Attualità
15 settembre, 2025Infiltrazioni nella politica, droga, usura, pizzo. E poi il primato nel racket dei furti d’auto e nell’assalto ai portavalori. Una criminalità che non arretra, nonostante i colpi subiti
Assalti a tir e portavalori, la prima squadra italiana a finire in amministrazione giudiziaria, il primato delle auto rubate. E fiumi di droga che inondano i luoghi della movida. Forse non hanno lo stesso appeal mediatico di Camorra e ’ndrangheta, ma le organizzazioni criminali pugliesi conservano angoscianti primati nazionali.
Tanto che la mafia foggiana spicca per il primo provvedimento in Italia che ha posto una squadra di calcio, il Foggia, in amministrazione giudiziaria. Mentre è della sesta provincia pugliese Barletta-Andria-Trani il primato delle auto rubate: fino a sette veicoli ogni giorno vengono sottratti ai proprietari e poi bruciati nelle campagne, per alimentare il traffico dei pezzi di ricambio.
Arrivano da Cerignola, centro del Foggiano, gli specialisti degli assalti ai portavalori. Mentre Bari, come dimostrato dall’inchiesta “Codice interno” – alla ribalta nazionale per le implicazioni politiche – ha dimostrato una penetrante infiltrazione mafiosa in parte delle partecipate pubbliche del capoluogo pugliese. Un quadro sintetizzato nell’ultima relazione annuale della Dia: «Si osserva una costante tendenza all’espansione dei territori controllati dai clan anche al di fuori degli ambiti regionali e permangono alleanze storiche con altre organizzazioni criminali, anche straniere». I boss da Nord a Sud spadroneggiano e macinano utili, soprattutto quelli della Sacra corona unita salentina, con il traffico di stupefacenti. La mafia foggiana, la “quarta” italiana è, però, quella più efferata, impavida e capillare. «La batteria dei Sinesi – scrive la Dia – è attiva prevalentemente nel capoluogo, nel settore delle estorsioni e nel traffico di sostanze stupefacenti, ma anche in quelli dell’usura e del riciclaggio, nonché negli ambiti del gioco illegale e in quello dei servizi abusivi di vigilanza e guardiania. Tradizionalmente rivale delle altre due batterie contro le quali è ripetutamente entrata in scontro armato dando vita a diverse guerre di mafia, opera anche in provincia attraverso proprie cellule lì stanziate ovvero grazie a stabili alleanze con gruppi criminali locali e vanta contatti anche con organizzazioni extraregionali (siciliane e calabresi). Presenta, inoltre, una proiezione extraregionale in Emilia Romagna». Ramificazioni e alleanze che rendono “la società” attiva in diversi ambiti economici e sociali tra cui l’influenza nel Foggia calcio, passato dalla gloria di Zemanlandia a un presidente vittima di attentati mafiosi. Lo conferma il punto di vista privilegiato di Daniela Marcone, vicepresidente nazionale di Libera, figlia di un funzionario ucciso dalle cosche a Foggia nel 1995. «Queste mafie – dice a L’Espresso – si confermano organizzazioni che hanno una capacità quasi camaleontica di adattarsi nonostante gli arresti e le inchieste. Negli ultimi dieci anni, anche già prima della strage di San Marco in Lamis nel 2017, lo Stato ha colpito duramente queste organizzazioni criminali dotandosi di strumenti di indagine specifici, arrestando tanti capi mafia. Ma questi clan continuano a sopravvivere e questa è una cosa molto preoccupante».
Droga, armi, usura ma anche infiltrazione nella politica e nell’amministrazione pubblica. Sta facendo discutere la recente assunzione in Sanitaservice, società in house della Asl di Foggia, di Grazia Romito, sorella di Mario Luciano Romito, boss della mafia Garganica, ucciso ad agosto del 2017 a San Marco in Lamis nell’agguato costato la vita a due agricoltori innocenti. Sarà soccorritrice del 118 almeno fino alle verifiche di procura e prefettura.
Lo specchio di una presenza diffusa. «Che possiamo vedere nei tanti scioglimenti per mafia di Comuni infiltrati – spiega ancora Daniela Marcone – e per cui la comunità continua a pagare in maniera molto grave. Dopo uno scioglimento è grande la fatica di ricostruire la stessa vita democratica. A Foggia abbiamo avuto il commissariamento che si è prolungato per due anni: è stato molto faticoso per tutti i cittadini perché la misura rende difficili numerose attività. La sensazione è quella di un blocco della vita democratica». Una città nella quale hanno fatto scalpore le parole del procuratore aggiunto Antonio Laronga prima di lasciare la locale procura: «Qui c’è una società civile senza moralità». «Non vado da nessuna parte. Non faccio vita pubblica, non vado a teatro, non vado al cinema», ha aggiunto all’edizione pugliese del Corriere della Sera spiegando di non stringere mani a nessuno per «il dovere di marcare una distanza, di respingere una contiguità», per non esporre gli uomini della sua scorta a «pericoli non necessari». Parole dure che hanno lasciato il segno. «Io – commenta la vicepresidente di Libera - le ho viste come espressioni di una persona che prova una grande amarezza scaturita dal suo impegno professionale e anche dal suo impegno di analisi sul territorio. A fronte della sua amarezza è ovvio che persone come me, che si impegnano in questi luoghi abbiano avvertito una profonda tristezza. È evidente che quella parte sana della città non riesce ancora a coprire la parte meno sana. Gli anni di indifferenza e di sottovalutazione hanno prodotto dei danni di straordinaria gravità».
Daniela Marcone – protagonista del docufilm “Il sangue mai lavato”, dedicato proprio alla tragica vicenda di suo padre, professionista e uomo di Stato, inviso ai poteri forti collusi con la mafia – non perde tuttavia la speranza, la tenacia di restare, stimolare, cambiare: «A fronte di un’analisi molto amara, proprio per quello che ho vissuto io negli anni Novanta con l’uccisione di mio padre, sento che oggi posso vivere in questa città respirando un’aria differente». Di sicuro c’è ancora molto da fare.
Nelle arterie del nord-Barese e dell’Ofantino i “professionisti” degli assalti ai portavalori sono il sintomo più evidente di una criminalità agguerrita che adotta tecniche paramilitari. Tra loro c’è Michele Mastropietro, l’assassino del carabiniere Carlo Legrottaglie, ucciso al termine di un inseguimento nel Brindisino lo scorso 12 giugno. Dieci anni fa era stato arrestato dopo un rocambolesco assalto a un portavalori. Raid del genere a colpi di kalashnikov e bombe si ripetono periodicamente. A marzo, un commando, all’altezza di Candela, in territorio Garganico, ha assaltato un mezzo crivellandolo per portar via 450mila euro.
Accanto alle razzie di bottini anche milionari, lo stillicidio di furti d’auto: non episodi singoli, non un’attività criminale secondaria ma il frutto di un racket ramificata collegato al mercato illegale dei ricambi. Sono nel 2024 cento gli arrestati legati al circuito dei pezzi rubati.

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