Attualità
3 settembre, 2025Il 3 settembre del 1982 è il "giorno in cui è morta la speranza dei palermitani onesti", si leggeva in un cartello comparso dopo la strage di via Carini. La sua esperienza nel capoluogo siciliano da prefetto durò poco più di cento giorni. Con lui persero la vita la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo
Sul luogo dove il 3 settembre di 43 anni fa venne ucciso Carlo Alberto dalla Chiesa, in via Carini a Palermo, sbucò un cartello che recitava: “Qui è morta la speranza dei palermitani onesti”. L’aveva lasciato un cittadino anonimo, ma interpretava bene l’aria che si respirava nel capoluogo siciliano in quella tarda estate del 1982: l’assenza dello Stato di fronte alla potenza (e alla prepotenza) mafiosa. Solo qualche mese prima, il 30 aprile del 1982, Cosa Nostra uccideva il segretario regionale del Pci, Pio La Torre, e il suo autista, Rosario Di Salvo. La legge che introduceva l’associazione di stampo mafioso porta il suo nome — legge “Rognoni-La Torre” — ma la sua approvazione definitiva subì un'accelerazione dopo un altro sacrificio, quello del generale dalla Chiesa. Il nuovo articolo 416 bis del codice penale venne introdotto il 13 settembre di quell’anno, a dieci giorni dalla strage di via Carini.
Dalla Chiesa, che da generale dei carabinieri aveva combattuto per anni il terrorismo — anche a lui si deve l'intorduzione della legge sui collaboratori di giustizia che poi venne estesa con successo anche alla lotta alla mafia — venne mandato a fare il prefetto a Palermo lo stesso giorno dell’omicidio di Pio La Torre. Gli promisero super poteri, venne lasciato solo. Ebbe poco più di cento giorni a disposizione: lui chiese personale e strumenti. Non arrivarono in tempo. Insieme a lui persero la vita la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente della scorta Domenico Russo.
Durante i funerali tutti i politici presenti vennero contestati da una folla inferocita che risparmiò solo l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Fu un “delitto imperfetto”, come scrisse in un libro il figlio Nando. Perché se i mandanti condannati facevano parte del gotha mafioso — da Totò Riina a Bernardo Provenzano, da Michele Greco a Pippo Calò, da Bernardo Brusca a Nenè Geraci — altre responsabilità, secondo Nando dalla Chiesa, vanno individuate nella Democrazia cristiana siciliana e in alcune istituzioni dello Stato.
C’è un passaggio, eloquente, della sentenza con cui nel 2002 sono stati condannati all’ergastolo gli esecutori materiali dell’attentato, Vincenzo Galatolo e Antonino Madonia, e a 14 anni Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci: “Si può senz’altro convenire con chi sostiene che persistano ampie zone d’ombra, concernenti sia le modalità con le quali il generale è stato mandato in Sicilia a fronteggiare il fenomeno mafioso, sia la coesistenza di specifici interessi, all’interno delle stesse istituzioni, all’eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale”.
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