Black Mirror, la salute diventa merce: un mondo distopico spaventosamente vicino

L'episodio "Gente comune" sembra firmato da una versione aggiornata di Ken Loach. Un racconto doloroso sulla precarietà della classe media, dove si cura solo chi può pagare. Fantascienza? Mica tanto

È tornato “Black Mirror” e questa volta colpisce durissimo. Perché la favola digitale su un futuro lontano, quell’istituzione seriale (Netflix) che ha sedotto parecchio e poi deluso, si è trasformata in un racconto più vicino che mai e per questo, fastidiosamente doloroso.  Questa serie ha ribaltato negli anni l’ordine degli addendi, mostrando la deriva orrorifica di una tecnologia che a diventare nemica poteva metterci un solo attimo. Ma era assai spesso inserito in un domani al di là da venire, come una specie di monito, infausto sì, ma che riponeva il pericolo nell’ambito del quasi possibile. Ora invece si torna indietro e quella sensazione di fantascienza profetica in cui l’umano poteva rischiare di essere schiacciato dall’evoluzione diventa il quasi ora, un sistema del presente che ha sbriciolato l’etica e in cui tutto è merce, persino la salute. Chi può permetterselo si salva, per gli altri che non possono pagare, pazienza. 

 

In “Gente comune”, il primo e straziante episodio di questa settima stagione, Amanda insegna alle elementari dove le api sono robot ma i loro rapporti con i fiori più o meno sono sempre gli stessi. Suo marito Mike invece fa il saldatore. Ogni giorno indossa la maschera e accende la fiamma ossidrica per un lungo e faticoso turno di lavoro. Perché neppure nel futuro più o meno distopico la condizione degli operai riesce a vedere grandi migliorie. 

 

Comunque la coppia si ama parecchio, conduce una vita semplice e festeggia gli anniversari mangiando hamburger in provincia. Praticamente due che in un mondo in bianco e nero Dino Risi avrebbe raccontato in “Poveri ma belli”. Poi accade all’improvviso che l’unica speranza di vita per Amanda sia una tecnologia avanzatissima capace di sconfiggere la morte. Ovviamente a pagamento. I due quindi si ritrovano prigionieri di un sistema che tratta la salute altrui come un aggiornamento di un servizio qualunque, un inferno travestito da paradiso dello streaming, tutto sorrisi patinati, spot pubblicitari e soprattutto carte di credito. 

 

Così in un istante si passa da una vita normale e sostanzialmente felice, a un precipizio da cui sarà impossibile uscire, fatto di versioni deluxe della sopravvivenza e costi altissimi, per sostenere i quali tutto si sbriciola, persino la dignità. E alla fine di questo strazio satirico (probabilmente il più spietato dell’intera stagione), che mette alla gogna un mondo vicino semplicemente descrivendo il plausibile, sembra di piombare in una versione aggiornata del Ken Loach di “Sorry We Missed You”, quell’universo ordinario in cui si ha la dolorosa certezza che no, la classe operaia in paradiso non ci andrà mai. 

 

Da guardare

Ansia, molta ansia e una girandola continua di punti di vista in un true crime che avrebbe potuto essere un horror senza fatica: è “Good American Family”, la serie su Disney + che ha il merito (tra gli altri) di far dimenticare che Ellen Pompeo è sempre e solo il volto di “Grey’s Anatomy”.

 

Ma anche no

Il numero quattro funziona, devono essersi detti gli autori dell’inutile “Foodish” (Tv8). Così hanno preso Joe Bastianich e l’hanno trascinato in giro per l’intero Paese alla ricerca dei quattro migliori piatti. Di carbonara, di vongole, di non importa. Tanto è tutto già talmente visto che non si sente neppure il sapore.

 

 

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il pugno di Francesco - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso