Attualità
3 settembre, 2025Dal 2015, a Ponte San Ludovico, è sorto un memoriale spontaneo per chi è morto attraversando la frontiera. Ma ora il sindaco vuole rimuoverlo per farci parcheggi. In lotta con gli attivisti
È cominciato tutto con una pietra. E sopra un nome, una data, un Paese: quello da cui fuggire. Attivisti e volontari hanno iniziato a posarle sull’erba di questo spiazzo che divide le due corsie dell’Aurelia a Ponte San Ludovico. Siamo a Ventimiglia: la Francia è a poche centinaia di metri, lo scintillio della Costa Azzurra sembra di toccarlo. Dal 2021 in poi, pietre e lumini sono aumentati. Visti dall’alto, sembrano puntini all’interno di uno dei cerchi dell’opera “Il Terzo Paradiso” dell’artista Michelangelo Pistoletto, realizzata proprio qui, alla frontiera: massi che disegnano un doppio segno di infinito. «Un’iniziativa spontanea – racconta Maria Paola Rottino dell’associazione “Popoli in Arte” – perché chi è morto nel tentativo di andare in Francia non fosse solo un numero». Le pietre sono 49: come i migranti che hanno perso la vita per attraversare il confine dal 2015 a oggi. Qualcuno è caduto dal tetto di un treno in movimento, altri scivolando dai sentieri a picco. Investiti percorrendo il tunnel dell’autostrada a piedi, di notte, o fulminati dentro la cabina elettrica del treno per nascondersi dalla polizia.
Ma su questo memoriale dal basso, dove attiviste e attivisti organizzano commemorazioni e i parenti vanno a piangere i loro cari, ora va in scena un braccio di ferro tra due visioni contrapposte, con la politica che prova a rimuovere i problemi delle frontiere in nome del decoro. Tutto è iniziato con l’annuncio del piano di riqualificazione improntato alla «lotta al degrado», come la definisce il sindaco leghista di Ventimiglia, Flavio Di Muro, eletto promettendo di «ripulire» la città. Il piazzale, nell’intento del primo cittadino, sarà «riqualificato» con parcheggi. L’obiettivo è incentivare il turismo, tirando a lucido quello che Di Muro definisce «il biglietto da visita della città». «La massa di pietre è impattante – rimarca il sindaco – i sassi, poi, sono stati imbrattati dai “No Borders” e sono indecorosi».
E, dunque, che cosa ne sarà del memoriale? Oltre quaranta associazioni – da Amnesty ad Anpi, da Caritas Intemelia ad Arci, fino a WeWorld onlus – hanno scritto una lettera al sindaco: un appello a non «infliggere un’ulteriore forma di violenza a queste vite spezzate» e a non eliminare «uno spazio di memoria, umanità e coscienza civica». Alle schermaglie è seguito il faccia a faccia con una delegazione, concluso con l’apertura del primo cittadino a un «progetto condiviso che inserisca un nuovo memoriale di maggiore qualità all’interno della riqualificazione in corso». L’area è di proprietà del Comune, ma anche di Anas e del Demanio. «Il principale motivo del piano è realizzare 48 nuovi posti auto accanto a un supermercato e a una tabaccheria, per ottenere consensi», è la lettura di Enzo Barnabà, scrittore basato a Ventimiglia. Dopo l’incontro, le associazioni si sono impegnate a individuare un progetto per un nuovo memoriale in progressione: «Perché le persone continuano a morire», ricorda Jacopo Colomba di WeWorld.
Il percorso è in divenire. Ma la tensione di queste settimane racconta bene quanto i simboli pesino nella “Lampedusa del Nord”. Dove incombe il progetto di creare un Cpr, un Centro di permanenza per i rimpatri, nella ex caserma di Diano Castello, a pochi chilometri di distanza: un piano voluto dal titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, e circondato da assoluta segretezza, nonostante le richieste di informazioni da parte di associazioni, commercianti e anche del sindaco di Diano.
Intanto, a Ventimiglia non esiste più alcun servizio di accoglienza formale per i migranti in transito: il centro della Croce rossa, il Campo Roja, è chiuso dal 2020 e a colmare il vuoto restano la Diocesi e le organizzazioni umanitarie: come Save the Children che ha allestito due tendoni negli spazi gestiti da Caritas in via San Secondo, vicino alla stazione. Si trova lì anche il Pad, Punto di assistenza diffuso: una ventina di posti letto gestiti da Caritas per donne e bambini. «Lavoriamo a testa bassa – racconta la responsabile, Alessandra Zunino – l’altra sera avevamo qui 18 persone, dodici erano bambini, che altrimenti sarebbero per strada. Provengono da Iraq, Somalia, Sudan, Iran». Gli uomini sono costretti a dormire dove capita, lungo il fiume Roja, negli accampamenti di fortuna. Il sindaco, per evitare che si lavassero alle fontanelle del cimitero, ha ingaggiato due vigilantes, che fanno la guardia all’ingresso: sempre in nome del decoro. Caritas, per offrire un’alternativa, negli ultimi mesi ha aperto un servizio doccia per tre pomeriggi a settimana. Ma non può bastare.
Il confine, intanto, è il termometro dei conflitti, del braccio di ferro tra il nostro governo e i vicini francesi, delle decisioni europee: è tra queste pieghe che si muovono le persone in transito. A febbraio dell’anno scorso, la Francia ha messo fine ai respingimenti sistematici: un cambio di approccio imposto dal Consiglio di Stato francese, che ha accolto il pronunciamento della Corte di Giustizia europea. Di fatto, censurando i respingimenti forzati in deroga a qualsiasi norma comunitaria e internazionale. «Adesso le chiamano riammissioni – spiega Colomba – nelle scorse settimane le persone rimandate in Italia sono tornate ad aumentare: quasi quaranta al giorno».
In una delle ultime commemorazioni a Ponte San Ludovico, gli attivisti hanno ricordato Yonas Habtom, eritreo, morto tra gli scogli lo scorso gennaio nel tentativo di attraversare il confine. «Il Comune non voleva pagare i 1.250 euro per il funerale, così abbiamo attivato una raccolta fondi – rirprende Rottino – la risposta è stata generosa: abbiamo ricevuto quattromila euro e inviato la differenza alla famiglia». «Lo spazio del memoriale – riflette ancora Colomba – è un punto di riferimento. È importante che abbia un riconoscimento istituzionale». Perché le persone in transito trovino pace: almeno da morte.
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