«La politica stia fuori da Sanremo. Ma anche il Festival non si occupi di politica. Attendiamo fiduciosi» aveva detto Maurizio Gasparri dopo che l’anno scorso il palco dell’Ariston aveva fatto traballare le piccole certezze della stabilità tradizionale. Come se politica fosse una brutta parola e non un’etica della convivenza. Così il Sanremo di quest’anno è cominciato con le migliori intenzioni e senza la maleducazione (cit), per stare tutti insieme buttando qua e là solo un a sbirciatina ai grandi temi sociali. E mentre Amadeus omaggia Lorella Cuccarini con una bambolina ben vestita, sul palchetto d’onore al posto del presidente Mattarella che applaude Roberto Benigni, c’è sua altezza serenissima Alberto di Monaco. Che non è esattamente la stessa cosa.
Ma per quanto tu possa far finta di niente e fischiettare tra le piume di “Mamma Maria” la realtà e come la si decide di vivere spunta e colpisce sempre in quel di Sanremo. A volte fortissimo, tra le note, senza alcun bisogno di alzare un megafono. Ghali, milanese figlio di genitori tunisini comincia a cantare in arabo “Bayna”, “vederci chiaro”, chiude con “Un italiano vero”. E più politica di così al festival proprio non si poteva immaginare. Un manifesto tutto intero, anche se qualcuno domani la chiamerà provocazione, di chi non vuole stare al proprio posto. Invece è solo un ciao elegante e potente ai confini che scompaiono sotto la sua esibizione, capovolgono l’idea di identità, aprono all’appartenenza, allo stare insieme sullo stesso suolo, sullo stesso palco, costringendoci a non voltare lo sguardo.
In fondo, tutta questa quarta sontuosa serata dei duetti racconta altro, lancia un messaggio continuo tra i ritornelli, è l’idea stessa che la anima, quella di unire rap e tradizione per far vincere insieme la modernità, dove i Vecchioni si uniscono ai giovani, i maestri agli allievi, dove la gara diventa squadra e non importa se Mannoia chiude la sua “Che tu sia benedetta” scoppiando a ridere perché stare insieme fa talmente bene che pazienza se non arrivi sul podio.
E arriva Dargen D’Amico, che aveva sentito il bisogno di giustificarsi perché era sembrato politico, ma voleva solo essere umano, rilancia senza alcun tremore sotto gli occhiali scuri: «In questo momento dall’altra parte del mare ci sono bambini sui pavimenti perché negli ospedali non ci sono più barelle né medicine, bambini mutilati operati senza anestesia. Se abbiamo coraggio di voltarci dall’altra parte utilizziamo quel coraggio per imporre il cessate il fuoco. Cessate il fuori per piacere».
Perché anche se si cerca di voltare la faccia dall'altra parte alla fine la vita vera su quel palco arriva per forza. E la politica ci duetta insieme.