencano le attività svolte nel Centro e nelle scuole, condividono consigli, sconfitte, vittorie. Perché le storie di coloro di cui si prendono cura entrano nella carne: dal figlio che sopporta un divorzio complicato alla docente che non regge la pressione di allievi ostili; dall’unico diplomato in famiglia grazie al sostegno dei tutor al neomaggiorenne che invita gli amici nel posto che chiama casa. Si scovano, uno a uno, visto che la collaborazione con i servizi sociali è stata tagliata. L’orgoglio è strapparli a un destino che pare ineluttabile. Al crimine organizzato, alla tossicodipendenza, all’emigrazione.
«A molti piacerebbe rimanere a Ponticelli; altri rinunciano a partire, convinti di essere marchiati dallo stigma delle origini», spiega Chiara Loffredo. Con la cooperativa Tram! si occupa di turismo etico e di “CuciNapoli Est”, la cucina aperta nel 2022 da una rete che include il centro di documentazione Ascender, Arci, Libera e Maestri di Strada. «È un progetto d’imprenditoria per le donne del quartiere. Ma passano anche ragazzi e ragazze». A seguirli sono Assunta Capasso e Paola Mango, cuoche non più solo casalinghe. «Facciamo corsi con classi, con vittime di violenza, con chi sconta pene alternative – s’inserisce Mango – abbiamo imparato a usare attrezzature professionali e a gestire catering. Ci mettiamo passione. Peccato che non vi sia un riconoscimento da parte degli enti pubblici; non di rado il nostro presidente, Geppino Fiorenza, deve attingere a risorse personali».
Formazione e lavoro significano emancipazione. Ciò che i clan temono di più. E l’insofferenza striscia tra furti e danneggiamenti che il Centro subisce di frequente: i pullmini con i finestrini rotti, le serrature scardinate, le macchine del caffè sparite. Ma la dedizione è intatta. Moreno e i suoi vanno a caccia di fondi: «Sfruttiamo almeno dieci canali, tra privati e bandi, per non dipendere da nessuno». La vera fatica? «Trovare educatori validi, perché le università non li preparano, e districarsi nella contrattualistica punitiva riguardante il terzo settore. Manca l’appoggio forte delle istituzioni a una realtà che supplisce alle loro carenze. Un po’ per gelosia, un po’ per incompetenza. Un po’ per banalità del male: certe catene di comando compiono disastri senza colpevoli».
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