Attualità
5 agosto, 2025Guide a opportunità e incentivi per chi è intenzionato a far rientro in Italia. Una scelta per 22 mila connazionali, contro i 93 mila che hanno spostato la residenza all’estero
Sei milioni di connazionali vivono oltreconfine e sono iscritti all’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero: li chiamano expat, e costituiscono una manodopera spesso altamente qualificata. Molti di loro potrebbero, vorrebbero tornare a casa, per motivi vari; ma non sanno come muoversi, e se davvero ne valga la pena.
Proprio per questo stanno fiorendo però delle piattaforme che cercano di fare da trait d’union, gestendo i nodi gordiani della questione. Una delle ultime realtà nate per semplificare il rientro degli italiani è “Pietro” (pietrotorna.it), fondata da Nicolò Marchetto e Paolo Citterio, due giovani trapiantati in Olanda. Per vissuto diretto, si sono resi conto di quanto sia arduo compiere il percorso inverso a quello che li vide migrare anni fa, e così hanno dato forma a questa startup che aggrega e convoglia proposte di lavoro “di qualità”.
Il sito tratteggia una mappa delle aziende nostrane e delle posizioni aperte più conformi ai migliori standard europei (perché ve ne sono) e, miscelate alle storie di chi ha esperito (o sta per farlo) un come back, suggerisce una serie di strategie efficaci per riposizionarsi nel mercato del lavoro del Belpaese. Tra gli atout del progetto, la pubblicizzazione di agevolazioni ignote ai più: come lo sconto fiscale, della durata di cinque anni, per chi è stato all’estero per un certo periodo e rientra mantenendo la residenza in Italia per almeno quattro anni.
Sullo stesso fronte milita “Back to Italy”, una piattaforma che adopera l’intelligenza artificiale e algoritmi “su misura” per sostenere gli italiani andati via (e non solo) nella ricerca di un lavoro (e/o di una casa) nella Penisola. Facilitandone il rientro, anzi, «rendendolo attrattivo e strategico». In primis, viene passato al radar digitale l’identikit del candidato, rielaborandone numeri demografici e trascorsi professionali, interessi e competenze e intrecciandoli alle occasioni lavorative più adatte in Italia. L’obiettivo è risolvere i tanti problemi burocratici insiti nel ritorno, tanto per i lavoratori quanto per le aziende. «La carenza di risorse nei comparti strategici è pari a 250mila al mese, ossia la metà del fabbisogno totale – spiega il ceo Gerardo Sine – Vogliamo riportare in Italia persone qualificate, italiani o discendenti, che possano concorrere con le loro competenze e la voglia di fare alla crescita delle imprese e dei territori. Fornendo risposte concrete e utili a chi sta valutando di tornare in Italia».
Sullo sfondo aleggiano lo spopolamento delle aree interne, l’invecchiamento demografico e la «perdita prevista di oltre 3 milioni di persone in età lavorativa nei prossimi 10 anni». E lo spettro della decrescita: stando a cifre recenti, un immigrato o un emigrato recuperato incide sul Pil per 75-100mila euro. Una cifra considerevole. «Supportiamo i nostri utenti nel processo di reinserimento, offrendo assistenza per l’alloggio, la consulenza legale e fiscale», aggiunge Sine. E anche lui è mosso da ragioni biografiche, oltre che imprenditoriali: quasi 40enne, è originario di Buenos Aires e vive in Italia, a Udine, dal 2002. I suoi nonni erano “born in Italy”, ma si trasferirono in Argentina dopo la guerra.Due expat su tre considererebbero oggi possibile un ritorno, a patto che si instaurino condizioni più favorevoli: non solo dei salari più competitivi (per il 91,5 per cento), ma anche, per esempio, la valorizzazione del merito (78 per cento). È quanto emerso dal report “Giovani all’estero: tra opportunità di lavoro e voglia di crescita”, realizzato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e presentato a Genova al Festival del Lavoro. Nel 2024, secondo i dati Istat diffusi ad aprile, più di 93mila connazionali tra i 18 e i 39 anni hanno spostato la residenza all’estero, con un incremento del 107,2 per cento rispetto al 2014. Ma nel medesimo anno ne sono “rincasati” circa 22mila, in aumento sul passato.
Tendenze e controtendenze di una generazione sempre più orientata verso carriere globali, ma con la consapevolezza che vivere altrove non si traduce, automaticamente, in un miglioramento della qualità della vita. L’indagine, eseguita su un campione sostanzioso di millenial (e giù di lì) fuoriusciti o rimpatriati negli ultimi cinque anni, sottolinea così numerose criticità: benché il 57,9 per cento si professi molto soddisfatto dell’esperienza fatta, solo il 19,4 per cento stima molto positivamente la qualità delle relazioni personali, il 21,4 per cento formula giudizi negativi sulla meritocrazia, mentre il 64,8 per cento rimarca, come elemento fortemente penalizzante, l’elevato costo della vita. Tant’è che appena il 29,3 per cento si dice molto soddisfatto delle retribuzioni percepite in rapporto alle spese. Ecco perché parecchi vedono nel rientro una freccia nell’arco, purché venga accompagnato da iniziative tangibili nel solco degli incentivi mirati e di un modello organizzativo più evoluto e catalizzante, capace di valorizzare competenze e responsabilità.
«Adesso la sfida non è solo trattenere i giovani, ma creare le condizioni perché abbiano voglia di restare, o di tornare. È tempo di costruire un Paese in grado di competere e attrarre talento» dice Rosario De Luca, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei consulenti del lavoro. Un freno alla mistica dell’inesorabile fuga dei cervelli? Complici le profonde incertezze geopolitiche internazionali, il momento potrebbe essere propizio. Ma il cuore (o la nostalgia) non basta.
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