Pace, amore e minimo sindacale. Una bella occasione sprecata quella andata in onda su Rai Due per omaggiare il 50esimo anniversario di Woodstock. Un po’ l’effetto al-lupo-al-lupo-Freccero che per far parlare di un programma prima da il via a una provocazione e poi puntualmente la disattende.
Questa volta la “bomba” era affidare la conduzione a Rita Pavone, la rocker sovranista. «Ma io sono liberale!» aveva tuonato alla vigilia, facendo intendere che avrebbe messo in scena una equa quanto bipartisan rivisitazione del concerto che ha fatto la storia non tanto della musica quanto di tutti noi. E giù tutti a commentare con pacchettino di sdegno per la cantante che aveva definito Greta “una bambola horror” e aveva intimato ai Pearl Jam che chiedevano all’Italia porti aperti di farsi i fatti propri. Perché proprio lei per raccontare gli ideali di Woodstock? Come può comunicare, rendere valore comune il sentimento di inclusione assoluta che trasmise quel raduno del 1969? Semplice. Basta non provarci neppure e non raccontare un bel niente. Tacere, sorvolare, aprire le braccia e inquadrare degli inutili ragazzetti vestiti come una versione parrocchiale di Hair coi gilet fiorati e qualche petto nudo, e la giusta alternanza “maschio” “femmina” e “giovane “di colore”.
Niente Vietnam niente droghe niente libertà. Un po’ d’amore quello si mettendo le mano sul cuore casomai non fosse stato chiaro. Poi per carità musicalmente parlando Rita Pavone ha fatto il suo, sfoderando una voce e una grinta invidiabile. Ma viene da dire peccato. Perché con quella meraviglia di immagini si poteva mettere in piedi uno show in cui persino gli under 70 potevano rischiare di divertirsi. Invece lo show di Rai Due è stato visto soltanto da 350mila persone, con il 2,4 di share.
Più che un concerto un grande silenzio. Da cui i giovanissimi, i giovani e anche i medi sono scappati a gambe levate. Come quando senti una zanzara in arrivo.